Ci accingiamo, ora, ad approntare un breve excursus sulle principali nuove strategie ideate negli ultimi quindici anni che rientrano nella categoria del “nuovo marketing”.
Si noti che, quelli che stiamo per presentare non sono differenti “religioni, filosofie o dogmi”, sono semplicemente nuovi “stili” e definizioni delle più recenti strategie adottate nel campo del marketing.
In molti casi si vedrà come esse siano più che altro nuove applicazioni di regole precedenti e come possano essere utilizzati contemporaneamente o alternativamente a quelle del marketing di sempre.

Il Marketing relazionale

Il concetto di Relationship Marketing è stato formulato per la prima volta da Regis McKenna1 nel 1992.
Per marketing relazionale si intende un marketing incentrato sull’obiettivo costante di instaurare una relazione personale e diretta tra azienda e consumatore. Grazie ad esso, il “monologo narcisista” che ha segnato gli ultimi venti anni di storia della comunicazione d’impresa, si è indebolito a favore di comportamenti più orientati al dialogo ed all’ascolto.
Nel nuovo modello proposto dal relationship marketing, la relazione (anche in termini di passione condivisa e di motivazione reciproca) finalmente arriva a precedere il consumo.
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Il relationship marketing deriva dalla presa di coscienza, da parte di molte aziende, che il capitale relazionale dell’impresa con i clienti, i dipendenti ed i fornitori abbia molto più valore per un’impresa, di quanto ne abbiano finanche le sue caratteristiche fisiche.
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È chiaro che le aziende debbano ripensare a condizioni migliori per instaurare un vero dialogo con il consumatore e per far sì che questo dialogo porti a buon fine.
È importante che esse capiscano che oggi non c’è più un “consumo che precede la relazione”, per cui prima ci si dota di un prodotto considerato utile per rafforzare l’identità e poi se ne parla. Questo modello, che fino a qualche anno fa ha funzionato con straordinaria maestria, oggi non è più adeguato.
Il consumatore contemporaneo è ormai abituato a parlare, informarsi, ragionare e capire se veramente valga la pena comprare un prodotto prima di acquistarlo.
Dunque la relazione a cui un’azienda deve puntare deve essere quella che metta il cliente nelle condizioni di sentirsi considerato intelligente prima ancora che eccitato dal possibile acquisto e deve fare in modo che il consumatore percepisca la comunicazione dell’impresa in questione come un’opportunità reale e non come una becera promozione.

Il Marketing esperienziale e dell’occasione

“Non mi preoccupa chi pratica sconti, ma chi offre un’esperienza di acquisto migliore”
(Jeff Bezos, Presidente di Amazon. Com)

Sono stati Joe Pine e James Gillmore a parlare par la prima volta (nel 1993) della necessità di accostare il tema delle esperienze a quello della customizzazione di massa. Esperienze che divertano il cliente e forniscano i beni e servizi di una certa “teatralità”. All’inizio il marketing dell’esperienza è stato per lo più considerato riguardo ai punti vendita. Successivamente, con l’avvento della Rete, Internet ha dato molte altre possibilità per mettere in atto strategie volte a donare molteplici occasioni di consumo e di vita al consumatore.
In un mondo fatto di sempre più prodotti, tutti dalle elevate qualità, il rischio più grosso è che essi appaino tutti uguali agli occhi del consumatore. È questo il motivo per cui le aziende hanno sentito la necessità di aggiungere sempre più fattori di differenziazione. In questo contesto, il marketing dell’esperienza si pone l’obiettivo di aggiungere degli attributi al prodotto o alla marca, che non siano però costitutivi di essi, bensì che accompagnino il cliente durante l’intero processo di acquisto.
Si pensi alle molteplici alternative che vengono offerte al consumatore attraverso i grandi centri commerciali della grande distribuzione o ai locali e negozi moderni come l’Hard Rock Café che nacquero proprio intorno agli inizi degli anni ’90 94
In tale circostanza, il vero prodotto diviene l’esperienza di consumo, e con essa, il piacere ed il divertimento, che contribuiscono a creare distinzione, interesse, attenzione ed affezione (sebbene molte volte queste esperienze risultino un po’ forzate e fasulle).
In questo tipo di marketing, le esperienze create dalle aziende hanno l’obiettivo di coinvolgere emotivamente e profondamente il consumatore e pongono quindi in primo piano la gestione delle emozioni suscitate nell’individuo.
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L’azienda, grazie a questo nuovo tipo di marketing, è messa nelle condizioni di poter stupire veramente. Basta riuscire ad individuare nuove occasioni di consumo, o di re-interpretare quelle gia esistenti, al fine di incontrare le nuove sensibilità delle persone.
“La bellezza dell’occasione è seducente perchè implica – come diceva Stendhal – la promessa della felicità: essa è connessa con la novità, la curiosità, l’incompiutezza e l’ebbrezza.”2
In tale contesto si noti come ormai l’analisi di mercato vada sempre più incontrandosi con la sintesi creativa e progettuale, in quanto i competitor non sono più soltanto altre marche o prodotti, ma addirittura altre opzioni di vita.
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In tale contesto, il Future Concept Lab37 ha formulato dieci chiavi d’accesso3 al marketing dell’occasione utili per interpretare lo stile di consumo che queste strategie possono indurre:

• Sostituire in termini strategici l’occasione di vita allo stile di vita.
• Creare l’occasione fruitiva attraverso uno scarto nella quotidianità proposto dal servizio o dal prodotto
• Produrre corto-circuiti tra storia del prodotto e poetica del quotidiano.
• Individuare occasioni potenziali nella lettura del contesto, in cui inserire esperienze di valore.
• Integrare l’identità del prodotto con servizi fondati sull’occasione.
• Diventare attrattori strani attraverso occasioni speciali.
• Lavorare sulla diversità delle culture per suggerire occasioni alternative.
• Considerare con attenzione le specificità dell’occasione: sorpresa, novità, eccitazione attraverso il prodotto/servizio.
• Progettare spazi di vendita che siano occasioni di fruizione sperimentale.
• Immaginare comunicazioni che rivelino nuove occasioni d’uso.
© Future Concept Lab

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Il marketing one to one

A parlare di marketing one to one sono stati Don Pepper e Martha Rogers che nel 1996 e nel 1999 presentarono le loro idee su Internet, costruendo un apposito sito.
Il marketing one to one è tanto semplice da spiegare quanto difficoltoso da attuare. L’idea su cui si basa è molto buona, ma rappresenta un’eventualità utopica, almeno per le grandi e medie aziende: quella di trattare ogni singolo cliente in maniera differente, al fine di avere una clientela soddisfatta fedele e redditizia.
Il programma della strategia one to one di divide in quattro fasi:
1. identificazione del cliente
2. differenziazione dello stesso da altri
3. interazione
4. personalizzazione dei prodotti e servizi offerti
Queste quattro fasi sono correlate da attività finalizzate a conoscere i propri clienti sempre meglio e ad accontentarli sulle loro singole esigenze.
È importante sottolineare che non si tratta dei semplici programmi fedeltà del cosiddetto Frequency Marketing, finalizzati a conoscere meglio i gusti dei clienti (come le carte fedeltà dei grandi ipermercati); il programma del marketing one to one prevede la costituzione di enormi database che tengano conto in modo dinamico e propositivo di tutta una serie di richieste più o meno espresse dal consumatore. Successivamente, gli operatori decideranno di soddisfare o meno le richieste in base all’importanza del cliente.
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Il permission marketing

Nel 1999, è stato Seth Godin a coniare il termine Permission4 per indicare quelle strategie di comunicazione di marketing che presuppongano la costituzione di una “relazione” tra l’azienda ed il consumatore basata sul consenso di quest’ultimo e, per questo motivo, contrapposte all’interruption marketing5.
“Il tempo è divenuto una risorsa scarsa per chiunque e non serve più a molto alle aziende sbattere in faccia messaggi pubblicitari in momenti di pausa o in momenti di ozio del consumatore” (Godin, S., op. cit, 2000, introduzione)

Questa teoria deriva dalla constatazione, da parte di Godin, che il consumatore ha sempre meno tempo per dare attenzione a sempre più messaggi pubblicitari. Per cui egli ha ritenuto necessario escogitare una formula di promozione meno intrusiva in cui al consumatore viene chiesto il permesso di divenire il destinatario di messaggi pubblicitari pertinenti ai suoi consumi, interessi, aspettative e necessità.
Nella sua teorizzazione originaria, la strategia di permission marketing prevede che l’ottenimento del permesso del consumatore debba avvenire gradualmente e senza risultare troppo intrusivi.
[…]
In questo modo, secondo Godin, l’azienda sarà percepita non più come un’estranea che vuole invadere la privacy del cliente, ma come amica che vuole guadagnarne il consenso. In questa maniera, la clientela potenziale dovrebbe divenire molto più disposta a prestare attenzione ai messaggi promozionali e ad effettuare il primo acquisto.
L’investimento iniziale in questo caso sarebbe molto maggiore di quello di una comune strategia di interruption marketing, ma porterebbe ad una fidelizzazione del cliente più a lungo termine.
Godin si rivela critico nei confronti della teoria del marketing one to one perché improntata più all’aumento delle vendite e delle transazioni che all’aumento dei clienti; in quest’ultimo tipo di strategia, i costi, i rischi e gli sforzi maggiori sono impiegati per aumentare la base dei clienti.
Il permission marketing, invece, si concentra nel rendere clienti effettivi tutti i potenziali, cercando di avere una relazione condivisa e discreta e vendere loro quello che chiedono.
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Il reverse marketing

Un’altra definizione innovativa è quella di “marketing al contrario, basato sull’assunto che il capo dell’azienda sia il consumatore e che prima venga questo e poi l’azienda. Insomma, invece di marketing business to consumer (BtoC), qui si parla di marketing consumer to business (CtoB) e di Customer manager e non di Product Manager.

Il concetto di riverse marketing si presenta come un’evoluzione del marketing orientato alla qualità ed al cliente ed è stato esposto per la prima volta da M. R. Leenders e D. L. Blenkhorn già nel 19876; solo che allora i tempi non erano ancora maturi perché le loro tesi venissero accolte dalle aziende, ed il riverse marketing ha dovuto attendere una decina di anni per diffondersi.
Il riverse marketing ha molti fattori in comune con il marketing one to one. La differenza giace nel fatto che laddove il marketing one to one punta alla personalizzazione del dialogo, limitandosi però alla centralità del cliente, il reverse marketing cerca di evidenziare e sfruttare anche i numerosi vantaggi che possono scaturire dall’intero ambiente esterno. Nel reverse marketing, cioè, l’idea di centralità del cliente evolve in quella di centralità del mondo esterno.

Il riverse marketing cerca di puntare all’eccellenza attraverso una forte predisposizione ad ascoltare l’ambiente ed assecondare gli interlocutori esterni di ogni tipo. Ciò dovrebbe permettere, secondo questa teoria, di creare una rete relazionale generatrice di business, in grado a sua volta di riprodursi in modo più che proporzionale, se non esponenziale.
Il reverse marketing ha, quindi, come principale obiettivo, quello di creare l’ambiente ottimale in cui la clientela, i fornitori e tutti gli attori esterni si muovano verso l’azienda grazie alla continua presenza e al continuo mantenimento di una relazione.
[…]

Il viral marketing

Anche il concetto di marketing virale è stato formulato da Seth Godin7 nel 2000, nel suo volume Propagare l’idea virus, riprendendo la teoria introdotta da Malcom Gladwell ne “Il punto Critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti”.
La tesi di Malcom Gladwell è che un'idea, una moda o un comportamento sociale si diffondano come le epidemie. Gli stessi modelli matematici che ci spiegano la diffusione dell'influenza o dell'AIDS, possono aiutarci a capire, ad esempio, come la gente si sia affollata per acquistare le magliette della Guru o per vedere il film Harry Potter, oppure come sia stato possibile che molti giovani improvvisamente si siano messi a lanciare sassi dai cavalcavia.
Ad un certo punto si raggiunge il cosiddetto punto critico, oltre il quale si ottiene un effetto a valanga. L’autore, nel suo volume, arriva a formulare una “legge”, da lui chiamata la “Regola del 150”, che ha addirittura le sembianze di una legge scientifica :
“Bastano 150 persone che frequentino gli stessi cinque o sei bar, per causare un’epidemia che infetta una città di 100 mila abitanti8.”
[…]
Seth Godin riprende le teorie di Gladwell per formulare una vera e propria strategia per il marketing.
Tenendo presente che le mode, le tendenze e conseguentemente i consumi, spesso hanno le sembianze di “epidemie” improvvise ed inarrestabili, egli propone di andare ad indagare su quali (o meglio chi) siano i cosiddetti connettori, cioè alcuni soggetti (generalmente pochi) che propagano il virus che poi si diffonde attraverso il “passaparola”. Questi connettori possono essere sia leader di una certa comunità o di un certo gruppo, ma anche i venditori stessi.
Godin, quindi, arriva a concepire una formula di marketing che spinga gli operatori del settore a prestare molta attenzione al passaparola, strumento molto antico e potente che, grazie ad Internet, ha incrementato la sua presenza e la sua forza.
[...]
Una strategia virale molto usata dalle grosse aziende è quella di regalare il prodotto che si desidera pubblicizzare ad un gruppo di persone, in modo che esso circoli da soggetto a soggetto, creando un circolo di passaparola che diffonda consapevolezza fra i consumatori e ne inneschi il desiderio di acquistarlo. Ad esempio, la Sony Ericsson ha lanciato negli Usa il suo primo cellulare con fotocamera regalandolo a gruppi di persone che dovevano farsi fotografare per la strada facendo conoscere il prodotto e soprattutto facendolo usare, per innescare nel potenziale acquirente contemporaneamente: un nuovo desiderio, la consapevolezza di un nuovo servizio e, nello stesso tempo, proponendo un nuovo gioco ed un modo di comunicare che non si conosceva ancora.
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Note:
1McKenna, R., Relationship Marketing: Successful Strategies for the Age of the Customer, Perseus Publishing, 1991
2Morace, F., “Le nuove tecnologie per un consumo dell’occasione” in Mondo Shoebags, Giugno/Luglio 2003
3Morace, F., “Le nuove tecnologie per un consumo dell’occasione” in Mondo Shoebags, Giugno/Luglio 2003
4Godin, S., Permission Marketing: trasformare gli estranei in amici e gli amici in clienti, Parole di cotone, Milano, 2000.
5Termine con cui, in questo contesto, viene definito il marketing di tipo tradizionale, basato sulla classica strategia di “bombardamento” del target attraverso l’emissione di migliaia di messaggi pubblicitari dalla scarsa efficacia.
6Leenders, M., R. - Blenkhorn, D., L., Reverse Marketing: The new Buyer Supplier Relationship, Free Press, 30/11/1987
7Godin, S., Unleashing the ideavirus : stop marketing at people, turn your ideas into epidemics by helping your customers do the marketing for you, New York, 2000.
8Estratto del libro citato in nota 13 in www.lcavour.it


I nuovi metodi per comunicare l'impresa: marketing laterale, marketing non-convenzionale e nuove strategie di ricerca sul consumo

Tesi di Valentina De Giorgio. L'articolo è contenuto all'interno del terzo capitolo, "Le strategie del nuovo marketing".


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