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La funzione politica dello stereotipo

Il luogo dello stereotipo: l’opinione pubblica

Il livello conclusivo di questo excursus su alcuni dei più rilevanti processi sociali di categorizzazione e semplificazione della realtà è rappresentato dall’opinione pubblica. Si tratta di un concetto che viaggia, di pari passo, con la storia della democrazia e, più specificamente, con una delle dimensioni che maggiormente la connotano, ovvero, la partecipazione dei cittadini agli aspetti politici della vita sociale.
La forma di Stato tipica delle grandi monarchie, anche se teoricamente fondata sul contratto sociale, certamente, non riteneva opportuno trarre legittimazione dalle opinioni che provenivano dalla società, ne tanto meno, coltivare il pensiero dei propri sudditi. L’emergere di una sfera pubblica borghese, come magistralmente evidenziato da Jurgen Habermas in “Storia e critica dell’opinione pubblica” (1962), piccola ma capace di discussione critica, rappresenta la genesi di quello che viene accademicamente definito aggregato delle attitudini individuali o delle convinzioni mantenute dalla popolazione adulta:

“Lasciatemi osservare che non soltanto ci si opporrà alle tassazioni individuali, ma anche che nessun’altra parte del diritto legislativo potrà essere esercitata senza tener conto dell’opinione pubblica generale di coloro che devono essere governati. Questa opinione generale è il veicolo e l’organo dell’onnipotenza legislativa.” (Burke, 1778)

Nel 1781, infatti, la pubblic opinion, menzionata da Edmund Burke, entra a far parte dell’Oxford Dictionary. Effettivamente, questa forma di pensiero collettivo sembrava assolvere, non solo al criterio di legittimazione del potere politico, ma anche ad una rilevante capacità critica e propositiva del corpo sociale stesso; essa poteva concretizzarsi in un reciproco e raziocinante processo di categorizzazione della realtà sociale tra governanti e corpo elettorale, scaturendo, altresì, da un contesto storico in cui un gran numero di attività sociali ed economiche andavano emancipandosi dalla sfera, più propriamente, privata, familiare.
Gli stessi rappresentanti politici avevano la consapevolezza della necessità di intrattenere un rapporto costruttivo ed empatico con i propri elettori. Gli strumenti pubblicistici, in tal senso, esercitavano un ruolo tenue, di veicolazione e scambio delle informazioni e degli interessi di quella specifica classe sociale emergente, in molti casi, acculturata.

Inoltre, è indispensabile sottolineare che questi saranno anni di grandi conquiste scientifiche e tecnologiche, anni in cui il grande dinamismo economico dell’Occidente, pur con grandi sacrifici, apparirà inarrestabile, anche in virtù del suo concreto svelarsi nella vita quotidiana di tutti i giorni. Dunque, si può ribadire che, all’interno dello Stato liberale, non plebiscitario, la sfera pubblica borghese, da Habermas teorizzata, rappresentava un‘entità critica e propositiva, grossomodo, coincidente con l’universo dei partecipanti alla vita politica. I tre livelli di categorizzazione della realtà qui proposti (scienza, conoscenza ed opinione pubblica) sembravano operare in una sostanziale sinergia di intenti con l’agire politico, usando la terminologia di Fleck, operavano in un Denkstill, indirizzandosi, così, verso un’epocale ristrutturazione dell’intera società.
La sfera dell’opinione pubblica subisce un radicale mutamento con l’affermarsi della cosiddetta società dell’informazione e, ai fini di questo contributo, tale ascesa viene rapportata alla specifica dinamica delle odierne democrazie costituzionali.
È proprio nel terreno della partecipazione plebiscitaria che sembra radicarsi la multiforme funzione politica dello stereotipo, mutando profondamente le caratteristiche del modo di pensare collettivamente i fenomeni e le problematiche annesse, ormai, irreversibilmente, colpito da una sorta di sindrome di economia del pensiero. Si sfalda quell’idea di sfera pubblica, tipica del XIX sec., nella quale riuscivano a convergere, in modo sinergico, i vari livelli di interpretazione della realtà. Così, quel concetto che nel XIX secolo veniva utilizzato per indicare una tecnica di stampa, la stereotipia , nel 1922 viene autorevolmente reinterpretato da Walter Lippmann, in Opinione Pubblica (1922), per indicare un’immagine stampata nella testa che si fatica a modificare:

"In qualsiasi società che non sia talmente assorbita nei suoi interessi né tanto piccola che tutti siano in grado di sapere tutto ciò che vi accada, le idee si riferiscono a fatti che sono fuori dal campo visuale dell'individuo e che per lo più sono difficili da comprendere: di conseguenza, ciò che l'individuo fa si fonda non su una conoscenza diretta e certa ma su immagini che egli si forma o gli vengono date".

Ancor prima della natura persuasiva e propagandistica dei moderni mezzi di comunicazione, ampiamente studiata dalle teorie delle comunicazioni di massa nei decenni successivi, è significativo il rilievo posto da Lippmann alla conoscenza degli individui basata su un’esperienza indiretta e mediata, piuttosto che sulla reale opportunità di comprenderla attraverso un attivo processo di socializzazione o di apprendimento. L’opinione pubblica diverrà, progressivamente, un contenitore autonomo dai contenuti variabili, uno strumento di legittimazione della democrazia grazie al quale influire sul pensiero collettivo prevalente, a prescindere dalle classi sociali e dal livello di istruzione. La conoscenza indiretta dei fenomeni che caratterizza la nostra società avviene, perlopiù, attraverso un’interpretazione codificata secondo criteri di semplificazione non logici, in grado di orientare e legittimare l’agire politico secondo gli interessi, di volta in volta, chiamati in causa. Nell’approccio ai singoli contenuti, la dipendenza tra agire politico ed opinione pubblica non sempre è configurabile come unidirezionale e passivamente recepita dalla società, come enunciato dalla teoria critica degli anni sessanta.

La sempre maggiore enfasi sull’azione stereotipante dei mass-media, sempre più, vincolerà l’esercizio delle funzioni politiche alla legittimazione delle proprie azioni sulla base dei contenuti, a questo punto moralizzatori, delle convinzioni mantenute dalla popolazione adulta. Inoltre, l’incredibile frequenza di trasmissione di quella che viene, dagli esperti, definita agenda setting, ovvero, la programmazione sistematica dei contenuti mediatici, oltre ai tradizionali criteri di sintesi redazionale, rappresenta un nuovo ambito di indagine per gli studi sui processi di rappresentazione sociale, di fronte al quale la stessa condivisione del messaggio stereotipato, da parte degli individui, diventa superflua e rapidamente obsoleta, in quanto subito sostituita o sostituibile. L’esito certo di questa progressiva e biunivoca interdipendenza tra politica ed opinione pubblica è sicuramente rappresentato dalla recisione di quel fondamentale processo di trasmissione e pubblicità dei saperi costruiti dalle comunità scientifiche alla società tutta, evidenziando, in tal senso, le responsabilità di una politica svuotata da ogni funzione etica e morale. La fruizione pubblica della conoscenza e della molteplicità di prospettive che essa offre, a prescindere dall’ambito di discussione, è oggi l’unica prospettiva sulla quale investire per una credibile politica di lungo termine, in grado di ragionare sul futuro delle prossime generazioni.

La capacità di penetrazione degli stereotipi prevalenti nella società non sempre è costante e facilmente generalizzabile. L’inevitabile carenza logica e metodologica dei significati, di volta in volta, contenuti nella scatola dell’opinione pubblica, rende estremamente mutevole ed in continua ridefinizione, la percezione della scala di valori prevalente cui dovrebbe far riferimento l’indirizzo generale della società. Molto spesso essa appare nella sua natura artificiosa, rendendo manifesta la sua indipendenza rispetto all’agire razionale e consapevole degli individui. Fortunatamente, nuove modalità di esercizio della consapevolezza e della cittadinanza stanno trovando il loro spazio di veicolazione in nuovi e vecchi strumenti della comunicazione, rendendo possibile, da un lato, la rivendicazione di quei valori giuridici e culturali che appartengono alla nostra identità, dall’altro, l’esercizio di una modalità più consapevole e meno stereotipata di quella che viene strumentalmente chiamata opinione pubblica.


A cura di Andrea Villa



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