Guglielmo Schininà è un esperto di teatro sociale in situazioni di emergenza, ha lavorato in diversi paesi dell'Africa, dei Balcani e dell'Est Europa gestendo progetti psicosociali di tipo teatrale. Ha lavorato per IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), ha collaborato con l'ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) e con l'Università Cattolica di Milano. Una delle sue esperienze più significative è quella vissuta in Kosovo per circa due anni come coordinatore, facilitatore, counselor e formatore in una serie di progetti mirati al recupero psicosociale delle vittime e dei profughi della guerra. Il suo compito era di creare un progetto di animazione psicosociale finanziato dall'ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) diretto a bambini, adolescenti ed anziani rifugiati, dopo mesi in cui nessuna ONG si era occupata del Sud della Serbia.

Il progetto si rivolgeva a circa quarantamila rifugiati dei centri collettivi in Serbia e Montenegro. Tali centri sono costituiti da villaggi molto piccoli, decentrati rispetto alla città, caratterizzati da estrema povertà ed abbandono, soprattutto a livello sociale: sono diffuse situazioni di disagio individuale (depressione e alcolismo) e comunitario (incapacità di costituirsi come gruppo autonomo che rivendica i propri diritti). Questa ad esempio è la situazione di Velika Kopasnica:

Negli anni di Tito era una scuola botanica, circondata da un parco. Il tutto è in estrema rovina. Ci vivono più di cento persone, ogni famiglia ha in dotazione una stanza. Il cibo, fornito dalla Croce Rossa locale, viene portato una volta al giorno con un furgoncino e consumato in camera. Francamente, fa schifo. Gli spazi comuni sono fortemente deteriorati, l'unica stanza comunitaria è chiusa da circa un anno e nessuno sa chi abbia perso la chiave. Il direttore del centro non si fa vedere da sei mesi e nessuno, nel frattempo, ha distribuito nulla a parte il cibo. […] Chiaramente non c'è vita di comunità, a parte qualche dissidio tra famiglie, unico momento di relazione.1

Tutta questa situazione era resa ancor più grave dal silenzio mediatico funzionale alla politica dell'allora governo Milosevic.

La prima fase del progetto consistette nell'individuazione dei bisogni di ciascun centro per verificarne gli interessi e attivare le conseguenti strategie di coinvolgimento dei soggetti. Emersero preferenze inerenti ad attività di tipo sportivo e artigianale molto più che artistico-creativo, e tra queste poche volte era nominato il teatro. In parallelo si svolse la selezione di un team di persone idonee a lavorare in queste comunità e che sapessero coniugare la professionalità (furono contattati registi, musicisti, animatori, pedagoghi e psicologi) alla capacità e possibilità di comunicare anche su larga scala il lavoro che si stava iniziando.

Il passo successivo fu la formazione di questi professionisti: una formazione da acquisire "sul campo", attraverso esperienze di intervento creativo nei centri collettivi alternate a sessioni di training più prettamente teatrali; un lavoro quindi molto destrutturato, in contesti e gruppi variabili, in cui il confine tra rapporto professionale ed esperienza umana diventa molto labile. «Questo crea una circolarità che porta più benefici che confusione»2 afferma Schininà.

Il team contribuì a creare in ogni centro un luogo protetto per lo svolgimento delle attività prescelte e a condurre le attività stesse in collaborazione con alcuni adolescenti che si sarebbero preoccupati di proseguirle in loro assenza. Nacque poi l'idea di una stanza comune (common room) a Nis, la città più grande della zona, che potesse essere utilizzata come centro di eventi rivolti ai gruppi creativi di ciascuna comunità. La promozione di questi eventi avveniva in due direzioni:

• Agli abitanti dei centri collettivi, per favorire l'incontro tra comunità.
• Alle autorità e mass-media per favorire la comunicazione sociale.

Furono organizzati:3

Gli angoli: stanze, angoli, tende e pareti dove i ragazzi potevano esprimere sentimenti e capacità attraverso la pittura, il canto, la musica, la fotografia, il video;
Memoria: la raccolta e la narrazione, durante speciali serate, di racconti emersi nei momenti di aggregazione tra anziani;
Che fottutissimo spazio: momento performativo pubblico e relazionale delle attività degli angoli;
Educazione sanitaria: programma per la promozione dell'igiene, dell'educazione sessuale e della prevenzione dell'AIDS;
Attività speciali: tornei di calcio e pallacanestro, campionati tra i centri collettivi;
Cineclub: proiezione di film e dibattito su particolari tematiche rivolte a bambini e adolescenti;
2000: percorso teatrale sulla visione che i bambini avevano della fine del millennio.

Il progetto è proseguito secondo le linee impostate grazie alla direzione dello staff serbo anche dopo la caduta del regime di Milosevic, nonostante le lacune e i limiti che l'assenza di una formazione e di un confronto costante tra i membri del team di lavoro ha comportato: la common room di Nis da luogo di relazione si è ridotta a semplice spazio protetto; è venuta meno la comunicazione sociale ed alcuni dei centri collettivi sono stati chiusi.


Note bibliografiche:
1 SCHININÁ, Guglielmo, Così lontano, così vicino: interventi di animazione psico-sociale e creativa in situazioni di emergenza e di conflitto nell'area dei Balcani, in "Comunicazioni Sociali", XII (2001), n. 3, pp. 239-240.
2 SCHININÁ, Guglielmo, Così lontano, così vicino: interventi di animazione psico-sociale e creativa in situazioni di emergenza e di conflitto nell'area dei Balcani, cit. p. 247.
3 Su questo tema si veda: Ibi, pp. 250-251.


L'articolo è tratto dalla tesi di Vittoria Perico, Povero teatro! Problemi e potenzialità del teatro sociale nel terzo mondo