La tesi di dottorato di Hedi Ammar, Il Mare Bianco di mezzo: valorizzazione dei network dei migranti per la circolazione delle conoscenze, delle capacità e delle trasformazioni sociali, studia, attraverso l'analisi di casi empirici tra Italia e Tunisia, le potenzialità dei networks formati dai migranti come veicoli di risorse e di cambiamenti sociali all'interno delle società di origine e delle società ospitanti.

Il migrante invece che emergere come ostacolo ai processi di sviluppo (come spesso si sente in certa retorica dei media), si afferma come volano di sviluppo, come un attore economico e sociale fondamentale nel futuro delle relazioni tra i paesi.

Riprendiamo dal lavoro di Hedi Ammar i paragrafi sulle determinanti del fenomeno migratorio e sulle diverse interpretazioni che le discipline economiche e sociali ne hanno dato.

Le cause della migrazione
Le cause economiche che inducono a ricercare lavoro all’estero possono essere ricondotte alle condizioni interne del paese di origine, ossia all’insufficienza di posti di lavoro (offerta di lavoro), alla differenza fra il salario in patria e quello che viene pagato sui mercati esteri o alla mancanza di soddisfacenti prospettive economiche per la famiglia di appartenenza. Possono esserci anche motivi politici alla base dell’emigrazione, ma questi danno luogo ad un altro tipo di esodo che di solito non viene considerato emigrazione nelle statistiche delle Organizzazioni internazionali.

Il processo migratorio finisce così per avere alla base un calcolo economico i cui effetti, spesso messi in conto dai governi nella programmazione dello sviluppo, sono rappresentati da un allentamento della pressione sui mercati del lavoro interni da un lato, e dall’attivazione di un flusso monetario di ritorno (rimesse) dall’altro.
Tale flusso porta valuta pregiata all’interno dell’economia del paese di origine dei migranti incrementando il reddito dei residenti e permettendo piccoli investimenti in attività lavorative e/o in istruzione delle giovani generazioni.

Ma i vantaggi per il paese di origine non sono soltanto di ordine economico se il migrante ritorna in patria. Il lavoratore che torna dall’estero può essere il veicolo di conoscenze tecniche e sociali, talché si può dire che il migrante di ritorno affianca al carattere di agente economico anche quello di agente sociale. E’ per queste ragioni che il ruolo di migrante di ritorno nel processo di sviluppo del paese di origine è estremamente importante.

Il migrante come agente economico

La teoria neoclassica
Secondo la teoria neoclassica la migrazione di ritorno viene vista come la conseguenza di una migrazione fallita, cioè di un processo che non ha prodotto i benefici attesi. In questa prospettiva la migrazione di ritorno coinvolge esclusivamente coloro che hanno calcolato male i costi della migrazione o hanno ricevuto una remunerazione del loro capitale umano inferiore alle aspettative: di conseguenza il ritorno è visto come un fallimento all'estero. Gli errori nel calcolo economico dell’esodo sono le uniche variabili economiche considerate in questo approccio per il quale la decisione di emigrare dipende in larga misura dal differenziale salariale: quanto maggiore sarà, per le competenze possedute, il surplus di salario ottenuto all’estero tanto maggiore sarà il numero di lavoratori che deciderà di partire.
Inoltre, la decisione implica un calcolo da parte del singolo individuo, il che da una misura di come la responsabilità del ritorno sia da attribuire ad un fallimento personale.

Un approccio come questo lascia poco spazio ad un ruolo di attore economico al migrante di ritorno, ma è incapace anche di vedere in lui una qualsiasi capacità di essere agente di trasmissione di skills tecnologici e/o sociali.

Modello Push and Pull
Questo modello della migrazione internazionale è simile a quello neoclassico basandosi anch’esso sulla spiegazione del fenomeno in termini di offerta e domanda nel mercato del lavoro1. Dal lato del fattore "Push" del modello ci sono tutte le ragioni che determinano la scelta di lasciare la propria casa. Bassi salari, disoccupazione e mancanza di opportunità economiche spingono la gente all’emigrazione in ricerca di una vita migliore.
Dal lato del fattore "Pul" troviamo un’alta domanda di lavoro di bassi salari nel paese di approdo. Questo si può notare in Italia e non solo, dove gli immigrati in generale sono impiegati in lavoro poco specializzato e di conseguenza poco pagato.

“...this labor source helps to hold down prices of many consumer goods and services, makes it possible for labor-intensive industries to expand more rapidly, and stimulates employment growth through consumer spending by the immigrants themselves and their families.”2

New economics of Labour Migration (NELM)
La “New economics of Labour Migration” (NELM), vede la migrazione di ritorno come un risultato logico di una strategia calcolata e definita in seno alla famiglia del migrante e come il successo di un’esperienza il cui esito è il raggiungimento dello scopo preposto.. Assistiamo così ad un cambiamento sia nella visione del fenomeno migratorio, sia nel giudizio del migrante di ritorno.
Anzitutto da un approccio individualista si passa ad uno, come la NELM; in cui si configura l’interdipendenza reciproca a livello della famiglia di origine3.
In secondo luogo la decisioni di emigrare è una parte delle strategie familiari messe in atto per aumentare il reddito, ottenere fondi per investire in nuove attività ed assicurarsi contro i rischi della produzione del reddito, e di conseguenza le rimesse, o in caso di non ritorno semplicemente le potenziale rimesse, sviluppano dinamiche di produzione ed investimenti nel paese di origine o nei paesi ospitanti.

Inoltre, questo approccio vede il ritorni dall'estero come una conseguenza naturale del fatto che durante la permanenza all’estero gli emigranti hanno realizzato il loro scopo (redditi più alti e accumulazione di risparmi messi da parte per le necessità alla famiglia). Le rimesse in questo contesto sono considerate parte di una strategia di diversificazione delle risorse della famiglia che compensano l'assenza di un mercato assicurativo efficiente nel paese di origine. La famiglia, insieme all’affetto e all’attaccamento alle origini, costituisce anche un fattore esplicativo della decisione di ritorno.

Migrante come attore sociale

Capitale Sociale
Il capitale sociale è un elemento determinante del modo in cui le reti si sviluppano e si trasformano. Questo concetto, il capitale sociale, è una risorsa intangibile che contribuisce alla crescita cognitiva dei giovani attraverso l’influenza esercitata dalle risorse ottenute tramite le reti sociali4. Una volta che l’emigrato si è stabilito nel paese ospitante, agisce da elemento di connessione fra gli altri membri della rete sociale nel paese di arrivo e i membri della comunità di partenza. Questo capitale sociale di prima istanza incoraggia altri membri ad emigrare.

La teoria delle reti sociali è una descrizione della nozione del capitale sociale. Si presuppone che una volta stabiliti nel paese di arrivo gli immigrati inizino a tessere una nuova struttura sociale per la comunità di appartenenza, che rafforza il legame tra il paese di origine e quello di arrivo5. Tale rete permette un’efficiente circolazione delle persone, delle informazioni e della migrazione di ritorno, agevolando i flussi di beni e di capitale fra le comunità di migranti e quelle originarie.

Migrazione transnazionale
La migrazione transnazionale è un processo di continuità che lega le comunità da una parte e dall’altra della frontiera, coinvolgendo la vita di tutti giorni dell’immigrato. E’ un sistema di transizione sociale che consta delle decisioni famigliari e della loro continuità nella vita dell’emigrato, il che permette alla comunità di origine di sostenersi6.
La migrazione tansnazionale è anche una forma o rappresentazione delle identità multiple che l’emigrato acquisisce vivendo ad avendo contemporaneamente interessi in due spazi, su due sponde. La difficoltà di inserimento nella società di arrivo favorisce questa situazione e trova nella vita tansnazionale un sostegno e un rifugio all’isolamento.

L’approccio della migrazione transnazionale è anche un’alternativa alla teoria assimilative o alla globalizzazione stessa, essendo vista come una percezione di vita senza frontiere o residenze in un unico paese7.
Vi è in dottrina chi individua il supporto allo sviluppo delle comunità locali come una delle tre forme di transnazionalismo economico tradizionalmente studiate, oltre alle rimesse monetarie e all'imprenditoria migrante8, comportando il coinvolgimento di gruppi di migranti in opere di supporto sociale ed economico alle comunità di origine ed in modelli di “coopération décentralisée e codéveloppement”. Tale approccio alla cooperazione per lo sviluppo si contrappone al tradizionale modello bilaterale Stato-Stato in quanto sostiene progetti che sono decentralizzati i cui promotori e protagonisti non sono gli Stati, ma le singole comunità locali e le persone che le abitano, enfatizzando il valore della piccola scala e promuovendo la partnership tra i vari attori.

In tale quadro acquistano importanza i migranti come attori dello sviluppo e si dissolve la contrapposizione tra cooperante e destinatario della cooperazione.
Gli studi francesi su tali fenomeni si concentrano soprattutto sulla partecipazione in processi quali le pratiche di co-sviluppo e il sostegno a investimenti produttivi nelle società di partenza, evidenziando che accanto alle esternazioni positive nella società in sviluppo di queste intraprendenze, si nota altrove la riproduzione di quei meccanismi di sfruttamento diffusi nelle economie diseguali dei paesi d'arrivo, dai quali si vorrebbe sottrarre gli immigrati9.

Causa Cumulative: Migrante come attore socio-economico.
La causa cumulativa è stata originariamente presentata, nel contesto dei paesi in sviluppo, da Gunnar Myrdal10. L’ottica adottata è quella secondo cui il mondo è articolato e diviso in regioni centrali e periferiche, le prime che tengono sotto scacco i paesi sottosviluppati (impediti e costretti alla dipendenza dai paesi centrali) e che attraggono i lavoratori specializzati ed i cervelli del mondo periferico (peggiorandolo e condannandolo ad un sottosviluppo cronico).

Luin Goldrin sulla base di questa teoria ha postulato che la migrazione internazionale è una conseguenza diretta del modello centro/periferie11. I migranti si muovono dalla periferia al centro in cerca di occupazione migliore il secondo lo schema di divisione internazionale del lavoro, che vede i paesi di partenza deteriorare il loro capitale umano a causa del continuo svuotamento di questi ultimi delle loro maestranze più esperte ed istruite.
Una tale tendenza al brain and skill drain può essere considerata come una causa cumulativa (che si aggiunge cioè alle carenze strutturali dell’economia) il cui effetto è di costringere i paesi periferici al loro permanente sottosviluppo (un fenomeno che sì autoalimenta con il continuo privarsi della mano d’opera utile allo sviluppo). Infatti, nel lungo periodo, la mancanza di crescita economica in seno ai paesi poveri spinge la gente, in primo luogo uomini, a cercare lavoro in altri paesi.

Questo modello (che si concentra sulla variabile capitale sociale) e la teoria delle reti sociali spiegano le determinante di un’emigrazione internazionale caratterizzata da diversi stadi (da quello della migrazione temporanea fino a quello delle migrazioni definitive, con la formazione di comunità - enclaves etniche - e forti reti con il paese di origine12).
L’aspetto positivo analizzato dall’approccio della causa cumulativa è costituito dalle rimesse come distribuzione del reddito nei paesi di provenienza, che secondo Massey sono all’origine di una convergenza dei livelli di vita in una comunità13.

La New Economics of Labor Migration14 combina gli aspetti economici e quelli sociali della migrazione internazionale. Come la nuova economia della migrazione, essa riconosce la necessita di capire la dinamica delle reti sociali e di studiare in che modo possono partecipare alla vita delle zone di origine; ma nello stesso tempo ha bisogno del supporto delle politiche per orientare l’operato dei migranti verso un ruolo attivo nella società di arrivo come in quella di origine.


Note bibliografiche:
1 Kohpahl G, Voices of Guatemalan Women in Los Angeles, New York: Garland Publishing, Inc., 1998. Vedi anche: Martin P L, and Taylor J E, Poverty Amid Prosperity, Farm Employment, Immigration, and Poverty in California.” American Journal of Agricultural Economics 80:5,Dec 1998:1008. e, Martin P., Investment, Trade, and Migration,” International Migration Review 29:3, 1995:820.
2 Wayne A, Cornelius and Jorge A., Mexican Migration to the United States: Origins, Consequences, and Policy Options. University of California, San Diego: Center for U.S.-Mexican Studies, 1989
3 Stark O., The Migration of Labor, Cambridge, Basil Blackwell, 1991, p. 26
4 Loury G, A Dynamic Theory of Racial Income Differences, In Phyllis A. Wallace and LaMond A, eds., Women, Minorities, and Employment Discrimination, Lexington, Mass D.C. Health and Company, 1977.
5 Belinda I. Reyes, Dynamics of Immigration: Return Migration to Western Mexico. San Francisco, Public Policy Institute of California, 1997.
6 Schiller C, Basch L, Blanc S., “From Immigrant to Transmigrant: Theorizing Transnational Migration.” Soziale Welt, 12, 1995.
7 Portes A, Globalization from Below: The Rise of Transnational Communities. WPTC-98-01: Princeton University. September, 1997.
8 Guarnizo L.G., The Economics of Transnational Living, in International Migration Review, vol. 37, n. 3, 2003, pp. 666-699.
9 Riccio B., Transnational Migration and Translocal Development, working paper per la ricerca CeSPI su Diaspore africane, potenziamento delle attività transnazionali e cooperazione decentrata per lo sviluppo, Roma 2002.
10 Myrdal G, Rich Lands and Poor. New York: Harper and Row, 1957.
11 Goldring L., Development and Migration: a Comparative Analysis of Two Mexican Migrant Circuits, Washington D.C, Commission for the Study of International Migration and Cooperative Economic Development, 1990.
12 Massey D.S., Al R., Durand J., González M., Return to Aztlan: The SocialProcess of International Migration from Western Mexico, Berkeley, University of, California Press, 1987
13 Massey D S, et al., Continuities in transnational migration: An analysis of nineteen Mexican communities ?, American Journal of Sociology, 99, 6,1994
14 Rhonda Moore Ortiz., California in the world economy,Comprehensive Project:Executive Summary., Los Angeles ,The North American Integration and Development Center University of California, JUNE 2000


Hedi Ammar, Il Mare Bianco di mezzo: valorizzazione dei network dei migranti per la circolazione delle conoscenze, delle capacità e delle trasformazioni sociali