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Lo studio della morale in sociologia

Le opere successive dei sociologi hanno fatto propria queste due premesse (come visto entrambe derivate dall’analisi del pensiero di Durkheim), la prima come punto di avvio dell’analisi del condizionamento socio-culturale e la seconda come questione da sciogliere e superare nel tentativo di comprendere e spiegare la morale nei suoi rapporti con la società e l’individuo, evitando così un appiattimento della morale nel “sociale” ed in pari tempo rifiutando un’interpretazione rigidamente individuale che non tenesse conto della dimensione collettiva.

Quanto fin qui detto, però, non è sufficiente ad esaurire la definizione di sociologia della morale. In effetti, la consapevolezza della storicità della morale (per cui ciò che è stato percepito e definito morale è cambiato storicamente nei tempi) ed il conseguente riconoscimento che l’esperienza morale dell’individuo è condizionata dalla società è “rinvenibile, sia pure latamente, in tutta la storia del pensiero”.10
In senso più specifico, la sociologia si distingue da qualsiasi altra forma di studio della morale in quanto, oltre a richiamare la necessità già detta di un approccio empirico (cioè un approccio che analizzi la relazione partendo dal campo “dell’esperienza”, “della realtà quotidiana”), si caratterizza per un atteggiamento di indagine che è prevalentemente descrittivo. Questo aspetto dell’indirizzo sociologico trae origine dall’imporsi del positivismo ottocentesco nelle scienze sociali che, attraverso l’affermarsi dell’antropologia e della statistica sociale, nello specifico campo di studio della morale, intende sottolineare proprio la dimensione sociale, storica e antropologica della moralità. In sostanza, la sociologia rivendica per la morale, così come fa per ogni sfera del reale che intende studiare, la possibilità di un’indagine che si concentri sulla descrizione del condizionamento tra sociale e morale. L’approccio descrittivo, tuttavia, non dovrebbe esaurire lo sforzo sociologico nello studio della morale: la rappresentazione delle connessioni fra sistema sociale e morale può essere infatti declinato in maniera diversa conducendo a differenti possibilità d’analisi. Se si sottolinea la morale come insieme di doveri desunti da un codice etico, allora è ineludibile accostare all’approccio descrittivo, un intento esplicativo di matrice funzionalista; al contrario, se si enfatizza la dimensione pratica della morale, come azione, si può affiancare al primo uno studio propositivo che avanza considerazioni attorno alle condizioni intercorrenti tra i due poli. Se il comportamento morale è un’attività che si definisce entro le pratiche quotidiane e all’interno di una struttura sociale, allora è possibile studiare gli aspetti dell’ordine sociale che facilitano o ostacolino il formarsi di atteggiamenti e comportamenti morali.

Un ulteriore aspetto che legittima l’analisi sociologica della morale deriva da un secondo significato che investe la dimensione sociale sopraccitata: è necessario infatti precisare che nel riferirsi ad essa non si vuole intendere solamente la presenza di codici etici condivisi, storicamente relativi, ed il rapporto di autonomia-dipendenza verso essi che l’essere umano si trova inevitabilmente ad affrontare nella sua quotidianità, ma anche la stessa condizione di esistenza della morale. In altre parole è impensabile empiricamente approcciarsi alla morale come ad un attributo dell’essere in sé, isolato da altri esseri umani, in quanto non è possibile ritrovare un individuo separato dalla sua esistenza nella società. In questa seconda accezione, per dimensione sociale come condizione della morale si intende che la condivisione fra essere umani di uno stesso spazio è il presupposto empirico (e, come vedremo per alcuni approcci contemporanei, anche teorico) della morale. In altre parole, lo spazio dell’atto morale non può essere che uno spazio sociale.11

Nell’esperienza morale è primaria la consapevolezza che le proprie azioni abbiano conseguenze e che tali conseguenze possano essere giudicate come positive o negative sulla scorta di un qualche principio. Da questo presupposto ne deriva necessariamente che affinché tale consapevolezza emerga vi debba essere l’incontro con “l’oggetto” che solleva tale questione nella nostra coscienza, che ci chiama a rendere conto del nostro agire, che ci pone in equilibrio sul sottile filo tra dover fare e non dover fare.
Se “l’incontro” è l’esperienza dei limiti della nostra azione, del fatto di non essere una monade isolata che ha il mondo come proprio giardino, la domanda successiva allora è: qual è questo oggetto? Esso non può che presentarsi in un oggetto che è capace di instaurare, oltre ad un rapporto di dipendenza verso l’agente, anche una relazione di dominio, in quanto anch’esso consapevole delle conseguenze delle proprie azioni. L’oggetto, inoltre, deve essere riconosciuto dall’agente come simile e, in pari tempo, irriducibilmente diverso, come in grado di disporre della stessa consapevolezza e quindi, in ultima analisi, come essere umano.12
In sostanza è non-logico pensare alla morale come ad un attributo dell’essere individuo che non incontra altri esseri umani. Questo non significa che la morale sia al di fuori dell’essere umano, ma che l’essere umano si pone la questione morale “quale deve essere il mio agire?” solo nel momento dell’incontro con l’Altro. Così, in questa seconda accezione, per dimensione sociale come condizione della morale si intende che l’essere insieme come condivisione fra “esseri riconosciuti come umani” di uno stesso spazio è il presupposto logico della morale. In sostanza l’anelito etico, al di là dell’interpretazioni sulla sua origine, non può essere studiato prescindendo dall’esistenza in società dell’uomo.

In conclusione, a causa della sua dimensione sociale intesa nelle due diverse accezioni appena spiegate, è possibile e necessario per lo studio della morale anche un approccio sociologico. Un approccio, i cui confini tenderanno ineluttabilmente a confondersi con la filosofia morale per due motivi: da una parte, perché, al contrario di quanto affermava Durkheim, la morale è sì un fatto sociale, ma non è solamente o essenzialmente solo questo; dall’altra, perché, come ci ricorda Aron, nello studio empirico delle relazioni fra individuo e società nell’ambito della morale è inevitabile tradurre una visione dell’uomo, della società e della storia.

Manuel Antonini




11. Nel XIX secolo alcune opere letterarie (tra le più note si veda Robinson Crusoe di Defoe) hanno attinto al mito del selvaggio isolato, libero da qualsiasi legame con altri esseri umani. Di fatto, però, tale immagine resta un’astrazione letteraria che ha poco da dirci sulla natura della morale. Nel suo libro Il borghese e il selvaggio. L’immagine dell’uomo isolato nei paradigmi di Defoe, Turgot e Adam Smith, Pisa, Ets, 2003 Alfonso fa notare come la rappresentazione dell’uomo isolato sia un modello universalizzante usato da questi autori per comprendere la vera natura dei rapporti economici-sociali del loro tempo. Ad esempio il modello del selvaggio all’inizio della storia di Robinson Crusoe, nasce da un processo di astrazione letteraria il cui fine è la critica del dominio imposto dalla cultura mercantile inglese sulle società indigene colonizzate. Il selvaggio-uomo di natura diventa così punto di avvio per la spiegazione dell’uomo sociale, una lente attraverso la quale guardare all’uomo moderno (assumendo così quello stesso ruolo che la figura dello straniero ha rappresentato in molte opere illuministiche e romantiche), uno strumento analitico e non una realtà da spiegare.
12. La tendenza storica che ha portato a ravvisare negli animali dei referenti morali non può discostarsi dall’emergere di una parallela umanizzazione dell’essere animale stesso. Le “attenzioni” sempre più diffuse sia verso gli animali domestici sia verso la fauna selvatica si sono, infatti, accompagnate con l’affermazione che gli animali siano simili agli uomini sulla base di una comune consapevolezza del dolore. Si veda a tal proposito l’interessante libro di P. Singer, Liberazione Animale, Milano, Il Saggaiatore, 2003.


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