Il tema dell'intercultura ha fatto recentemente la sua comparsa negli studi, sempre più numerosi, che trattano dell'incontro tra differenti culture. A differenza dell'idea di multicultura, ciò che l'intercultura sottolinea è l'interazione tra culture diverse.
La multicultura non è altro che la trascrizione oggettiva di una realtà di fatto, della compresenza su uno stesso territorio di diversi popoli, etnie, lingue, valori. Non dà alcun giudizio di valore, è una semplice registrazione della composizione estremamente complessa del villaggio globale, secondo un'impostazione di tipo relativista.

Il termine multiculturalismo è utilizzato, in molti casi, per descrivere lo stato delle società occidentali moderne, definito dalla presenza simultanea di una pluralità di gruppi differenti che fungono da base per l'identificazione, il riconoscimento e l'orientamento dell'azione dei loro membri. La multicultura si esprime all'interno delle metropoli dando luogo, spesso, a un multiculturalismo "soft". I modi di vivere e le abitudini di consumo della parte benestante ed istruita della popolazione vengono modificati da elementi provenienti dalle culture degli immigrati o, comunque, dalle subculture presenti nelle città. I quartieri arabi, i ristoranti cinesi, la musica reggae, sono alcuni esempi della multicultura urbana. Più che un incontro reciproco con le diversità, questi fenomeni esprimono il bisogno di realizzazione personale degli individui che, riconoscendosi in un certo modello di cosmopolitismo coltivano ed ostentano la loro identità multipla1.
D'altro canto, la politica multiculturale si concentra su iniziative pubbliche miranti a farsi carico della diversità culturale all'interno della società per riconoscerla, tollerarla e, se possibile, incoraggiarla. Inoltre tale pratica, prende in considerazione le richieste di quanti rivendicano il riconoscimento di diritti particolari o di un trattamento preferenziale in riferimento a bisogni specifici di ciascun gruppo.

Il termine intercultura, invece, ha una valenza progettuale: rinvia ad un impegno comune che ha come fine l'incontro attivo tra soggetti portatori di culture differenti, aperti al dialogo, disposti a modificare e a farsi modificare. L'intercultura è orientata all'arricchimento reciproco finalizzato alla convivenza pacifica e alla ricerca collettiva di soluzioni appropriate per far fronte alle difficoltà del multiculturalismo2.

Attraverso l'intercultura è possibile realizzare la transcultura, cioè la capacità di muoversi all'interno di diverse culture senza essere totalmente assorbiti da nessuna di esse; il che è possibile solo quando riconosciamo ogni cultura come espressione di un fondamento comune a ciascun uomo3. Poter transitare tra le diverse espressioni delle società umane significa essersi appropriati dei principi dell'intercultura e saperli esprimere nelle diverse situazioni di incontro con l'altro.
L'intercultura è anzitutto riconoscimento dell'altro e relativizzazione del proprio sistema di valori ed idee (come insegna il relativismo culturale) per evitare di spiegare ed interpretare inconsapevolmente i sistemi di vita degli altri attraverso le nostre categorie concettuali. Si tratta di comprendere il rapporto accomodativo possibile tra identità ed alterità attraverso cui l'identità culturale si costituisce come esperienza di apertura e confronto continuo con l'altro, definendosi come esperienza continuativa di distinzione ed incontro, coesione e separazione, allontanamento e ritorno al sé. Un'attività che dà luogo a cambiamenti, trasformazioni ed integrazioni a seguito delle esperienze di confronto con le alterità.

L'intercultura ha come punto di origine la consapevolezza delle tante diversità che condizionano e connotano lo sviluppo delle società. La transcultura è possibile sullo sfondo di un progetto sociale finalizzato alla costruzione e allo sviluppo di un pensiero aperto, problematico ed antidogmatico. Un pensiero ed una prassi politica capaci di decentrarsi e di allontanarsi dai propri riferimenti valoriali per andare verso nuove culture comprendendo le differenze e le analogie, e di tornare nella propria cultura di riferimento utilizzando l'esperienza del confronto per valutare con maggiore coscienza la propria specificità negli aspetti più o meno positivi. L'intercultura quindi richiede di fare i conti con le proprie contraddizioni interne e di rimuovere le gabbie concettuali che distinguono le "nostre" dalle "loro" pratiche. La necessità di interrogarsi sui propri limiti, di confrontarsi per arricchirsi di nuovi elementi e di cambiare senza perdere la propria identità di riferimento.

"Essere portatori di intercultura significa, più in particolare, aver chiara consapevolezza dei caratteri storici e dinamici della propria e dell'altrui cultura, degli elementi di permanenza e di trasformazione, degli aspetti di complessità, di porcessualità, di interazione che collegano culture diverse, le distanziano e le differenziano ma anche le unificano e le integrano" (Pinto Minerva 2002:16).

Le prassi politiche inter/trans culturali si differenziano da quelle multiculturali perché il loro fine è l'incontro e lo scambio tra culture piuttosto che il riconoscimento dei diritti degli specifici gruppi sociali. Il problema fondamentale per la politica interculturale è quello di trovare soluzioni originali all'interno delle quali possano riconoscersi un insieme di attori sociali che facciano riferimento a contesti differenti e non di rado in conflitto tra loro. Un modello politico di questo tipo è caldeggiato, ormai da alcuni anni, da Galtung, diplomatico dell'ONU.

Il metodi di Galtung si compone di tre fasi (Galtung 2000). La prima riguarda la mappatura del conflitto: bisogna identificare gli attori coinvolti, gli scopi che intendono raggiungere e le incompatibilità tra questi ultimi. Questa è la fase che consente di rintracciare la catena causale all'origine del conflitto. Non esiste, però, una mappatura completamente esaustiva perché gli attori e gli scopi possono moltiplicarsi a dismisura. Ogni mappatura dunque, è un' ipotesi di lavoro sempre approssimativa.
La seconda fase riguarda la distinzione tra gli scopi legittimi ed illegittimi del conflitto. Ogni gruppo sociale ha degli scopi che possono essere realizzati solo grazie all'annientamento della parte opposta, ed altri scopi che hanno una propria ragionevolezza intrinseca e che possono armonizzarsi con i bisogni degli altri gruppi. La legittimità può attingere a tre fonti: la legge, i diritti umani ed i bisogni essenziali. Bisogna quindi considerare per ogni attore le pretese legittime, da tenere in considerazione, e quelle illegittime da scartare definitivamente.
La terza ed ultima fase riguarda il tentativo di lanciare dei "ponti" tra gli scopi legittimi approvati. È il momento della trasformazione: chiunque può proporre un "ponte" originale per mettere assieme scopi diversi ma egualmente legittimi, per una composizione armonica delle diverse parti in gioco.
Bisogna comunque tenere presente che con la risoluzione di un conflitto non si arriva mai all'integrazione totale; ci sono diversi passi da fare, molti "ponti" da costruire, poichè ogni soluzione richiede ulteriori impegni. La convivenza tra culture ed etnie è sempre instabile e richiede continui interventi sociali, politici, ed educativi che sappiano risolvere le controversie che, comunque, possono presentarsi sotto nuove forme (Galtung 2000).

Note bibliografiche:
1Secondo Edgar Morin, il riconoscimento della molteplicità dell'identità può "produrre un progresso umano molto importante per vivere insieme agli altri[…]" (Morin-Pasqualini 2005:413)
2"L'intercultralità è un movimento di reciprocità e, dunque, un superamento del processo unidirezionale di trasmissione del potere. Si dà interculturalità quando la ricerca non è un viaggio a senso unico ma con l'altro e verso l'altro, con l'attenzione al suo punto di vista, alla sua memoria storica, alle sue fonti, alle sue narrazioni, al suo sistema di attese rispetto al futuro" (Nanni e Al. 1999 :42).
3"Si tratta di un'idea regolativa che si fonda sul riconoscimento dell'appartenenza alla comune specie umana e alla comune madre terra" (Pinto Minerva 2002:14)


Articolo tratto dalla tesi di Laura Cinquepalmi, Multiculturalismo e Interculturalismo