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Sapeurs congolesi, pazzi per la moda

Sedotti dal made in Italy
È una carriera dispendiosa, piena di incognite, quella del sapeur: solo i più eleganti salgono alla ribalta nazionale, pochissimi riescono a trasformare la passione per la moda in un vero e proprio mestiere. «La concorrenza e i sacrifici non mi spaventano», assicura il giovane Pem Luangu, meglio conosciuto come “Japan”.
«Mi chiamano così perché ho una passione smisurata per gli stilisti giapponesi come Kenzo Takada e Yohji Yamamoto. Solo il made in Italy riesce a sedurmi di più», chiarisce. Il ragazzo sfoggia un paio di bretelle vintage, un elegante brillantino conficcato sotto il labbro e un vistoso cappello nero di Gianfranco Ferré. «Lavoro sodo per permettermi questo bendidio», dice. «Faccio ogni genere di lavoro redditizio», aggiunge senza precisare quale.
È vanitoso il “giapponese” di Kinshasa, e prima di farsi fotografare vuole assicurarsi di essere in ordine. Dalla giacca sfodera un pettine consunto, un fazzoletto per asciugarsi il sudore, un po’ di fondotinta per schiarirsi la pelle.
E uno specchietto retrovisore recuperato chissà come. «Sono pronto, possiamo iniziare», dice compiaciuto mentre si mette in posa come un fotomodello professionista.
Ogni sapeur degno di questo nome deve possedere due cose fondamentali: un completo perfetto e un repertorio esclusivo di pose. «Così impone il nostro rigido codice di comportamento», spiega Gariel Lusemba, un omone dal volto pacioso, esperto di bon ton e veterano dei sapeurs congolesi, noto nella capitale come “Golf –“Eloghi ya Feti” (“Golf” la “La Figura della Festa”).
«Non basta indossare un abito firmato per essere elegante.
Bisogna imparare lo stile, la classe… Il portamento è un ingrediente fondamentale per essere davvero glamour». Ogni volta che può, Golf non perde occasione per sventolare il suo biglietto da visita sciupato dove sta scritto a grandi lettere: Conseiller Vestimentaire. «Vuol dire che suggerisco ai giovani come devono vestirsi, gli abbinamenti giusti degli abiti. Ma anche l’acconciatura e il trucco, se necessario». Detto in parole povere, fa il consulente di immagine in una delle più disastrate e imprevedibili capitali dell’Africa.
«Non ho una tariffa fissa», precisa. «A volte mi pagano una birra o un piatto di fufù, e va bene così. È un lavoro che faccio con passione e dedizione». Secondo Golf un vero sapeur dovrebbe evitare gli eccessi esibizionisti.
Per concentrarsi sulle buone maniere: saper parlare bene il francese, non alzare mai la voce, comportarsi da gentiluomo, mantenere sempre il savoir faire, fare attenzione ai dettagli.
«Ma il segreto del successo sta tutto nel portamento», rivela. E per dimostrarmelo improvvisa una sfilata nella strada fangosa davanti a casa. «Bisogna avanzare così, con movimenti felpati, senza ciondolare. Tenere un’andatura solenne, misurata, restare impettiti e guardare sempre lontano». Dopo pochi metri finisce in una pozzanghera e comincia a imprecare come un ossesso. «Maledizione! Dovrei chiedere i danni ai nostri politici», bofonchia mentre tenta di togliersi da dosso il fango. E già pensa a come procurarsi qualcosa di pulito per non saltare lo struscio serale.

Diritti di pubblicazione concessi dall’autore Marco Trovato
Articolo pubblicato sul sito www.reportafrica.it

Manuel Antonini



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