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Sapeurs congolesi, pazzi per la moda

Qui non si bada a spese
«Il fenomeno ha acquistato i contorni di una vera e propria ossessione per la griffe», sosteneva l’etnologo francese Jean Rouch. «I nuovi discepoli della Sape sono come ipnotizzati dallo sfolgorio dei capi firmati, al punto che davanti alle vetrine delle boutique hanno visioni mistiche».
In un Paese tra i più poveri e malandati al mondo, dove gran parte della popolazione vive in estrema miseria, i sapeurs non badano a spese pur di indossare una camicia di Giorgio Armani, un paio di scarpe di Prada, un completo di Versace o di Yves Saint Laurent. «Sono disposti a togliersi il pane di bocca, a indebitarsi fino al collo», assicura Fifi Lukusa, giovane stilista di Kinshasa. «Tornano dall’Europa con valigie piene di vestiti costosi e di accessori prestigiosi. Ma poi finiscono a dormire in qualche baracca. È pazzesco!».
In effetti buona parte dei sapeurs abitano in case modeste, vivono di lavoretti a giornata, spesso faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. Eppure non rinunciano all’eleganza più sfrenata. «C’è un’ovvia incongruenza fra il modo in cui vivono e quello in cui vestono», commenta Héctor Mediavilla Sabaté, fotografo spagnolo che dal 2003 ritrae gli elegantoni congolesi. «Qualcuno riesce a rimediare un intero completo prendendo in prestito la camicia da un vicino e la cravatta da un amico. Ma in genere il vestito viene acquistato a rate».
A Kinshasa si racconta di ragazzini costretti a rubare o a prostituirsi per mantenere il guardaroba, di famiglie sul lastrico per la ricerca affannosa del lusso, di donne furibonde che hanno buttato fuori di casa mariti e figli dalle mani bucate. Tutto vero. «Siamo capaci di fare follie pur di pavoneggiarci con vesti esclusive e appariscenti», conferma Anicet Kiala, un sapeur che assomiglia ad un calabrone, coperto com’è da un impermeabile a righe gialle e nere. «Gli abiti giusti hanno il potere di trasformare una persona qualunque in un divo».

Un investimento. Per pochi
Ogni sera i sapeurs vanno in processione a Matonge, il quartiere modaiolo che vibra di vita notturna. Qui sfoggiano i look più ricercati. C’è chi indossa un paio di guanti bianchi, chi agita il bastone da passeggio o l’ombrello da sole, chi aspira lunghi sigari. E chi, per farsi notare, sfodera abbigliamenti trasgressivi e bizzarri.
Salomon Ndamba, 40 anni, indossa una giacca variopinta che non passerebbe inosservata neppure a una sfilata di carnevale. «Alta sartoria italiana», precisa lui mentre mostra come una reliquia il marchio della griffe. «Me l’ha regalata mio fratello che lavora a Teramo. È diventata la mia seconda pelle, non me ne distacco mai. Con questa addosso la gente mi riconosce subito». Con nonchalance accarezza il fazzoletto giallo-canarino che fuoriesce dal taschino: un gesto studiato che ripete in maniera ossessiva.
«Sono un inguaribile esibizionista», ammette Salomon senza imbarazzi. «Il mio unico obiettivo è provocare stupore e meraviglia. Ho il terrore di camminare per strada senza suscitare alcun interesse… Sarebbe un fallimento personale», aggiunge prima di sparire dietro un paio di occhiali scuri siglati Dolce & Gabbana.
«L’importanza di una persona è proporzionale al valore degli abiti che indossa. Più costano e meglio è», conferma Adolphe Dimbumba, 45 anni, che sfoggia una cintura griffata e un orologio tempestato di brillanti. «Ho comprato tutto da mio cugino che vive a Parigi.
Seimila euro da sborsare a rate in dieci anni. Non ci credi? Ecco gli scontrini». Tira fuori un mazzetto di fogli ingialliti e stropicciati: i biglietti per accedere al ristretto circolo degli elegantoni. «Certo, è un grande sacrificio. Ma sono sicuro di aver fatto un bell’investimento». Può darsi, il sapeur congolese a volte diventa un dandy a pagamento: viene ingaggiato per presenziare alle cerimonie e dare lustro - con il suo portamento appariscente e il suo impeccabile guardaroba - ai funerali e ai matrimoni della gente comune. «Siamo i campioni mondiali della raffinatezza, è naturale che ci paghino», chiosa monsieur Dimbumba intento a sistemarsi il suo estroso papillon.



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