"Non c'è educazione se non si pensa ad una società di un certo tipo. L'educazione non è staccata dalla cultura e dalla civiltà stessa" (Dewey, Cultura e educazione).

L'educazione è il passaggio tra la cultura e la società; è un atto spontaneo e naturale, intenzionale, teso a metter l'individuo nelle condizioni di introiettare in sé la cultura del proprio ambiente di vita, ed essere così un membro sociale, realizzando se stesso nei limiti che la società e il rapporto con gli altri gli impone.
La figura dell'educatore professionale nasce dall'affermazione di una cultura del diritto di cittadinanza di ognuno nella società.
La nuova ideologia fiorisce intorno agli anni '70 grazie alla politica riformista ed innovativa del Welfare State, il nuovo "stato sociale", che pone le basi per lo sviluppo di tale professionalità. Tuttavia è da ribadire che i concetti e i pregiudizi radicati negli anni sono veramente ostici da scalfire, e le radici, nonostante continui tentativi di estirpazioni e trattamenti, rimangono imperturbabili nella memoria sociale, verosimilmente elementi della memoria collettiva.
Per questo, nonostante i grossi cambiamenti che si proponevano in quel periodo, la società ha dato i presupposti per l'innovazione ma è rimasta legata ai vecchi principi, modelli culturali, politici ed economici.

Queste desuete concezioni che stagnano tutt'ora nel sottosuolo sociale sono le concause, e ne esplicito alcune:
- la debolezza dell'educazione, che si è suddivisa nelle diverse agenzie formative. Educazione che non è più un nucleo armonico, con a capo la famiglia e a seguito l'educazione scolastica; bensì una giungla sociale fatta di mass media, antitetiche correnti e fenomeni di costume, che si distribuiscono malamente nel cammino dei nostri figli e ne fanno individui confusi e decostruiti, pieni di falsi bisogni inculcati dal consumismo.
Dati preconcetti obsoleti sono:
- la resistenza della cultura dell'emarginazione, legata al concetto di carità e vocazione, dove il risultato è lo sviluppo della persona dipendente dall'atto caritatevole. Persona che è in condizioni di disagio ed inferiorità, per la quale non si punta allo sviluppo delle sue autonomie, per renderla persona dignitosa e ridurre al minimo la dipendenza e l'asimmetria sociale;
- l'ideologia liberista, legata al recupero funzionale del soggetto in rapporto alla sua capacità produttiva, una concezione che si lega ai paradigmi medico scientifici, in cui la persona viene vista come un'unità anatomico funzionale, suddivisa in apparati, dove esiste la patologia e la terapia. La guarigione, e quindi il recupero della funzionalità connesse alla produzione, o la malattia, ovvero la non guarigione e il peso sociale, dicotomie di derivazione ottocentesca tutt'altro che olistiche e umaniste, che comunque regnano ad oggi nel contesto istituzionale economico e sociosanitario.

La nuova concezione dell'educazione di fatto risiede in altri modelli; l'educazione deve essere intesa come cambiamento della persona, attraverso l'introiezione di socialità, autonomia, competenze, identità e integrazione, con l'ausilio di professionalità educative.
Nella nuova e diversa concezione, la guarigione non esiste più: Esiste il cambiamento, che diventa concetto fondamentale del lavoro educativo.
L'educatore accompagna la persona attraverso il cambiamento, aiutandolo a valorizzarsi, muoversi nell'ambiente sociale in modo tale che possa trovare un benessere esistenziale ed una vita più accettabile.
Il suo mandato si fonda sulla tutela dei diritti della persona, del rispetto della sua diversità, dello sviluppo delle sue potenzialità. Il valore diviene operativo attraverso la relazione, il contesto, ossia la rete sociale e l'ambiente, il progetto, il lavoro di gruppo, la supervisione e la formazione.
In conclusione, l'educatore diventa la figura che deve garantire all'individuo la possibilità di essere persona a tutti gli effetti.


Serena Zaniboni
I colori dell'emozione: esplorazione della produzione artistica come mezzo comunicativo non convenzionale