L'ingresso del teatro nella scuola, a partire dagli anni Settanta, si deve per lo più a quei docenti che, per far fronte alla messa in crisi dell'insegnamento tradizionale, hanno sfoderato tutte le loro capacità di animazione, rifacendosi alla formula del ludendo docet: un programma educativo a radice teatrale. Il compito dell'animatore-conduttore teatrale è delicato: egli deve dare libero spazio alle proposte dei bambini, sapendo dirigere, poi, sapientemente, le loro energie creative utili all'azione scenica e alla loro costruzione interiore e personale.

L'importanza pedagogica del gioco scenico sta nel condurre il bambino a passare da un mondo egocentrico (narcisistico), dove tutto l'esito consisteva nel soddisfare le proprie tendenze e la propria immaginazione, a un mondo aperto agli altri, dove il bambino non offre solo se stesso e le sue capacità, ma subisce anche responsabilizzanti richieste.
Inoltre nel presentarsi in pubblico, l'esperienza personale e la creazione intima restano ancora condizioni importantissime ed essenziali per coinvolgere un pubblico di spettatori. Non basta più, insomma, esprimere, occorre comunicare. Qui avviene un passo avanti di somma portata educativa, tale che stupisce di trovare gran parte della scuola italiana irrigidita nel rifiutarlo. Sembra emergere da queste affermazioni l'esigenza, propria dei percorsi teatrali scolastici contemporanei, di accontentare sia coloro che ritengono il processo laboratoriale molto più importante dello spettacolo, sia la maggioranza delle istituzioni che sono sempre molto più interessate al prodotto finale. D'altronde, la scuola si schiera dalla parte del teatro con un duplice fine: quello che ravviva le possibilità di formazione e quello che punta alle rappresentazioni.

L'attenzione si concentra in particolar modo su quest'ultime a partire dagli anni Ottanta, quando numerosi gruppi teatrali emergenti propongono ai ragazzi degli spettacoli preconfezionati, limitando notevolmente la loro presenza creativa, rendendoli meno protagonisti dell'avvenimento teatrale. Il gioco aiuta il bambino a scoprire e a conoscere nuovi aspetti della propria personalità e non è fine a sé stesso poiché è uno strumento di formazione del carattere. In uno spettacolo preconfezionato, se al bambino viene imposta una parte, egli vive in maniera negativa l'esperienza teatrale, di relazione con sé stesso e con gli altri. Se invece il gioco teatrale non gli viene imposto e si dà spazio alla sua creatività, l'esperienza è decisamente positiva dal punto di vista della sua crescita umana e personale.

Una figura particolarmente significativa è senza dubbio quella di Mario Lodi, che ha tentato di rivoluzionare i canoni dell'insegnamento tradizionale lasciando esprimere i propri alunni in modo libero e giocosamente creativo. Non a caso l'elemento teatrale entrava nella scuola di pari passo con un aspetto ad esso strettamente correlato: l'elemento ludico, da cui deriva la capacità di considerare lo sviluppo della personalità del bambino in tutta la sua globalità e complessità. Il gioco ha saputo così sopravvivere a quella cultura antiteatrale che l'aveva emarginato dai modelli educativi. Insegnanti come Mario Lodi hanno avuto e hanno un'importanza notevole nei processi teatrali scolastici, ma sempre più, oggi, vi sono numerosi gruppi teatrali, esterni alla scuola, che si occupano del Teatro Ragazzi, perfezionando gli aspetti ludici delle loro iniziative: ad esempio, il Teatro Prova di Bergamo, che ha proposto nel 2003 la Rassegna "Giocar Teatro", o la Sezione Aurea, cooperativa teatrale sempre bergamasca impegnata in laboratori, spettacoli, corsi di formazione e aggiornamento per docenti.

In un progetto di animazione ambientale per le scuole elementari, la Sezione Aurea ha promosso "La città amica e la città nemica", per sollecitare attraverso forme ludiche, drammatizzate e fantastiche, l'attenzione dei bambini ai problemi della città: inquinamento, traffico, mancanza di spazi verdi e adeguati. Per quanto riguarda l'animazione stradale, gli operatori hanno utilizzato il veicolo della lettura e della narrazione e non sono mancati giochi con il corpo, con la voce e con materiali vari, anche di scarto. Portiamo un ulteriore esempio dell'uso del gioco come strumento formativo nei percorsi di teatro e scuola, in questo caso indirizzato ai docenti: quello di Ravenna. Nel 2002 il Provveditorato ha riconosciuto un progetto per l'aggiornamento degli insegnanti articolato in quattro corsi, dei quali uno teorico e gli altri a impostazione di seminario pratico. Scrive Maria Rita Alessandri, conduttrice del primo e del secondo corso, a proposito del gioco come macchina della rappresentazione: punto di partenza del laboratorio sono i giochi della tradizione popolare esplorati come macchine della rappresentazione sia dal punto di vista linguistico (il corpo, la voce-suono, lo spazio), sia nel rapporto con le strutture narrative del mito e delle fiabe, e con le strutture del rito.

La ricerca articola due direzioni. Una riguarda il corpo che nei giochi della prima infanzia costituisce il luogo e l'oggetto del "gioco del teatro". Il linguaggio evocativo usato innesta una ricerca sulle mani-burattino e il corpo-maschera. Il corpo diventa un materiale plasmabile per creare immagini attraverso segni significativi che appaiono e scompaiono con un gesto, una materia narrativa. L'altra direzione di ricerca esplora una drammaturgia che sperimenta il gioco come "scrittura scenica" di narrazioni. Questo permette di coinvolgere i bambini nel gioco teatrale. Si racconta una storia che loro vivono come un'avventura e che possono agire in prima persona. L'ipotesi drammaturgica consiste nell'operare uno spaesamento tra Teatro e Gioco, operazione produttiva per entrambi, perché il Teatro, mettendo in visione il Gioco, lo connota come macchina della rappresentazione, ed il Gioco, coinvolgendo attivamente i giocatori-attori, trasforma il Teatro in uno spazio di esperienza che conserva la filigrana emotiva del gioco. In questo modo avviene uno fusione tra teatro e gioco, perché dove l'uno accresce la propria dimensione ludica conservando e stimolando le emozioni, l'altro è decisamente innestato nel mondo del come se e ne preserva i confini.


Maria Rita Parenti

Articolo tratto dalla tesi Il gioco teatro nella dimensione terapeutica e didattico-educativa