Intervista rilasciata dal prof.re Barbagli alla rivista online Una città e pubblicata ad inizio 2009.

Possiamo partire da questo dato, certo un po' imbarazzante visto da sinistra, dell'aumento dei reati commessi dagli immigrati…
Visto da sinistra o da destra il dato non cambia. La mia fatica è stata quella di dimenticare che ero di sinistra. All'inizio è stato difficile, ma dopo tanti anni che faccio il ricercatore mi sono convinto che quello che trovo, anche se non mi va bene, va pubblicato.

Tanto più che i dati che presento sono dati solidi: arrivano dagli archivi dell'Istat, dal Ministero dell'Interno, dai carabinieri, dalla polizia, dalla guardia di finanza, ecc. Sono i dati migliori che abbiamo, e quello che risulta sostanzialmente è che c'è stato un forte aumento della quota di stranieri sul totale delle persone denunciate, sul totale delle persone condannate, sul totale delle persone che stanno in carcere (anche se quest'ultimo dato andrebbe ulteriormente discusso).
Faccio subito una precisazione che riguarda i reati presi in considerazione, che sono specifici, non sono tutti. Per esempio, qui non parliamo dei reati cosiddetti dei potenti o dei colletti bianchi. Intanto perché ci sono scarse informazioni, ma soprattutto perché sappiamo che troveremmo sicuramente pochissimi immigrati in questo settore.

Questo però non vuol dire che i reati commessi dagli immigrati siano, come un tempo sosteneva il direttore di Repubblica, furtarelli da "ladri di polli". No, qui parliamo anche di reati molto gravi, come violenze sessuali, omicidi e, in generale, furti e rapine, anche importanti cioè che producono ingenti somme di denaro. Si tratta in gran parte di reati contro il patrimonio e contro le persone.
Ci sono poi anche annotazioni curiose: ad esempio, colpisce il fatto che i due tipi di rapine per cui non è aumentata la quota di stranieri sono quelle che rendono di più, cioè le rapine contro le banche e quelle contro gli uffici postali, mentre la quota di immigrati è spaventosamente alta nelle rapine di strada o in rapine che prima quasi non esistevano, ovvero quelle contro le abitazioni, che però sono un reato non particolarmente diffuso, meno di quanto risulta dai media. In alcuni reati infine la quota di stranieri è davvero incredibile, cioè siamo ai livelli di 60-65% nei borseggi, e si supera il 50% anche nei casi di furti in appartamento.

In gran parte poi si tratta di stranieri che ai controlli risultano essere persone irregolari, ovvero senza permesso di soggiorno.
Anche qui però non vuol dire che i reati riguardino solo gli irregolari. In alcuni reati gravi, come le violenze sessuali o anche gli omicidi, i regolari sono una quota non irrilevante. Io non ho fatto i calcoli, perché probabilmente ho ancora dei freni inibitori, nonostante tutto, ma si può dire che in alcuni casi anche gli immigrati regolari commettono più reati degli autoctoni, degli italiani.

Un dato forse non così intuitivo e però fondamentale è che gli immigrati sono anche tra le principali "vittime" dei reati di cui parliamo.
Infatti, un dato altrettanto importante e drammatico è che una parte di questi reati sono commessi contro altri immigrati. Gli immigrati, cioè, sono più a rischio di subirli, oltre che di commetterli, degli italiani. Ci sono varie spiegazioni per questo fenomeno. Una è che, soprattutto gli omicidi, ma probabilmente anche le violenze sessuali (qui c'è un problema di dati perché le donne immigrate denunciano anche meno delle italiane) sono reati che hanno la tendenza ad avvenire nello stesso gruppo.
Il libro si interroga anche sulle cause del fenomeno, cioè del perché di questo grande e crescente - negli ultimi vent'anni - numero di reati. Anche attraverso confronti internazionali che però sono molto complicati, perché i dati sono diversi, poi le statistiche sulla criminalità sono tra le più difficili.

Certo è che non si tratta di un fenomeno solamente italiano. Ciò che mi sembra non sia stato recepito pienamente è che la relazione tra immigrazione e criminalità varia nel tempo. Invece mi sembra che nell'approccio continuino a prevalere le posizioni ideologiche, che portano quelli di sinistra a pensare che non ci sia nessuna relazione, e quelli di destra a pensare che ci sia sempre stata…
In realtà, se prendiamo gli Stati Uniti, gli immigrati nei primi trent'anni del Novecento, come nell'ultimo ventennio dell'800, con le dovute eccezioni, commettevano meno reati degli autoctoni. Lo stesso avveniva per gli immigrati nell'Europa centro-settentrionale.
La situazione è cambiata negli anni '70, sia per gli immigrati di prima generazione che per gli immigrati di seconda generazione. In sostanza è cambiata la frequenza con cui gli immigrati commettono reati.

Come si spiega quest'inversione di tendenza?
Intanto negli anni '70 intervengono alcuni cambiamenti nell'economia e nel mercato del lavoro. Dopo il 1973, con la crisi petrolifera, si assiste alla fine di una fase di fortissima industrializzazione e sviluppo economico, di cui risentono anche i flussi migratori. Il rapporto tra push e pull, tra richiesta di immigrati e desiderio di venire nei paesi ricchi diventa così un rapporto squilibrato e questo induce molti paesi a introdurre delle regole per selezionare gli immigrati, per ridurre i flussi. Queste regole a loro volta hanno delle conseguenze, perché creano la figura dell'immigrato clandestino che prima non c'era.
Questa è la spiegazione generale. Ci sono poi ulteriori osservazioni specifiche che riguardano il nostro paese che credo si possano riassumere nelle difficoltà di adottare delle politiche e una legislazione capaci di aumentare l'efficienza dei controlli interni.

Nell'analizzare le due leggi, la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini, lei sostiene che sono molto meno diverse di quanto i rispettivi partiti politici le presentino...
E' così. E aggiungo che entrambe hanno avuto qualche effetto nel senso che, se non altro, hanno arrestato l'aumento di immigrati irregolari, se possiamo dire così. Si potrebbe obiettare che la quota era talmente alta che non era difficile, comunque hanno aumentato la capacità di controllo interno da parte delle autorità italiane, che significa la capacità di espellere, di rimpatriare gli immigrati che le forze dell'ordine, la magistratura ritengono debbano lasciare il nostro paese.
Attenzione, qui non parliamo degli immigrati irregolari, bensì di immigrati su cui ci sono seri sospetti - o prove - che stiano commettendo attività illecite. Il termine tecnico usato dal Ministero degli Interni è persone "rintracciate", e si tratta di una piccolissima parte degli immigrati irregolari.

Sugli immigrati irregolari infatti la polizia non chiude solo un occhio, li chiude tutti e due. Non controllano certo le badanti, perché non hanno né le risorse né il mandato.
Il problema sono appunto i rintracciati che negli ultimi anni hanno raggiunto quota centomila all'anno, che in parte sono gli stessi perché non riescono poi a respingerli. E qui si apre un altro capitolo che è quello dell'identificazione. Queste persone infatti danno false generalità, non dicono da che paese vengono, rendendo pressoché impossibile rimpatriarle. Resta il fatto che grazie ai centri di permanenza temporanea, che certo sono nati male, e altri istituti introdotti dalle due leggi, la quota di persone rimpatriate sul totale dei rintracciati è aumentata, per quanto non in maniera lineare.
Direi pertanto che la situazione da questo punto di vista è migliorata e ciò mostra che si potrebbe fare qualcosa.
Il nostro paese vanta poi altre due specificità. Una è l'esistenza di una forte quota di lavoro nero, luogo privilegiato per gli irregolari. E' chiaro che la presenza di un settore informale dell'economia così ampio favorisce l'immigrazione irregolare. Il secondo fattore è il bassissimo numero di controlli fatti nei luoghi di lavoro. In altri paesi mediterranei, come la Spagna, ad esempio, i controlli (almeno dai dati) sembrerebbero decisamente superiori.

Nel tentativo di offrire delle spiegazioni a questi comportamenti devianti lei utilizza il concetto di "privazione relativa", cosa significa?

Per provare a capire in effetti esistono due spiegazioni. Una è la teoria del controllo sociale che ci aiuta a comprendere i reati non solo degli immigrati ma di tutti noi. L'altra è quella della privazione relativa e del gruppo di riferimento. Mi spiego: le persone, soprattutto i giovani, che vengono in Occidente hanno sempre più come gruppo di riferimento non quello che lasciano al loro paese ma quello che trovano nei paesi ricchi.
Da questo punto di vista, per la seconda generazione la situazione è ancora più grave, perché effettivamente questi giovani si specchiano a tutti gli effetti sui loro coetanei. Se poi, come è successo in Francia, godono anche degli stessi diritti politici, in qualche modo, paradossalmente, il confronto diventa più frustrante e possono scattare dei cortocircuiti.
Intendiamoci, questo non vuol dire che non bisogna concedere i diritti politici, ma che non basta. Perché i giovani figli di immigrati nati e vissuti in Francia hanno tutti i motivi per considerarsi uguali nelle aspettative ai loro coetanei figli di francesi, e siccome dal punto di vista sociale e economico la situazione è invece molto diversa, ogni tanto si arrabbiano e sfasciano tutto, bruciano macchine, invadono le strade. Sono problemi che hanno tutti i paesi europei.

Che peso hanno le condizioni socio-economiche, la presenza di reti familiari, l'integrazione insomma?
L'integrazione è fondamentale. Anche come deterrente. Ho menzionato la teoria del controllo sociale, ebbene questa teoria, che tra gli studiosi di scienze sociali gode di maggiore credito, deriva dall'etica cristiana e in qualche modo può applicarsi alla generalità della popolazione: siamo tutti peccatori, ciascuno di noi può commettere reati, quelli che non li commettono è perché hanno dei forti controlli esterni e interni.
Ora, tra i controlli esterni non c'è solo il rischio della denuncia ma anche quello di far soffrire le persone care. I "controlli esterni" sono allora la mamma, la fidanzata, il marito, il compagno di lavoro. Perché pensi: "Ma se mi prendono do un dolore a mia madre". Ecco, nel caso degli immigrati, è evidente che questo vincolo è molto debole: molti di loro non hanno una rete all'inizio, a volte stanno dentro una rete nata proprio per le attività illecite, quindi sostanzialmente sono svantaggiati da questo punto di vista. Naturalmente sono svantaggiati anche dal punto di vista economico. Però la spiegazione che c'è nella testa della gente per cui questi commettono reati perché sono poveri, bisognosi, beh, non funziona.

Tanto più che non tutti sono poveri, certo magari non sono ricchi… Ma ad ogni modo non rubano perché sono poveri e bisognosi, no…


Si ringrazia il prof.re Barbagli e la rivista online Una città per l'autorizzazione concessa ai fini della riproduzione su questo sito.
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