Traduzione a cura di Manuel Antonini

Cosa serve per fare teoria sociale? Quali capacità?

Secondo una mia personale visione, la teoria sociale è una combinazione di attenzione al mondo, rigorosa abbastanza da catturare quanto succede, e di capacità di teorizzare, generalizzare e rendere il quadro più ampio.

A me è capitato di crescere con uno dei più grandi sociologi teorici del mio tempo, Alain Touraine. Sia lui che tutti gli altri grandi teorici sociali, Focault, Polanyi e Althusser, sono stati capaci di fornire ampie visioni della società, ma la loro connessione con quanto stava succedendo nel mondo fu limitata. Il caso di Alain Touraine è stato leggermente meglio, ma in molti casi lo studio che ricevetti a Parigi fu solamente astratto e teorico. Imparai anche metodologia, ma l'enfasi non si concentrava su questa. L'enfasi infatti era sulla teoria. Nel 1979, ero professore ormai da 12 anni a Parigi e accettai la cattedra di Berkeley. Una delle principali ragioni del mio trasferimento è che ero interessato a unire la ricerca con la teorizzazione. Nel sistema universitario americano il problema è di tutt'altro tipo.

C'è in molti casi una completa frattura tra la ricerca empirica e la teorizzazione. In Francia è solo teoria e in America solo ricerca. Il sistema universitario americano è in gran parte "empiricamente orientato" e la teoria è considerata marginalmente. In un dipartimento di sociologia come quello di Berkeley la teoria era importante, ma tanti altri enfatizzano solo la ricerca empirica. Ciò che penso ed è fondamentale nella mia attività intellettuale è fare quello che alcuni chiamano "grounded theory". Ossia, mi è impossibile pensare senza osservare e comprendere cosa succede nel mondo. Un lavoro faticoso ma che non dà la sensazione di giocare con le parole. Non costruisco, decostruisco e ricostruisco, ma cerco di dare senso a quello che osservo. Questa è per me teoria sociale. Tutto il resto da una parte è filosofia , dall'altra talento sociologico.

Nel contesto globale che sta emergendo, lei dice che ci sono possibilità per l'individuo. Ha un punto di vista positivo riguardo ciò che l'individuo può ancora fare?

Certamente, anche se come lei saprà (e la maggior parte della gente mi ha criticato per questo nel mio lavoro) sono molto timido quando si tratta di fornire prescrizioni. Cerco di essere analitico per quanto mi è possibile. Non significa che non mi curo del mondo: è ovvio che lo faccio, ma penso che il mio ruolo sia quello di fornire strumenti analitici alla gente, che poi deciderà cosa vuole fare.

Ma, per tornare alla domanda, sì. Ci sono due aspetti. (…) Due cose che stanno succedendo. Da una parte, molte persone nelle nostre società avanzate, ma anche nelle altre, stanno costruendo i loro progetti come individui, nella famiglia e in ogni altra cosa. Perfino nell'economia, la gente educa se stessa con l'idea di avere un portafoglio individuale che può negoziare con altri. Noi siamo in un mondo di individuali. E internet è perfetto per questo, perché piuttosto che creare comunità virtuali – che non esistono in definitiva – crea piuttosto una rete di individui che fornisce le basi per aumentare la loro socialità come individui.
Dall'altra parte, persone che non si sentono forti come individui costruiscono barriere di resistenza e chiudono le loro comunità. Ad esempio, il fondamentalismo religioso, l'estremo nazionalismo.

Insomma, abbiamo individui e comunità, in mezzo la società civile e lo stato – che non svaniscono, ma sono drammaticamente indeboliti. Non è un caso d'altronde che lo stato e la società civile siano forme di organizzazione sociale emerse nell'era industriale.

Lei ha detto "il ventunesimo secolo non sarà un età buia. Sarà più probabilmente caratterizzato da una confusione informata". Come si dovrebbe preparare uno studente per il futuro in una società di rete?

Credo che l'educazione sia più importante di ogni altra cosa. Ma non l'educazione intesa semplicemente nella sua forma tradizionale. Essa deve svilupparsi in ciò che chiamo "capacità di auto-programmazione". Ossia l'abilità di adattarsi, di imparare a imparare e di imparare come usare la conoscenza nel perseguire i propri progetti e raggiungere i propri obiettivi nella vita.

Insomma, da una parte, costruire conoscenza e capacità non per avere molte informazioni, ma per conoscere come trovare le informazioni e ricombinarle: ciò significherebbe avere una forte e buona educazione. Inoltre conoscenze di matematica, capacità verbali, di scrittura, un poco di filosofia, storia e geografia. Troppo tradizionale? Infine, le conoscenze informatiche. Il computer fa il lavoro quasi automaticamente quando sappiamo cosa chiedergli.

Per quanto riguarda la personalità, invece, in un mondo che cambia costantemente, è essenziale che l'educazione fornisca ciò che chiamo una combinazione di sicurezza e flessibilità. Una personalità flessibile perché i giovani stanno per affrontare trasformazioni straordinarie nella loro vita. E' finito il tempo del "trova il partner, sposati, fai dei figli…:" no, no adesso "sii pronto per qualsiasi cosa e per ricostruire la tua vita costantemente". Insomma flessibilità, ma non flessibile al punto tale che non sai chi sei. Per avere una personalità forte e sicura personalità, infatti, è necessario avere dei valori. Non tanti valori, perché tanti valori non rendono forti. Voglio dire, si diventa pazzi con tanti valori. Meglio pochi ma solidi valori, come ad esempio "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te".

L'intervista completa in inglese rilasciata nel 2001 è consultabile cliccando qui