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Società e Metropoli
Curato da Raffaele Rauty, il libro è l'esplorazione del contributo portato dalla Scuola di Chicago attraverso le sue linee teoriche, il suo approccio metodologico particolare e i resoconti delle sue ricerche affascinanti

[05/09/2007]

Società e Metropoli
a cura di Raffaele Rauty
Donzelli Editore

Società e Metropoli, non c'è che dire, è davvero un ottimo libro. Raffaele Rauty, infatti, si assume il compito di riordinare all'interno di queste pagine i contributi più importanti che la scuola di Chicago (nome derivante dal famoso dipartimento di ricerca sociale molto attivo in tutta la prima parte del secolo scorso nell'università della città) ha lasciato in eredità, strutturando il libro in tre parti ben distinte: l'analisi delle direttrici teoriche, un'esposizione delle ricerche più note e, infine, una serie di contributi sulla metodologia applicata dagli studiosi.

La forza del libro consiste nel far parlare gli autori stessi. Dopo una breve introduzione dello stesso Rauty, dove brevemente vengono presentate le condizioni sociali ed economiche dell'America di inizio secolo e spiegato il ruolo della scuola di Chicago all'interno della disciplina sociologica, si passa alla prima parte del libro dove sono presenti diversi scritti di Robert E. Park, Ernest W. Burgess, William I. Thomas, Florian Znaniecki e Roderick McKenzie.

In questa sezione l'analisi si concentra sull'esposizione delle principali linee teoriche che hanno sorretto la scuola di Chicago e le ricerche dei suoi discepoli: dall'importanza dell'analisi del comportamento umano nell'ambiente urbano (luogo moderno della vita quotidiana), al ruolo della ricerca sociale come strumento da applicare alle politiche urbane; dalla definizione della teoria dell'assimilazione per delineare il processo subito dallo straniero migrante nella nazione ospitante, al concetto di ecologia sociale ed umana, per sottolineare come i processi evolutivi interni alla comunità metropolitana fossero assimilabili a quelli interni alla vita delle piante e, quindi, risultato di una competizione e del successivo adattamento. La concezione teorica centrale della scuola risultava dall'insieme di questi presupposti e riteneva che gli esclusi e gli emarginati dovessero la loro posizione sociale anche e soprattutto per via di una forte competizione oggettiva, la quale li portava a divenire veri e propri avanzi umani fagocitati e immobilizzati dalla rete urbana. Ed è proprio su questa parte di mondo metropolitano che più si concentrano le analisi dei ricercatori di Chicago.

La seconda sezione rappresenta forse la parte più stimolante e interessante del libro. In essa, infatti, sono contenuti estratti di ricerche condotte dai diversi studiosi che in quegli anni passarono dalla scuola. Stimolante per via della metodologia empirica utilizzata: non si deve scordare che l'originalità dei lavori prodotti dalla scuola era anche basata sulla metodologia empirica utilizzata. Richiamandosi alle parole di uno dei suoi autori di riferimento, Robert E. Park, il sociologo aveva il compito di “sporcarsi i pantaloni”, sedendosi agli angoli delle strade e osservare la vita sociale direttamente nel suo svolgersi. In altre parole, la scuola di Chicago fu uno dei primi e più riusciti tentativi di applicare l'osservazione empirica, partecipante o meno, come metodologia per studiare la comunità metropolitana.
Interessante perché unendo la metodologia dell'empatia e dell'osservazione all'analisi delle zone più degradate della città, dei suoi abitanti sempre alla ricerca di qualche espediente per tirare innanzi, i resoconti che ne risultano sono vere e proprie descrizioni di quella parte di America fino ad allora nascosta dall'immagine dell'american dream, dall'illusione del successo per tutti. Dopo l'Antologia di Spoon River, anche nelle scienze sociali l'idea cieca di un'America come frontiera del successo e della felicità sociale viene scalfita. Si hanno così i racconti delle taxi girls di Paul Cressey che vede nella sala per balli un mondo sociale con le sue regole e i suoi processi; degli hobos di Nels Anderson che senza casa in giro per l'America ci era andato davvero prima di diventare ricercatore; della Gold Coast e dello slum di Harvey Zorbaugh che fornisce un esempio ben riuscito dell'analisi ecologica portata avanti dalla Scuola; e ancora del ghetto di Louis Wirth, delle gang di Frederic M. Trasher, della vita d'albergo di Norman S. Hayner etc.

Infine la terza parte, quella metodologica. In quest'ultima sezione sono presentati i contributi dei diversi autori sulla metodologia e loro memorie ritenute interessanti dal curatore del libro. Da un'analisi delle storie di vita di Robert E. Park a quella di William Thomas, ad un commento dello stesso Thomas a quella che fu la sua opera più importante scritta con il collega Znaniecki “Il contadino polacco”. In questa parte si può comprendere come la metodologia qualitativa della semplice osservazione, dell'immergersi nel contesto e dell'apprendere le autobiografie personali siano ritenuti dati fondamentali per la ricerca al fine di riempire e dare significato ai numeri raccolti con le statistiche. Numeri che possono fornire le dimensioni di un aspetto sociale della comunità, ma non possono illuminare il significato e il contenuto di questo. Come afferma Robert E. Park, passaggio ripreso dallo stesso Rauty nella sua introduzione, senza le storie di vita “siamo come un uomo al buio che guarda all'esterno della casa e cerca di indovinare cosa sta succedendo dentro”. Al contrario, con le storie di vita è come se si aprisse la porta (è strano notare come questo concetto è stato ripreso poi anche da Berger per definire lo sguardo del sociologo). Non ci resta, allora, che prendere la mano di questa schiera di sociologi e farci accompagnare nelle città americane di inizio secolo scorso.

Manuel Antonini
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