Il linguaggio, come sappiamo, assume diverse funzioni. Una prima modalità d'uso potrebbe chiamarsi epistemica: con essa il parlante rappresenta mediante il linguaggio il suo sapere.
Una seconda modalità potrebbe chiamarsi teleologica: con essa il parlante esprime in forma linguistica l'intenzione di perseguire un obiettivo.
La terza e ultima modalità è quella comunicativa tramite cui il parlante ricerca un'intesa o un accordo intersoggettivi.

I primi due usi del linguaggio non necessariamente richiedono un'interazione interpersonale avente luogo in una situazione comunicativa.
La situazione comunicativa presuppone sempre un riconoscimento intersoggettivo delle pretese di validità sollevate: in una situazione comunicativa il parlante non vuole solo informare il suo uditorio dell'accadere di un fatto nel mondo oggettivo o di una sua intenzione; vuole bensì che anche gli altri partecipanti condividano il suo sapere o prendano sul serio le sue intenzioni.
Ma nell'affermare: "Questo vestito è giallo", oppure: "Voglio andare a Parigi", non necessariamente il parlante punta al riconoscimento intersoggettivo delle sue azioni linguistiche; non necessariamente vuole che gli altri accettino le pretese di validità sollevate.
Più semplicemente potrebbe solo voler mettere al corrente altre persone di tali avvenimenti.
In una situazione comunicativa, diversamente, il parlante raggiungerebbe il suo fine illocutorio con l'accettazione della sua pretesa di verità nel primo caso e della sua pretesa di veridicità nel secondo; ovvero nel caso in cui l'ascoltatore giungesse a condividere il suo sapere nel primo caso: "Sì è vero, questo vestito è giallo". Oppure credesse alla sua intenzione nel secondo caso: "Sì ti credo".

Diversa è la situazione nell'uso comunicativo del linguaggio; qui il parlante avanza non soltanto pretese di verità o veridicità ma entrano in gioco anche pretese di giustezza normativa le quali presuppongono fin da principio un mondo sociale e quindi un orizzonte intersoggettivamente condiviso.
Esse perderebbero la loro stessa ragion d'essere al di fuori di un riconoscimento intersoggettivo.
Prendiamo questo esempio: "Ti ordino di fare come ho detto".
Con questa azione linguistica il parlante non intende mettere il suo uditore al corrente del suo imperativo, quanto meno il suo proposito non si esaurisce unicamente in ciò.
Il suo scopo è piuttosto che il l'uditore capisca cosa conferisce al parlante il diritto di avanzare simile pretesa di validità e che l'accetti.
Se l'uditore comprende il contenuto proposizionale dell'imperativo rivoltogli ma non accetta la pretesa di giustezza normativa sollevata allora il parlante non raggiunge il suo fine illocutivo.

Riguardo a quest'ultimo impiego del linguaggio, ovvero l'impiego comunicativo, esiste una versione debole e una forte.
Nella versione debole i parlanti si prefiggono come obiettivo il raggiungimento di un'intesa alla base della quale possono stare anche ragioni diverse; l'uditore può accettare la pretesa di validità avanzata dal parlante perché comprende le ragioni che lo motivano e pur non facendole proprie tuttavia le accetta.
In tal caso le ragioni sono completamente dipendenti dal parlante e, pertanto, legate ad un dato contesto e ad una data situazione; l'uditore accetta, pur non condividendola, la ragione R in quanto la ritiene buona per un determinato parlante P che si trovi in una determinata situazione.

In un altro scenario la stessa ragione potrebbe venire respinta dal medesimo uditore. Pertanto la pretesa di validità avanzata non viene accettata di per sé ma solo in relazione a chi la solleva.

Nella versione forte dell'uso comunicativo del linguaggio, invece, i parlanti puntano al raggiungimento di un accordo il quale, per non ridursi ad un banale compromesso, deve essere accettato da tutti i partecipanti per le medesime ragioni.
Si passa dalla semplice intesa all'accordo quando le pretese di validità vengono inserite in contesti normativi entro cui già si muovono i partecipanti all'azione comunicativa.
Di conseguenza quello che prima era un semplice invito come, ad esempio: "Ti invito a smettere di fumare" diventa una richiesta normativamente autorizzata quando a formularla è, mettiamo il caso, un assistente di volo durante la fase di atterraggio.
In questo caso, infatti, le ragioni della richiesta sono universalmente comprese e condivise al di là di chi avanza tale pretesa di validità.
Quando le pretese di validità vengono normativizzate vengono inserite nel mondo sociale delle norme intersoggettivamente condiviso e, pertanto, vengono divincolate dal soggetto particolare che le solleva; vengono accettate di per sé a partire dalle stesse ragioni per tutti i personaggi coinvolti.

Samanta Airoldi
Morale e agire comunicativo in Habermas