Anche Zygmunt Bauman ne “La società dell’incertezza” (1999) ha riscontrato l’evidente ascesa della figura del consumatore nella società postindustriale, riconoscendo una netta connessione tra il consumismo e le incertezze che ha portato questo nuovo tipo di società sviluppatosi.
Facendo un parallelo tra società «moderna» e «postmoderna», Bauman ha notato che il progresso tecnologico ha reso sempre più inutile il lavoro di massa in relazione al volume della produzione. Questo ha portato senza dubbio allo sviluppo dei «lavori effimeri» (o «provvisori»), a scapito dei posti fissi, a tempo pieno, rigidamente cronometrati, in gran parte maschili, e solidamente impiantati.

Il «regime della regolamentazione», di cui fabbrica ed esercito erano principali strumenti e modelli istituzionali, aveva sostituito la moderna paura dell’incertezza con il timore della devianza rispetto alle norme, e delle sanzioni derivanti, che nasceva dalla paura di essere diversi e perciò isolati. Così i comportamenti dei singoli erano resi uniformi dalle pressioni esercitate da forze esterne, e l’elemento di volontarietà si esprimeva col desiderio di uniformarsi.
Invece con la deregolamentazione postmoderna l’identità individuale rimane poco definita, fluttuante e «destrutturata», poiché i meccanismi di «ristrutturazione» perdono la loro funzione normativa o semplicemente non ci sono più. La riproduzione delle condizioni della vita sociale viene perciò privatizzata e, invece di suscitare un rapido adeguamento delle politiche amministrative, «la paura della mancanza di certezza costringe gli individui ad un frenetico sforzo di autoaffermazione e autoformazione» (Bauman, 1999, p. 106).

Da questo il fallimento o l’impossibilità di portare a termine tali processi genera «la paura dell’inadeguatezza», che, lungi dall’essere legata a un criterio definito a cui ci si deve uniformare, rimanda all’incapacità di acquisire la forma e l’immagine desiderate, alla difficoltà di essere sempre in movimento e di essere flessibile e pronto ad assumere modelli di comportamento differenti, ossia «di essere allo stesso tempo argilla plasmabile e abile scultore. […] gli attrezzi per scolpire sono reperibili nel mondo sociale [o per meglio dire commerciale] come pure gli schemi e i modelli già definiti per guidare la modellatura; ma la responsabilità di intraprendere e portare a termine il lavoro ricade interamente sulle spalle dello sculture» (ibidem, p. 108), responsabilità che genera l’incombenza di mantenersi sempre idonei e pronti ad assumere nuovi impegni (ad esempio quello di non diventare antiquato o logoro).

Sotto tale impostazione risulterà un’evidente affinità elettiva tra la privatizzazione della gestione dell’incertezza e il mercato che provvede a servire il consumo privato. Una volta che la paura dell’incertezza è stata riformulata nell’ansia dell’inadeguatezza personale, stando a Bauman le proposte del mercato diventano irresistibili: esse vengono accolte e “scelte” spontaneamente, senza bisogno di alcuna coercizione e di alcuna opera di indottrinamento.
La ricompensa che il vecchio regime della sorveglianza e della coercizione offriva in cambio del conformismo era la libertà dai tormenti della scelta e della responsabilità. La libertà che invece il mercato offre è quella di non pensare alla responsabilità delle conseguenze, di frammentare il tempo di vita in episodi che non producono esiti durevoli e che non compromettono gli avvenimenti futuri. In questa maniera «l’irresponsabilità della persona svincolata da obblighi e schiavitù» (ibidem, p. 110) porta al passaggio ad una nuova forma di dipendenza, sebbene sentita come una liberazione e un’emancipazione.
Bauman riconosce che la paura dell’inadeguatezza e la frenesia del consumismo si nutrono reciprocamente, ma non riesce a distinguere la causa dall’effetto, ossia non capisce se la paura dell’incertezza genera l’euforia consumistica, tanto analizzata negli ultimi decenni, o piuttosto è un effetto abilmente perseguito dal mercato dei consumi, o, in ulteriore alternativa, è un suo esito non previsto. Riprendendo il parallelo tra moderno e postmoderno, l’individuo da approvvigionatore di beni, si è ritrovato nella condizione di consumatore di merci in cui assume il ruolo di «collezionista di piaceri» o «recettore di sensazioni».

Bauman inoltre vede una stretta connessione fra l’agire di consumo e la cura del proprio corpo. Mentre «il corpo moderno» era «regolamentato, plasmato e abilmente manipolato da forze esterne», «per compiere movimenti stabiliti da condizioni ambientali ingegnosamente progettate» (ibidem, 112), al fine di salvaguardare la salute e allontanare l’incapacità (di produrre e servire la nazione), oggi il corpo è considerato un «corpo che consuma», e la misura della sua buona condizione starebbe proprio nella capacità di consumare ciò che la società (dei consumi) ha da offrire. Perciò «il corpo postmoderno» è, come abbiamo visto, un recettore di sensazioni, in quanto «assorbe e assimila esperienze, e la sua attitudine e capacità ad essere stimolato lo trasforma in uno strumento di piacere».
La presenza di tale attitudine, o capacità, è chiamata benessere (fitness), il contrario è reputato debolezza, depressione, o sensibilità limitata: mantenere una buona forma quindi significa mantenersi pronti ad assorbire e recepire stimoli.

In questo senso, se la medicina moderna cercava una demarcazione chiara e visibile tra salute e malattia, ora questa procedura sarà difficilmente applicabile alla sensazione, evento vissuto soggettivamente. Quindi «non si è mai sicuri che le proprie sensazioni rientrino nella media e il dubbio ancora più doloroso riguarda le capacità che altri possiedono di provare esperienze sempre più elevate, ovvero il sospetto che l’esperienza effettivamente provata sia solo una pallida immagine di ciò che la vera esperienza potrebbe (dovrebbe) essere» (ibidem p. 114).
Questo rende la scala dei piaceri una scala dell’insoddisfazione che produce reazioni di sconforto e inquietudine nel soggetto: un malessere latente che preannuncia una perdita di possibilità del piacere atteso. Di contro si cerca un perfezionamento sensoriale che, grazie all’impazienza, accresciuta dal sospetto dell’inadeguatezza, spinge a superare ogni delusione.

La concezione consumistica rende obbligatoria la massima apertura del corpo del collezionista di piaceri alle inesauribili potenzialità delle esperienze contenute nelle sollecitazioni provenienti dal mondo esterno. Questo intenso scambio con l’esterno e l’imprescindibile ricezione di sensazioni si tramuta però in una minaccia potenziale per il benessere.
E’ interessante vedere come risultino sempre in testa alle classifiche di vendita allo stesso tempo i libri di cucina e delle diete, e l’osservazione di Bauman a tal proposito: «la stessa abilità a procurarsi sensazioni straordinarie rende obbligatorio e doveroso il ricorso all’autoflagellazione» (ibidem, p. 119), in un bilanciamento delle pressioni e delle tensioni laceranti, che dovranno pertanto essere attentamente selezionate, in modo tale da poter «spremere al massimo la loro esaltante potenzialità, e assaporare esperienze assolute sempre nuove pur rimanendo aperti alle esperienze ulteriori che verranno» (ibidem).


Articolo tratto dalla tesi di Marco Espertino, Comunicazioni simmetriche e asimmetriche nella società dei consumi, dove nel primo capitolo vengono ripercorsi i principali contributi di autori classici, quali Simmel, Veblen, Bourdieu e M. Douglas, sul fenomeno sociale del consumo e delle sue interazioni con il gusto.