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Maestri di antropologia: il "rito di passaggio" di Van Gennep

Le nostre civiltà complesse si caratterizzano per un alto livello di divisione, laddove però i confini fra comparti, usando la terminologia dell’etnologo tedesco, risultano più labili e il più delle volte implicano esclusivamente una variazione della condizione economica e/o intellettuale (il passaggio dallo status di studente a quello di lavoratore professionista, oppure semplicemente cambiare categoria di lavoro costituiscono esempi validi). Tuttavia il passaggio dallo status di laico a quello di sacerdote comporta l’attuazione di complesse procedure cerimoniali, così come il matrimonio, il battesimo o il funerale. Si tratta di forme rituali di natura particolare in quanto viene pienamente coinvolta la distinzione tra sacro e profano e dove risulta più evidente la significatività ancestrale del rito in quanto fattore antropologico.

In Van Gennep, “quanto più è basso il grado di civiltà, tanto maggiore è il predominio del sacro, numerosi passaggi che nella nostra società si svolgono in modo del tutto profano, si ammantano, invece di carattere sacro nelle società semicivilizzate. I riti di passaggio sono appunto i meccanismi cerimoniali che guidano, controllano e regolamentano i mutamenti di ogni tipo degli individui e dei gruppi”. “Les rites de passage”, dunque, sono individuabili, sia tre le forme rituali sacre, che tra quelle profane, tuttavia, secondo la costruzione di Van Gennep, partendo proprio da queste tipologie è possibile estrapolare due dinamiche ben precise:

- diacronicamente, la spiegazione di un vero e proprio processo di secolarizzazione delle forme rituali sacre (il matrimonio, la maggiore età, la sacralità della caccia e dell’ambiente nelle società tribali) in forme rituali profane (il matrimonio civile o jure proprio, la cultura popolare dalla tradizione al folklore), a misura del grado di divisione e complessità della società.

- sincronicamente, il fatto che tra la sfera del sacro e la sfera del profano sussiste sempre una incompatibilità tale che il passaggio dall’uno all’altro non può avvenire senza un, cosiddetto, stadio intermedio (pre-liminare, post-liminare).

“In qualsiasi tipo di società la vita dell’individuo consiste nel passare successivamente da un’età all’altra da un’occupazione a un’altra. La dove le età, e quindi le corrispondenti occupazioni sono tenute separate, questo passaggio si accompagna ad atti particolari: essi, per esempio, costituiscono, rispetto ai nostri mestieri, l’apprendistato, rispetto al matrimonio, il fidanzamento, mentre per i popoli semicivilizzati, si espletano in cerimonie religiose, giacchè presso di loro nessun atto è completamente svincolato dal sacro. Ogni mutamento dell’individuo viene a comportare dunque delle azioni e delle reazioni tra il profano e il sacro; queste azioni e queste reazioni devono essere appunto regolate e controllate, affinché la società generale non subisca né disagi né danni”.

In Ernesto De Martino (1908-1965), fra i più autorevoli antropologi italiani, il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di crisi della presenza che esso avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene successivamente definita tradizione popolare. Emile Durkheim, lo abbiamo in parte intuito, ha invece messo in evidenza la componente sociale del rituale, che consente di fondare o di rinsaldare i legami tra gli individui di una comunità/società. In Van Gennep le forme del rituale, in quanto fattore caratterizzante e determinante le dinamiche di vita associata di tutti gli uomini, a prescindere dai particolarismi culturali, diventano l’oggetto primo della concettualizzazione antropologica, consolidandosi, nel tempo, come uno straordinario esempio di interpolazione tra differenti prospettive disciplinari.


I riti di passaggio, pur rimanendo nell’alveo di una concezione oggettivistica della scienza, sembrano aver abbondantemente superato la fase, quella si, integralista della prima antropologia evoluzionista di fine XIX secolo che riprendeva la concezione dello sviluppo storico come passaggio dallo stato selvaggio alla barbarie e dalla barbarie alla civiltà, così come venne formulata dalla storiografia illuministica. Questa era la concezione a cui si richiamava direttamente Tylor per affermare nel 1871, l’esistenza di una cultura primitiva, caratterizzata da una componente animistica dei fenomeni (peraltro presente anche nelle nostre tradizioni popolari). Essi si proponevano di “porre le basi di uno studio scientifico dello sviluppo culturale, fondato sul presupposto dell’azione uniforme di leggi inerenti la natura umana che determinano l’ordine di tale sviluppo. In questo modo lo schema storico-evolutivo costituisce l’espressione di una concezione della storia di derivazione illuministica, che si salda con un programma scientifico di stampo positivistico”.

Il Professor Arnold Van Gennep non sembra voler giustificare improponibili leggi universali di autodeterminazione storica e di cavalcata verso il progresso, né, tuttavia, sembra abbracciare orizzonti di relativismo culturale e di particolarismo storico ; entrambe le prospettive, peraltro, ancora oggi, risultano riecheggianti in numerose discipline (l’estrema fiducia nei modelli dell’economia da un lato, la mancanza di rigore metodologico nelle scienze sociali dall’altro). Egli, facendo emergere tutte le potenzialità della teoria sulla funzione sociale e normativa delle forme rituali, corroborata dalla sua esperienza come etnologo, sembra accendere una luce sulla strada della ricerca etnografica e culturale sia dal punto di vista esogeno che da quello endogeno. Non bisogna dimenticare, infatti, che il contesto storico in cui opera il nostro autore, è, certamente, un contesto in cui sia i comportamenti “esotici”, sia quelli propri della tradizione popolare interna, faticano a trovare una loro indubitabile collocazione nell’ambito della categoria “pura” delle manifestazioni culturali.

Certamente la concezione normativa e moralizzatrice delle forme rituali, nella teoria sociologica cui fa riferimento Van Gennep, paga un indiscusso pedaggio nei termini di un proverbiale ed eccessivo impoverimento della capacità di agire dell’individuo, soprattutto riferendosi al mutamento culturale del nostro occidente. È qui che abbiamo assistito ed assistiamo, da un lato, ad un vero e proprio processo di impoverimento sociale di quelle forme collettive di comportamento appartenenti alla sfera magico-religiosa della tradizione popolare, dall’altro, a nuove definizioni aggregative e rituali della trascendenza, a discapito di quelle istituzionalizzate, riformulazioni culturali destrutturate ed individualizzate a misura di una società dove l’identità dell’individuo, lungi dall’aderire esclusivamente ad una precettazione di natura sociale/collettiva, viene, sempre più, costruita attraverso “passaggi”, molto spesso, del tutto soggettivi e de-ritualizzati.


Bibliografia:

Izzo A.
1994, Storia del pensiero sociologico, Bologna, Il Mulino.

Rossi P.
1983, Cultura e antropologia, Torino, Giulio Einaudi Editore.

Van Gennep A.
1937, Manuel du folklore francais contemporain, Parigi, Librairie Stock.

Van Gennep A.
1981, I riti di passaggio, Torino, Universale Bollati Boringhieri.

A cura di Andrea Villa


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