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Politiche del lavoro e immigrazione: il decreto flussi

Lo stretto legame tra contrasto delle forme di irregolarità del soggiorno e programmazione dei flussi di lavoratori stranieri è sempre stato alla luce del sole, non soltanto nel dibattito politico e legislativo italiano, ma anche e, soprattutto, in quello europeo.
Tuttavia, quel che abbiamo chiamato, da parte dello Stato, possibilità di generare, attraverso strumenti legislativi come il decreto flussi, un concreto percorso di inserimento sociale, merita una più approfondita specificazione nei termini della sua effettiva stabilità. L’inserimento lavorativo, oltre a prefigurare, per ogni individuo, un concreto inserimento sociale, risulta essere, per lo straniero, il presupposto necessario alla regolarità stessa del soggiorno. Il dibattito intorno alle politiche per l’immigrazione, in questo caso, sembra sovrapporsi a quello riguardante le profonde modificazioni subite dal diritto in materia di lavoro.
Certamente questo discorso non riguarda i lavoratori stranieri autonomi e quelli subordinati con contratto a tempo indeterminato (che non arrivano al 50% del totale delle quote annuali dei lavoratori extracomunitari), bensì, quelle quote di lavoratori destinate ad un impiego a tempo determinato e/o stagionale. È utile, a tal proposito, ricordare alcune stime sull’intero sistema del “mercato del lavoro italiano” tratte dal rapporto annuale dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale:
“Le stime attuali in Italia parlano di più di 4 milioni di lavoratori atipici, il 35% circa della forza lavoro complessiva. La consistenza di tali forme contrattuali, inoltre, aumenta se si guarda ai nuovi contratti avviati con lavoratori al di sotto dei 35 anni, tra i quali è ben il 65% ad essere atipico. E’ sufficiente qualche accenno ai dati relativi a periodi passati per cogliere in tutta la sua portata la trasformazione avvenuta e ancora in corso: nel 1975 ad avere un lavoro fisso era circa l'85% degli occupati, negli anni '90 la percentuale è scesa al 60%, mentre le proiezioni per il futuro prevedono che nel 2010 sarà appena il 25% della popolazione attiva ad avere un impiego stabile e sindacalmente protetto”.
Il dato rilevante, che sembra emergere dal rapporto annuale dell’I.n.p.s. , è costituito dalla descrizione di un apparente condivisione, seppur con motivazioni differenti, di un’esperienza comune di precarietà della vita tanto per i nuovi lavoratori italiani, quanto per i lavoratori e i cittadini immigrati o di origine immigrata, entrambi scissi tra la ricerca di una sostanziale stabilità di vita e di lavoro e una precarietà, prima di tutto, delle tutele e dei diritti che derivano, nel primo caso, dal lavoro e dalla sua forma contrattuale, nel secondo caso, dal possesso di un regolare permesso di soggiorno (a sua volta condizionato al possesso di un regolare contratto di lavoro, l. n. 189/02). “Da una parte, quindi, la prospettiva di una generazione a tempo determinato, dall’altra la vera e propria sperimentazione di una, seppur parziale, cittadinanza a tempo determinato”.

Tale prospettiva, dunque, risulta quantomeno contraddittoria, non solo dal punto di vista della concezione e condizione dello straniero nel nostro ordinamento, ma anche e soprattutto, per quanto riguarda la stretta correlazione che lega quest’ultima alla diversificata e frammentaria disciplina dei contratti nel mercato del lavoro italiano. È questo uno dei motivi per cui, in questi ultimi anni, è sensibilmente aumentata, da parte delle organizzazioni sindacali preposte, la percezione dell’importanza strategica di includere gli stranieri immigrati tra i loro iscritti, al fine di meglio rappresentare e rivendicare, di fronte alle istituzioni, quell’insieme di diritti di cui dovrebbero essere titolari tutti i lavoratori, tutti gli individui, a prescindere dall’identità nazionale. Lo sviluppo di tale percezione ha avuto il suo impulso decisivo nel momento in cui il legislatore ha ritenuto opportuno coinvolgere sindacati ed associazioni che gravitano intorno al fenomeno immigrazione nella redazione del cosiddetto documento programmatico: “visto il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni ed integrazioni, recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero ed, in particolare, l’articolo 3, comma 4, che dispone che la determinazione annuale delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato avviene sulla base dei criteri generali per la definizione dei flussi d’ingresso individuati nel documento programmatico”. Tale documento, di portata triennale, dovrebbe costituire, dunque, un utile strumento di concertazione tra istituzioni e parti sociali per la determinazione dei flussi di ingresso dei lavoratori subordinati. Tuttavia, per il triennio 2007-09, risulta essere ancora in “fase di progettazione”. In assenza di una programmazione ben definita i provvedimenti vengono dunque chiamati “transitori”.


Al lavoro di tipo stagionale, in cui sono prevalentemente coinvolti il settore agricolo e turistico-alberghiero, è dedicata l’approvazione di un apposito decreto flussi ancor prima dell’inizio dell’anno solare, tenendo conto della specifica dislocazione territoriale e settoriale del fabbisogno lavorativo. Per il 2007 sono stati 80.000 lavoratori stagionali ad usufruire della quota predisposta nel decreto (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 9 gennaio 2007, concernente la “Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori stagionali extracomunitari e dei lavoratori formati all'estero nel territorio dello Stato per l'anno 2007”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 59 del 12 marzo 2007), mentre per il 2008 è già stato approvato un analogo provvedimento di ugual misura.
Le altre tipologie di contratto a tempo determinato si confondono tra le quote dei decreti flussi rivolti al lavoro subordinato non stagionale rispecchiando, grossomodo, l’universo statistico disegnato dai dati annuali dell’I.n.p.s. sul lavoro atipico. Generalmente la programmazione dei flussi per lavoro subordinato si aggira intorno ad una media di 200.000 lavoratori stranieri per anno (l’ultimo decreto, approvato il 30/10/07 ed emanato il 30/11/07, prevede 170.000 “ingressi”). Bisogna, inoltre, ricordare che alcuni settori, come quello dei servizi infermieristici e di assistenza (colf e badanti), oltre ad essere destinatari di quote autonome all’interno dei singoli decreti, possono essere titolari di specifici provvedimenti e di revisioni continue, tenendo conto dell’eccezionale esigenza che si ha, nel nostro Paese, di questa particolare tipologia professionale.
L’entità dei flussi annuali programmati nelle quote dei decreti è sempre andata in crescendo passando dai 58.000 ingressi annui del biennio 1998-99 (prevalentemente stagionali) ai 79.500 l’anno, durante il triennio 2002-2004, fino ai 250.000 del 2007 (stagionali+subordinati non stagionali). L’incidenza della presenza straniera sul totale dei lavoratori in nero (non dichiarati) conosciuti attraverso l’attività di vigilanza dell’I.n.p.s. è, nel lungo periodo, sensibilmente diminuita, passando dal 40% circa della fine degli anni novanta al 19% odierno.
Il graduale aumento delle quote di accesso di lavoratori stranieri e la significativa diminuzione delle percentuali relative all’incidenza degli stranieri sul lavoro nero, tuttavia, sembrano costituire successi marginali rispetto alla reale condizione giuridica ed esistenziale di numerosi migranti. Peraltro il persistente soprannumero di domande per il nulla osta al permesso di soggiorno per motivi di lavoro, evidenziato dalle code fuori dagli uffici postali e dai dipartimenti per l’immigrazione, ha, da un lato, costretto il Ministero degli Interni a modificare e diversificare la natura dei provvedimenti e la dinamica delle procedure (quest’anno per la prima volta in via telematica), dall’altro, più volte evidenziato quel segmento dell’universo immigrazione che cerca di arrampicarsi per accedere alla regolarità del soggiorno/lavoro. Numerose ricerche sociologiche improntate su metodologie di tipo qualitativo, così come la pluridecennale testimonianza dell’associazionismo e del volontariato, narrano della situazione reale di moltissimi stranieri immigrati che vivono una vera e propria condizione di regolarità ad intermittenza. Termine che sembra indicare la giusta fusione tra il lavoro intermittente, frutto di una flessibilità poco credibile, anche agli occhi di molti italiani, e la precarietà giuridica dello straniero che ha vincolata la regolarità stessa del soggiorno agli istituti giuridici in materia di lavoro.

Andrea Villa


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