In tempi ancora relativamente recenti se confrontati con la lunga storia del teatro, la rappresentazione scenica utilizzata come "animazione" per finalità di espressione di sé e capacità di comunicazione è stata adottata in varie esperienze nell'ambiente scolastico.
Ricordo ad esempio il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) nato nel 1955, propugnatore di nuovi strumenti pedagogici facilitanti la libera espressione di ogni singolo alunno, affinché potesse prendere coscienza - nell'interno della classe scolastica - delle proprie potenzialità creative.

In seguito, un'esperienza ancora più integrata fra animazione e teatro si ebbe nell'età della "contestazione scolastica", con i fermenti innovativi che questa stagione mise in moto. Alla fine degli anni Sessanta, appare il saggio di Walter Benjamin dal titolo: Programma per un teatro proletario di bambini, che accentua la impostazione e la organizzazione collettiva del teatro con i ragazzi, che deve diventare "ambito globalizzato e privilegiato della educazione di classe del bambino proletario". Tale impostazione marxiana è temperata, in altre esperienze anche di cultura educativa cattolica, dal richiamo alla capacità creativa infantile suggerendo che non si limiti a "fare teatro" solamente per divertirsi, ma anche per riflettere sul mondo e concorrere a modificarlo. Si cerca di recuperare, in tal modo, una potenzialità educativa che in passato fu largamente affidata anche al teatro giovanile, scolastico, sempre tuttavia amministrato e condotto dagli adulti educatori.

Si fa riferimento alle esperienze di Comenio1, o a S. Filippo Neri (per il teatro in musica) ed infine di Ignazio di Lojola per il teatro in prosa e per la danza e successivamente delle scuole dei Gesuiti, che:

[…] consideravano l'educazione per mezzo del teatro uno strumento fondamentale per la formazione dell'uomo, attraverso la sicurezza espressiva e la padronanza della lingua, e per ispirare buoni sentimenti negli spettatori.
Si trattava di educare i giovani delle future classi dirigenti a padroneggiare le proprie capacità espressive, sia linguistiche che gestuali, imparando ad essere spigliati e sicuri di sé, in grado di farsi comprendere dagli interlocutori2.


Questa esperienza è ancora viva nell'Ottocento con l'opera di Don Bosco, il salesiano educatore dei giovani proletari, che (sempre ricorda Viotto) non solo compose personalmente alcuni testi teatrali, come Disputa con un pastore protestante di argomento apologetico, e Sul sistema metrico decimale di argomento civile, per aiutare il Governo piemontese a diffondere i nuovi sistemi di calcolo, ma anche nei suoi scritti pedagogici indicò alla sua congregazione precise regole di metodologia educativa per le rappresentazioni teatrali.

Secondo F.M. Buongiovanni (citato da Piero Viotto), per Don Bosco il teatro deve essere ricreativo, istruttivo, occasione di apprendimento; educativo (stimolo alle creatività, iniziativa, impegno, crescita personale); semplice; breve (perché non deve stancare con la troppa lunghezza); morale (rifiuto di ogni atteggiamento antiumano). Molto importante - nella storia del teatro pedagogico - mi sembra l'esperienza di Don Bosco perché si tratta di un "teatro di ragazzi, fatto da ragazzi e diretto a ragazzi", ciò che anticipa in qualche modo le posizioni (già descritte) di Benjamin e il tentativo sperimentale ma breve del 68' italiano nel teatro scolastico (si vedano gli scritti raccolti, ad esempio, nel fascicolo 1-2 del 1971 di «Vita e Pensiero» , anno 54°)3.

Claudio Bernardi, nel 1987, tira le conclusioni con l'articolo Teatro ragazzi: il movimento, l'effimero, lo stabile4. In pochi anni, troviamo nella società una situazione profondamente cambiata della animazione teatrale.
Il teatro, come tale, viene ormai proposto come possibilità espressiva più ampia, fuori della scuola e rivolto potenzialmente a tutti. Raramente è un insieme di dilettanti (ad esempio cooperative della "terza età"), normalmente è affidato a professionisti. Anche l'animazione si frammenta penetrando in tutti i luoghi comunitari attraverso operatori appositi, che non sono in generale attori professionali, anche se sono persone dotate di capacità di comunicazione. Essi operano (ad es. nelle case di riposo, nei luoghi turistici e villaggi vacanze etc.) con attività di intrattenimento e spettacolo che ricercano - se mai - l'effetto ludico e ricreativo, non certamente quello educativo.

Un particolare genere di animazione, questa volta condotta da Comunicatori particolarmente vivaci, si afferma in televisione nelle "sponsorizzazioni" di giochi mnemonici, concorsi a premio e così via.
Scompare, in pratica, il teatro nella scuola, e si può ben condividere quanto ebbe a scrivere Bernardi: "Gli uomini di teatro, rifiutando di occuparsi di cose altrui (l'educazione), ricercavano il proprio campo specifico di azione e di ricerca, la propria identità ancora a teatro. Ai teatranti il teatro, agli educatori l'educazione5".

Note

1 Riferisce Viotto che Comenio raccontava nei suoi scritti di allestire in ogni classe, almeno quattro volte all'anno, uno spettacolo per sceneggiare gli avvenimenti della vita scolastica e sociale, giacché nella immedesimazione con il personaggio rappresentato l'educando può imparare a conoscere e a capire gli altri, e l'educatore, studiando il modo di comportarsi dell'allievo nella finzione scenica, può meglio conoscere la natura di ogni educando.
I Gesuiti invece fecero delle rappresentazioni teatrali un momento di festa nella vita della istituzione religiosa per coinvolgere docenti e discenti, attori e spettatori. I testi, preparati dai professori di retorica, erano tratti dalla Sacra Scrittura e talvolta dagli avvenimenti della vita; la rappresentazione era diretta da un regista chiamato "choragus" che doveva raccordare i diversi ruoli dei partecipanti.
2 P. VIOTTO, voce "Teatro", in M. LAENG (a cura di), Enciclopedia Pedagogica, vol. IV, Roma, La Scuola, 1992, p. 1780.
3 Per maggiori dettagli, l'articolo di M. GAGLIARDI, Verso una nuova drammaturgia in «Vita e Pensiero», anno 54°, 1971, pp. 65-69.
4 C. BERNARDI, Teatro ragazzi: il movimento, l'effimero, lo stabile in «Vita e Pensiero», anno 70°, 1987, pp. 709-714.
5 Ivi, p. 713

Marzia Castiglione

Articolo tratto dalla tesi, Teatro e diverse abilità