La metafora è da secoli al centro del dibattito linguistico e filosofico. Tropo per eccellenza della retorica non ha mancato di suscitare diatribe in merito alla propria definizione fin dall'antichità e poi nei secoli successivi. Cristina Cacciari nel 1991 era costretta ad ammettere che non c'era una definizione univoca della metafora nelle diverse discipline, e anzi scriveva il suo "Teorie della metafora" proprio per dar conto delle ultime ipotesi nei diversi campi disciplinari in merito a questo tropo. Da Cacciari si coglie quanto la metafora sia di difficile definizione non solo nella linguistica, ma anche nella psicologia e nell'antropologia e che in tutti questi campi si stia delineando uno spostamento del focus, nella sua concezione, dal linguaggio al pensiero: si sta delineando "il passaggio da una concezione della metafora come fatto eminentemente linguistico a una centrata invece sulla sua natura concettuale"1 .

"In genere la metafora è stata definita come un paragone implicito: secondo la teoria della comparazione la metafora è una forma di trasferimento a un oggetto di un nome appartenente ad un altro: un trasferimento reso possibile da una comparazione in cui si asserisce che il primo termine (topic) ha una certa rassomiglianza col secondo termine (vehicle), rassomiglianza non sufficiente a rendere la comparazione un paragone letterale. Sicché comprendere una metafora vuol dire comprendere ciò che i due termini condividono (ground), la categoria sovraordinata cui entrambe appartengono e/o le rassomiglianze che li rendono paragonabili. Nell'espressione "il dente della montagna" abbiamo rispettivamente il termine metaforizzante "il dente" e quello metaforizzato "la montagna" che partecipano entrambi al genere "forma aguzza", che opera come categoria sovraordinata che ne guida la comprensione. Nel caso della frase "la rugiada è un velo", l'intersezione mostra le proprietà che rendono i due oggetti comparabili, e cioè la trasparenza, la brillantezza, l'essere coprente. Una volta che siano state individuate le somiglianze possibili fra i due termini, cioè le proprietà condivise, il processo di comprensione può dirsi compiuto."2 La metafora è dunque l'accostamento di due termini che provengono da due campi semantici diversi, secondo le più note teorie della linguistica.

Molto significativo per gettare nuova luce sulla definizione, e dunque sulla concezione stessa della metafora, sarà l'apporto della linguistica cognitiva. Questa branca delle neuroscienze cognitive, infatti, andrà molto a fondo nell'analisi della metafora, tanto da rintracciare in essa una specifica forma del pensiero, un modo di ragionare. E risalendo dal livello cognitivo di base a quello concettuale e poi semantico e sintattico, darà modo di comprendere come la metafora sia una parte fondamentale del tessuto linguistico di ogni cultura perché insita nel modo stesso di ragionare. Per avere un quadro più dettagliato di che cosa significhino le teorie proposte dalla linguistica cognitiva sulla metafora, è utile ripercorrere la nascita di questi studi a partire dagli albori.
Ricorda Lakoff, maggiore esponente di questo ambito disciplinare, che le sue ricerche sulla metafora ed il pensiero ebbero inizio nelle lezioni per gli undergraduate all'Università di Berkeley, quando, parlando di metafore, una studentessa, sconvolta, disse di avere avuto un grave problema con un una di esse. Il ragazzo di costei le aveva infatti detto che il loro rapporto "aveva imboccato un vicolo cieco"3. "La metafora, - ricorda Lakoff - secondo la posizione tradizionale, avrebbe dovuto essere una questione di discorso, non di pensiero; e ci trovavamo invece di fronte non soltanto ad un modo di parlare dell'amore come viaggio, ma a un modo di pensare all'amore in quegli stessi termini e di ragionare sulla base di quella stessa metafora."4 Vale a dire che nel momento in cui un ragazzo parlava alla propria fidanzata di "vicolo cieco", le possibilità per la loro coppia di proseguire erano realmente le stesse di un ipotetico veicolo che si trovi in un vicolo cieco: quasi nulle. Partendo da quella metafora con cui una studentessa aveva avuto problemi reali, il linguista giunse a concepire una teoria della metafora come riguardante non più soltanto il piano del linguaggio, ma a tutti gli effetti quello del pensiero, e, con una analisi puntuale e dettagliata di moltissimi modi di parlare dell'amore, capì in che modo un dominio semantico si strutturava nei termini di un altro.

Nella sua analisi George Lakoff prese in considerazione, sì, le metafore più chiaramente riconoscibili, in base alla comune definizione di questo tropo, che generalmente si adoperano nelle conversazioni riguardanti l'amore, e dove sono riconoscibili sia un oggetto - topic - sia un oggetto - vehicle. Ma anche tutti quei modi di dire che facevano riferimento in qualche modo alla dimensione del viaggio, alla presenza di un percorso, di ostacoli, di vie, che comunemente non sarebbero etichettati come metafore, ma piuttosto come semplice parlare figurato. Il metodo di analisi linguistica non si rivolse, cioè, ai soli "enunciati metaforici", ma si diffuse a tutti gli usi del linguaggio riguardanti lo stesso concetto, l'amore. Come la metafora del vicolo cieco, esistevano moltissime altre metafore riguardanti l'amore, che avevano tutte a che fare con il viaggio. Gli esempi riguardavano le frasi più comunemente usate per parlare dell'amore che il linguista riscontrò nel linguaggio americano.

"Non andremo da nessuna parte"
"E' una strada lunga e accidentata
"5

Aggiungendo alcuni esempi tratti dalla lingua italiana si nota come l'intuizione avuta dal linguista statunitense sia valida anche fuori dai confini nazionali e possa riguardare anche altre lingue. Si sentono spesso infatti frasi dello stesso tipo di quelle evidenziate da Lakoff per riferirsi alla vita di coppia e all'amore.

"Può darsi che ciascuno di noi debba prendere la propria strada"
"Il rapporto non sta andando da nessuna parte"..


La riflessione che queste evidenze linguistiche ispirarono in Lakoff fu che esisteva un modo comune di concettualizzare l'amore a cui tutte le metafore linguistiche citate e i modi di dire facevano riferimento. E cioè che l'amore fosse un viaggio. La metafora, dunque, non si limitava a sostituire un oggetto ad un altro all'interno di una frase isolata costringendo ad interpretare il ground comune ai due. Essa, piuttosto, spesso diventava un vero e proprio modo di organizzare un concetto tramite la struttura di un altro concetto: nell'esempio citato l'amore era organizzato nei termini del viaggio. E la metaforizzazione non si limitava a semplici frasi isolate, ma era presente e visibile in moltissimi modi di parlare di un concetto.

Il metodo della linguistica cognitiva non si fermò, quindi, alla sola constatazione di un accostamento tra due oggetti. Ma andò ad indagare il modo in cui i due concetti erano correlati. Lavorando in questo modo Lakoff si accorse che il dominio dell'amore aveva un precisa strutturazione nei termini del viaggio, vale a dire che la struttura del concetto di viaggio era proiettata sul concetto di amore, in modo che le varie parti del dominio fonte coincidessero con parti del dominio target. Il dominio fonte, il viaggio, aveva una determinata struttura, formata dai partecipanti, dalle parti, dagli stadi, dalla sequenza lineare, dalla causalità e dal proposito. Questa struttura veniva proiettata sul dominio dell'amore, in modo che i due innamorati fossero i viaggiatori, il cui rapporto rappresentava il mezzo di trasporto che li conduceva verso un obiettivo comune, la meta del viaggio. Gli ostacoli del rapporto erano gli ostacoli che il veicolo doveva sorpassare per arrivare a destinazione. Una dettagliata mappatura permetteva di riconoscere nel dominio dell'amore alcune dimensioni fondamentali del dominio del viaggio e permetteva a Lakoff di affermare che il dominio dell'amore era concettualizzato nei termini del viaggio. E veniva vissuto proprio in quei termini dalle persone che condividevano quella strutturazione metaforica.

Da un'analisi linguistica si era giunti, così, ad una approfondita indagine della struttura dei concetti e, insieme ad essa, ad una ipotesi su come il comportamento fosse ampiamente influenzato dalla configurazione dei propri concetti. La metafora, lungi dall'essere un fenomeno soltanto linguistico, aveva a che fare con il modo in cui il sistema cognitivo umano organizzava i propri concetti, con il modo di ragionare e, di conseguenza, di agire: faceva parte a tutti gli effetti della vita quotidiana delle persone improntandone i meccanismi cognitivi e, di conseguenza, decisionali.
Così Lakoff ha ipotizzato nel sistema cognitivo la presenza della metafora concettuale come modalità di pensiero. Con la linguistica cognitiva il termine metafora si sposta dal piano della lingua per definire una modalità di svolgimento del pensiero e di concettualizzazione. Attraverso la metafora, cioè attraverso la mappatura di un dominio concettuale nei termini di un altro, i concetti prendono una forma che prima non avevano, esattamente la forma del dominio fonte. Prima di indagare quali conseguenze questo metodo di organizzazione delle esperienze rechi nella comunicazione delle proprie idee e dunque anche nella ricezione di questa comunicazione da parte di un ascoltatore- interlocutore, è importante capire quale tipo di strutturazione sia possibile, cioè che tipo di metafore sia possibile instaurare per concettualizzare. A questo proposito Lakoff afferma che i domini fonte sono organizzati principalmente in immagini schema e frames, che corrispondono ai modi in cui le esperienze vengono immagazzinate all'interno del cervello, secondo la teoria neurale del linguaggio.

Note bibliografiche
1 CRISTINA CACCIARI (a cura di), Teorie della metafora, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1991
2 ib.
3 ib.
4 ib.
5 ib.

Chiara Taizzani
Articolo tratto dalla tesi Metafore e frames nella comunicazione politica. Il caso del linguaggio di Beppe Grillo