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Conoscere la realtà: la mediazione culturale

La prospettiva culturale ribadisce al contrario la continua costruzione della cultura tramite un'attività di negoziazione di significati che avviene nelle pratiche quotidiane degli uomini. L'impossibilità di stabilire dei confini netti trova fondamento proprio in questa caratteristica distintiva che la prospettiva in esame attribuisce alla cultura. In quest'ottica non è pensabile trovarsi dinanzi ad un oggetto rigidamente definito da apprendere, ma è l'azione concreta dei soggetti a strutturare l'oggetto.

La conoscenza del mondo reale avviene, nell'ottica culturale, tramite la partecipazione, centrale o periferica, a gruppi in cui si verifica l'apprendimento sociale.
Il concetto di "gruppo" è molto pregno di significato nella tradizione psicologica, ed in particolar modo in quella della psicologia sociale. La straordinaria frequenza con la quale viene utilizzato il termine 'gruppo' nei discorsi di senso comune, mostra come esso sia un'idea fortemente vicina alla quotidianità dell'uomo. Non è tuttavia scontato definire cosa sia un gruppo; per farlo si può partire da una considerazione: ogni gruppo è un'aggregazione di individui, ma ogni aggregazione di individui non è necessariamente un gruppo. Per poter parlare di 'gruppo' è necessario considerare la combinazione di due specifiche dimensioni: la base su cui si fondano le relazioni tra i membri, ovvero il grado di strutturazione e di intenzionalità delle relazioni, e il numero di individui coinvolti. In tal senso, i gruppi appaiono come aggregazioni relativamente organizzate in cui pochi membri sono reciprocamente consapevoli della potenziale situazione interattiva in cui sono inseriti. La dimensione sociale è costante nelle molteplici definizioni rilevate, in quanto si tratta sempre, al di là delle diverse classificazioni di gruppi riportati in letteratura, di insiemi di persone. Questa "totalità dinamica" (Lewin) si rappresenta come qualcosa in più della semplice somma delle sue parti, inglobando anche l'interdipendenza tra le stesse.

I gruppi nei quali avviene la conoscenza all'interno dell'ottica culturale sono del tutto peculiari. Tali contesti vengono definiti comunità di pratiche (CdP) e si contraddistinguono per alcuni elementi: un repertorio di risorse condivise, l'impegno a garantire la mutualità delle interazioni e l'esistenza di un'impresa comune.
Il concetto di "apprendimento sociale" fa riferimento allo stabilirsi di una situazione "formativa" ogni qualvolta si verifica l'incontro tra l'esperienza personale del soggetto e qualcosa a lui prima sconosciuta. Nel momento in cui un newcomer fa il suo ingresso in una comunità di pratiche deve apprendere il necessario per condividere un repertorio di risorse con gli altri membri, con i quali, dato il presupposto del mutuo impegno, arriverà alla meta comune.
La traiettoria percorsa dal newcomer dal momento in cui entra nella comunità fino alla completa interiorizzazione della cultura del suo gruppo, viene definita "Partecipazione Periferica Legittimata" (Wenger). Pur non conoscendo bene le regole della comunità, i nuovi membri sono autorizzati a parteciparvi, in modo periferico e prettamente osservativo. Tramite la progressiva comprensione delle implicite norme vigenti nel gruppo la partecipazione del neofita alla comunità, in termini di assunzione di comportamenti e non solo di interiorizzazione di valori e regole, si farà via via più centrale.
Ma l'attività di apprendimento non termina a questo punto: dalla partecipazione del soggetto ad altre pratiche, dall'osservazione di altre forme di conoscenza, da tutto quanto il soggetto esperisce di diverso dal suo contesto di riferimento, egli trae delle nuove informazioni che porterà alla sua "casa base", ovvero alla sua comunità.
L'apprendimento si verifica quindi sempre ai confini della comunità, in una situazione di contrasto tra mondi, sguardi e modi di vedere diversi.
Possiamo immaginare le CdP come degli spazi i cui confini sono costituiti da tutte le conoscenze condivise e negoziate dai membri del gruppo; confini che, sulla base delle dinamiche appena illustrate, non possiamo che considerare permeabili e flessibili.

Molto peso viene assegnato dalla psicologia culturale all'agentività dei soggetti, protagonisti attivi della definizione e ridefinizione della realtà. Molteplici sono gli strumenti che consentono alle persone di plasmare insieme la vita, essenziale e primo tra tutti il linguaggio. Applicata alla pratica, la teoria della cultural psychology intraprende percorsi di ricerca che hanno come oggetto anche il lavoro, inteso come insieme di pratiche condivise, piuttosto che come prestazione volta al raggiungimento di obiettivi.
All'interno delle CdP, infatti, le persone costruiscono continuamente la realtà, producendo e negoziando significati attraverso pratiche di lavoro.
Wenger definisce le pratiche come la parte non direttamente osservabile della CdP; ciò che risulta agli occhi dell'osservatore sono tutte le interazioni e i comportamenti che hanno alla base un significato comune. Le pratiche sono l'essenza di quel significato comune, di quel senso che collega le azioni e che spinge le persone a riprodurre schemi comportamentali all'interno del gruppo. Da ciò si evince la necessità di accedere al repertorio di risorse condivise, quando l'obiettivo che ci si prefigge è quello di comprendere le pratiche di una comunità.
Nel momento in cui prende vita una comunità di pratiche, i soggetti che ne prendono parte riconoscono se stessi e gli altri come membri legittimi della comunità. Nel mettere in atto tutti i comportamenti che si verificano nella comunità e nell'apprendere continuamente dalla e per la comunità, i soggetti non restano mai fermi ma negoziano continuamente la propria identità.
Possiamo pertanto individuare un duplice impegno dei membri delle comunità nel manifestare la capacità agentiva cui prima si è fatto cenno: la costruzione della realtà e simultaneamente quella di se stessi.


Dossier tratto dalla tesi Il sè flessibile nell'epoca postmoderna di Silvia Balacco


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