Secondo la teoria dell'etichettamento (label theory) la società è il fattore più importante ai fini dell'identificazione della devianza; il discorso si sposta così dall'individuo alla volontà della pubblica opinione: è la collettività stessa, nel definire determinate norme, a creare la devianza. L'atto deviante infatti per essere considerato tale deve produrre una reazione sociale.
Così il relativismo culturale, ripreso dall'interazionismo simbolico, diventa il punto di forza della corrente: non può esistere un orientamento deviante in sé e per sé, l'essere devianti costituisce un'etichetta che gruppi forniti di potere affibbiano a certi soggetti a causa della loro diversità. Quindi conformismo e devianza sono relativi a parametri propri di particolari gruppi.

I tre capisaldi della label theory sono:
- nessun atto è intrinsecamente deviante, ma dipende dalla reazione sociale che suscita;
- poiché ogni soggetto devia e si conforma, viene scartata la dicotomizzazione fra devianti-"normali";
- il "labeling" è un processo che produce, alla fine, un senso di identificazione con l'immagine deviante e con la relativa subcultura, per cui da parte del deviante si ha un rifiuto di coloro che lo hanno rifiutato.

La label theory si interessa soprattutto all'interazione fra deviante, contesto sociale e consequenziale controllo sociale. Infatti è da notare che vi è uno stretto rapporto tra etichettamento e controllo sociale e che in molti casi per ottenere il controllo sociale si riordinano le relazioni umane attraverso la ridefinizione di una persona o di una situazione. In tal modo si limitano le possibilità dell'etichettato e si produce una devianza secondaria, e cioè l'accettazione del ruolo di deviante da parte del soggetto stesso, per difesa o attacco contro gli etichettatori.
In conclusione si può affermare che secondo la label theory:
- la devianza non è una proprietà intrinseca ai comportamenti, ma è conferita dalla percezione sociale, ed è perciò, conseguenza dell'applicazione di etichette e sanzioni nei confronti dei trasgressori;
- si ha una prospettiva sequenziale: si percorre un cammino secondo cui le motivazioni devianti non preesistono al comportamento (Becker);
- il percorso dell'identità deviante porta, a causa della "profezia che si autoadempie", all'acquisizione dell'identità deviante;
- centrale è lo studio delle diverse norme nei differenti gruppi.

Alcune critiche mosse, anche dallo stesso Lemert, contro la label theory, furono:
- l'incapacità di spiegare gli impulsi che spingono a compiere atti di devianza primaria;
- l'estremo riduttivismo nell'affermare che solo l'età, l'estrazione sociale e la razza sono variabili influenti sull'etichettamento;
- la mancanza di adeguati supporti empirici alle affermazione teoriche;
- l'etichettamento non è una condizione né necessaria né sufficiente ai fini della costituzione di un'entità o subcultura deviante; infatti l'assenza di etichettamento non preclude il sorgere di un'identità deviante;
- non è stata data una definizione specifica di cosa si intende con il termine di "reazione sociale";
- la teoria non propone linee di sviluppo per risolvere il problema dei devianti, piuttosto approda in un passivo atteggiamento di tolleranza, di "laissez-faire"

Valentina Claudili
Articolo tratto dalla tesi Il percorso evolutivo del concetto di devianza