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Uno sguardo sugli Obiettivi del Millennio

Introduzione

Nel 2000 le nazioni membro dell'ONU si accordarono e fissarono un insieme di obiettivi comuni sui quali ogni stato avrebbe dovuto impegnarsi. Tali obiettivi avevano lo scopo principale di eliminare o ridurre le privazioni e le disuguaglianze nelle aree più povere del pianeta entro il 2015. Con enfasi retorica e per dare forza al progetto furono chiamati gli “obiettivi del Millennio” (Millenium Development Goals, MDGs).

Nei decenni precedenti al 2000, diverse campagne avevano cercato di affrontare la lotta alla povertà, alle malattie e alle disparità attraverso progetti che si foggiavano di slogan e motti allettanti senza essere seguiti, spesso, da concreti ed efficaci piani di azione. “Make the poverty history” restava su di un piano troppo retorico e le promesse fatte venivano disattese con troppa facilità perché si potesse credere a nuove altre. La novità dei MDGs consiste proprio nel tradurre in cifre e in obiettivi concreti lo sforzo della comunità mondiale nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze: entro il 2015 più di una decina di target sono stati fissati in numeri così che si potrà valutare quali progressi siano stati fatti sulla strada del loro raggiungimento da parte della comunità internazionale.

La paura, certo, resta anche in questo caso. A metà del percorso, ufficialmente fissato per il 7/7/2007, le valutazioni di alcuni degli obiettivi appaiono pessimistiche e il rischio che anche i MDGs si riducano alle ennesime promesse non mantenute è reale. Continuare a promettere e fallire toglie slancio alle successive iniziative, introduce scetticismo nelle novità e mina l'entusiasmo della volontà di intervenire. Ingredienti essenziali, seppure non sufficienti, per la buona riuscita di un'impresa così vasta e complessa.

Alla luce dei dati disponibili e dei report stilati dall'Onu e dalle sue agenzie, nelle prossime pagine faremo una breve disamina dello stato di avanzamento dei primi sei obiettivi del Millennio (tralasciando il settimo e l'ottavo perché non direttamente attinenti con il discorso qui impostato). Cercheremo di capire a metà percorso quali siano i target realmente raggiungibili e quali saranno invece rimandati ai prossimi decenni. Cercheremo, per questi ultimi anche le eventuali falle che rendono più complesso una loro realizzazione.

Considerazioni sui MDGs

Prima di procedere, però, introduciamo qui alcune considerazioni generali di riflessione sui MDGs che riteniamo essenziali per una migliore lettura e comprensione dei dati successivamente presentati. Un recente articolo dell'Economist, il quale faceva il punto dei progressi raggiunti dalla campagna dei MDGs, poneva alcune critiche all'impostazione del progetto ponendo due questioni fondamentali per raggiungere i target stabiliti nel 2000: uno, l'impossibilità di stabilire responsabilità per singole aree o paesi (i MDGs, infatti, pongono obiettivi a livello globale); due, per uscire dalla crisi non è sufficiente dispensare fondi ma favorirne anche un uso efficace attraverso criteri di good governance, di responsabilità, oltre che con programmi di ampio respiro che vadano realmente incontro alle esigenze e alle necessità delle aree interessate.

Nel primo caso, il limite è evidente. Stabilire target a livello mondiale significa ridurre le responsabilità a livello locale. I buoni risultati di una regione compensano l'andamento disastroso di altre aree, impedendo così di considerare la realizzazione del target come un beneficio omogeneo, al quale hanno tutti partecipato in buona misura. E' il caso evidente, come vedremo poi, di molti di questi obiettivi, in particolare il primo, per la regione sub-sahariana. Si pone così una questione sulla disomogeneità dei risultati che potrebbe essere così formulata: è un vero successo quando alcuni poveri diventano sempre più poveri?

Questo grosso limite si accompagna, inoltre, a considerazioni di natura più tecnica: i dati necessari per comprendere quali progressi siano stati compiuti dai diversi paesi sono spesso difficilmente reperibili o raccolti attraverso metodi statistici inaffidabili. Per quanto riguarda, ad esempio, il target 5 (ridurre i tassi di mortalità delle donne durante il parto), in alcuni stati ci si è affidati a interviste nelle quali veniva chiesto agli intervistati se avessero avuto sorelle o madri che avevano perso la vita durante la gravidanza. In altre occasioni mancano invece statistiche ufficiali risalenti ai decenni precedenti o, ancora, non si ha alcun tipo di censimento o informazione ufficiale riguardo lo stato della popolazione per via dei conflitti o di crisi interne. E' chiaro che queste difficoltà costituiscono un impedimento ad una efficace analisi dei reali progressi compiuti, con il rischio di vedere cifre e numeri gongolanti di successo mentre ancora molta è la strada da percorrere.

Il secondo tipo di considerazione coinvolge, invece, una riflessione più complessa che riguarda sia la strategia interna del paese sia la collaborazione tra nord e sud del mondo. L'articolo dell'Economist, pur correndo il rischio di svalutare l'importanza dell'aiuto finanziario, sottolinea come lo sviluppo non sia l'esito automatico dei fondi versati. Non è sufficiente, in altre parole, trasferire dei soldi da un paese ad un altro perché si compia il miracolo del benessere. I finanziamenti, piuttosto, devono essere inseriti in un contesto di sviluppo chiaro, integrato e attento alle esigenze locali, con parametri ben definiti per valutare la reale efficacia dell'intervento e l'eventuale spreco perpetrato. Sono due i punti, strettamente correlati tra loro, da sottolineare in questo passaggio: integrazione dello sviluppo e attenzione alle esigenze e ai bisogni locali. Integrazione ha due significati: da una parte che i risultati possono essere raggiunti se l'avvio dei programmi per migliorare le condizioni materiali di vita coinvolgano tutti gli aspetti della vita sociale, aspetti che poi sono tra di loro necessariamente collegati (istruzione, salute e igiene, alimentazione, lavoro, etc); dall'altra, che ogni programma deve coinvolgere tutte le sfere del contesto locale quanto quello internazionale, dalle amministrazioni mondiali (affinché ad esempio gli aiuti degli stati esteri non siano vincolati a clausole vantaggiose per i donatori, ma del tutto inefficaci per i paesi ricevitori) e tutti i livelli nazionali fino e soprattutto alla comunità del luogo (quello che viene detto decentramento dell'aiuto), perché i successi raggiunti siano durevoli e realmente efficaci e si traducano in diritti e doveri di una popolazione consapevole e capace di gestire e rivendicare per i risultati ottenuti o per i propri diritti..

Un esempio di quanto detto è il Millenium Villages Project, un progetto introdotto dall'Onu all'interno della campagna del Millennio, che favorisce uno sviluppo locale basandosi su sette principi semplici e chiari. Oltre a vaccinazioni contro malattie infettive, l'accesso all'acqua sicura e a condizioni sanitarie migliori, la distribuzione di zanzariere e l'introduzione di nuove tecnologie per migliorare la qualità della resa dei campi, il progetto sostiene una donazione comune da parte della comunità all'istituo scolastico del paese (circa il 10% del raccolto totale) affinché sia possibile istituire una mensa che fornisca agli studenti il pranzo quotidiano e assicurare in questo modo la buona riuscita degli studi. Seppure il progetto dipenda dagli aiuti esteri (almeno 70$ per persona) introduce un genere di miglioramenti che rendono possibile poi uno sviluppo autonomo del paese, in quanto aumenta le conoscenze e rende partecipe l'intera comunità a tutti gli aspetti della vita sociale (dall'istruzione alla salute, dal lavoro all'igiene). Inoltre, ed è questo che è particolarmente interessante, viene incontro alle esigenze della popolazione: la mensa scolastica, che a prima vista può sembrare una cosa banale, costituisce invece un passaggio fondamentale per migliorare la frequenza scolastica degli studenti (non a caso il villaggio di Sauri, situato nelle regioni occidentali del Kenya, uno dei paesi scelti per sperimentare il progetto, è passato dal 108° posto al secondo nei risultati degli esami del distretto). E il risultato viene raggiunto attraverso un sistema che si autoalimenta e non ha bisogno dell'intervento esterno. La partecipazione e il coinvolgimento della popolazione è dunque un passaggio fondamentale (un significato del decentramento dell'aiuto) perché i risultati ottenuti siano duraturi e si trasformino in una presa di coscienza della comunità, in grado così di rivendicare verso i centri di potere locale le proprie richieste - alimentando così una cultura del diritto - e di gestire le proprie strutture, oltre che di essere responsabilizzata (ad esempio attraverso una sorta di decentralizzazione fiscale, come può essere la donazione di una parte del raccolto).

Quest'ultimo insieme di riflessioni ci introduce inoltre al secondo elemento prima citato: attenzione alle esigenze, ai bisogni e alle abitudini locali. Non sono pochi, negli ultimi decenni, i programmi di sviluppo falliti a causa della loro poca rispondenza con la realtà sulla quale volevano intervenire. A volte gli interventi necessari sembrano banalità, ma proprio perché tali sono i più ovvi e meno presi in considerazione. Da qui nasce l'esigenza di ascoltare le popolazioni interessate, per rispondere in modo efficace e duraturo ai bisogni e per creare poi un senso di responsabilità condiviso sia da chi finanzia il progetto sia dalla comunità che lo mette in pratica. Oltre all'esempio della mensa scolastica, si potrebbe citare il caso di molte aree dove i farmaci anti-retrovirali sono disponibili ma poi vi è mancanza di medici o infermieri in grado di eseguire semplici punture. I processi e i meccanismi che generano lo sviluppo sono avviati dai finanziamenti, ma se non vengono successivamente sostenuti da un insieme, banale nella sua complessità e interdipendente nella sua estensione, di attività, conoscenze e interventi che vanno ad incidere sulla quotidianità e sulle sue esigenze attraverso la partecipazione locale, risulteranno il più delle volte destinati al fallimento. E' inutile costruire sistemi di pompaggio di acqua sicura se poi, per motivi legati alla cultura, la gente del posto seguita a preferire un altro tipo di approvvigionamento o, ancora, è altrettanto inefficace costruire un sistema di latrine per migliorare le condizioni igienico-sanitarie se la popolazione del posto continua in comportamenti differenti per via di tradizioni o abitudini acquisite.

L'insieme di queste riflessioni porta così a inserire i finanziamenti entro un quadro più vasto: questo non significa ridurre l'importanza dei fondi, ma sottolineare la loro interdipendenza con altri fattori perché siano davvero efficaci. Inoltre, sottolinea come tutti gli attori siano fondamentali alla buona riuscita e che, in ultima analisi, la comunità locale è il vero protagonista dello sviluppo, purché sia supportato a tutti i livelli del potere. Non basta, quindi, donare dei soldi per fare il proprio dovere, ma è necessario assumere e far assumere responsabilità.

L'Economist solleva anche una questione decisiva: il ruolo giocato dal framework istituzionale. Il giornale inglese denuncia, in particolare, la mancanza attuale nei MDGs di criteri per definire la responsabilità dei governi locali e il loro operato come parametri per la distribuzione dei fondi internazionali. Secondo l'approccio neo-liberista della rivista, infatti, non solo il versamento dei fondi in sé non è sufficiente e non solo i soldi dovrebbero finire in progetti seri, ma si dovrebbe impostare parametri che valutino innanzitutto la responsabilità dei governi locali (accountable domestic government) come criterio di distribuzione dei fondi. All'interno dell'articolo si richiama come esempio l'operato del Centre for Global Development e il suo “payments for progress”: il punto centrale del programma sta nel finanziare quei paesi che già di per sé hanno attivato processi di auto-sviluppo locale (viene citato l'esempio recente del Mali). Attraverso questa via, secondo il giornale inglese, le popolazioni sarebbero spinte a reclamare governi più attenti ai diritti dei cittadini : in altre parole un contesto istituzionale locale serio e non corrotto attirerebbe maggiori fondi e quindi programmi a sua volta più efficaci.

L'analisi dell'Economist seppure interessante manca di un elemento fondamentale: l'appoggio internazionale dei governi e delle imprese a quegli stessi governi corrotti contro i quali le popolazioni africane dovrebbero combattere e avanzare richieste. Un elemento che rende spesso vana la possibilità della gente di cambiare lo status quo dell'apparato istituzionale (come nel caso della Nigeria o del Sudan). In altre parole non conta solo il framework locale per assicurare i processi di sviluppo, ma anche quello internazionale che li appoggi e non si inserisca come ostacolo. L'azione politica dei paesi donatori, come detto prima, deve dunque concentrarsi anche su tutte quelle pratiche economiche e politiche messe in atto dal nord del mondo che sono palesemente in contrasto con gli scopi della cooperazione: i debiti esteri concessi a governi corrotti, che non solo rendono più deboli e dipendenti le economie di un paese, ma sono anche moralmente discutibili; gli aiuti vincolati, che impediscono un reale sfruttamento delle risorse attivate dai fondi e legano i processi all'utile del paese donatore; la vendita di armi e lo sfruttamento delle multinazionali, l'imposizione delle monoculture e tutte quelle operazioni che vincolano i paesi all'economia internazionale (come le speculazioni monetarie).

In altre parole, un framework istituzionale autosufficiente e non corrotto deve essere sempre il fattore generante o può anche divenire l'esito in corso di un processo virtuoso che ha come protagonista la comunità locale coinvolta in interventi decentrati e partecipati (integrati) e supportata da attività tecniche e da istituzioni sovranazionali e nazionali?

Le riflessioni esposte rinviano a domande alle quali è difficile rispondere in poche pagine e hanno, piuttosto, cercato di mostrare la complessità del quadro entro il quale i MDGs devono cercare la loro realizzazione. Quanto detto, quindi, non vuole in alcun modo svalutare la loro importanza, tutt'altro: gli obiettivi fissati sono un programma ambizioso e affascinante che per la prima volta mette il mondo di fronte a doveri reali e misurabili, ossia lo rende concretamente responsabile. La speranza è che i suoi difetti non diventino ragione o scusa per lasciare ancora una volta le promesse non mantenute, altrimenti poi alle promesse non ci si crede più.

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