Home Sociologia
Home Sociologia
Pagina 1 di 2
La fiaba come strumento educativo

Gli studiosi che hanno avuto a che fare con lo sviluppo e la formazione infantile si sono avvicinati con sospetto alla fiaba come prodotto educativo. E' chiaro che lo scopo primo per cui veniva raccontata era quello di dare un avvertimento morale ai bambini, perché spiegava qualcosa che altrimenti sarebbe stato complesso da spiegare, che i bambini non potevano afferrare. I racconti possono essere paragonati ai proverbi che, nella lunga tradizione, rappresentano un'insieme di istruzioni attraverso delle immagini mentali.
Se Bettelheim nei suoi studi è riuscito a dimostrare il valore terapeutico del racconto in grado, quindi di esorcizzare le ansie e le paure dei bambini, i pedagogisti moderni sono riusciti ad enfatizzare il suo valore educativo e pedagogico.
Chiarire il significato di educazione può essere utile per definire la funzione educativa della fiaba. L'educazione viene generalmente intesa come un metodo di guida, un'attività "che modella, che forma, che plasma"1, impiegata per la formazione del pensiero umano: implica non solo una funzione formativa ma anche informativa.

Ma l'educazione è anche intesa come sistema attraverso cui la cultura si trasmette da una generazione all'altra: trasmette comportamenti, valori, simboli, idee e ideologie.
In questo senso la fiaba è definita un relitto culturale perché nasce da antichi miti e riti che sono stati conservati nella memoria collettiva e trasmessi oralmente finché è stata raccolta da alcuni studiosi che l'hanno fissata come folklore.
La pedagogia invece è un complesso di teorie, è l'analisi dei processi educativi che si diversificano nel tempo (nelle varie epoche) e nello spazio (vari paesi e culture), e dei modi più atti a conseguire i fini del processo educativo, essa "genera la scuola"2.
La fiaba ammonisce, trasmette istruzioni sui comportamenti da assumere e veicola un insegnamento morale che riesce perfettamente ad adeguarsi alle esigenze storiche e sociali che caratterizzano il contesto nel quale nasce e si diffonde. Una comunicazione educativa acquista sicuramente molto interesse se è pensata e proposta come racconto.
I racconti, che sono frutto sia del bisogno di esprimere le esperienze personali, sia di estrinsecare la propria fantasia, parlano di formazione e agiscono sulla formazione predisponendo all'esperienza, anticipando la sua varietà e complessità anche nei suoi aspetti di durezza e crudeltà. Lo stesso racconto si rende pedagogico se è consapevole di essere racconto e se lascia spazio al commento: così se un ricevente è messo in grado di elaborarlo con relativa autonomia, può esplicare il suo livello metacognitivo.

Per cognizione si intende un sapere, una nozione su uno o più argomenti mentre la metacognizione riguarda la "consapevolezza e il controllo che l'individuo ha dei propri processi cognitivi"3, quindi l'auto-riflessione ed osservazione dei propri stati mentali. L'attività metacognitiva ci permette di monitorare due componenti: quella della consapevolezza, che rinvia al controllo dei processi di pensiero e di apprendimento e quella del controllo esecutivo che rimanda all'information processing, modello di ricerca che enfatizza una concezione dell'attività cognitiva diversa da quella piagetiana.
L'attività cognitiva è processazione dell'informazione determinata dai modi in cui l'individuo rappresenta e trasforma l'informazione.
Si dice quindi "metacognitiva" la conoscenza che un individuo ha dei propri mezzi cognitivi (memoria, attenzione, comprensione) e delle modalità per usarli e controllarli. I processi metacognitivi giocano un ruolo fondamentale nella capacità dell'individuo di accedere alle conoscenze di cui dispone perché favoriscono il transfer dell'apprendimento, cioè l'effetto di un apprendimento su un apprendimento successivo: "apprendere ad apprendere".
Rafforzare in età prescolare queste abilità vuol dire promuovere "l'empowerment cognitivo"4: un processo in cui il bambino rafforza l'autoregolazione e l'autodeterminazione, sviluppando parallelamente il sentimento del proprio valore e del controllo della situazione esperenziale, l'autostima e l'autoefficacia, riducendo i sentimenti di impotenza, sfiducia, ansia e tensione negativa.

La fiaba in tutto questo si identifica come uno strumento efficace, rappresenta una sorta di "script" o "copione" cioè una conoscenza globale della vita quotidiana: una iniziale forma di classificazione cui il bambino formerà successivi livelli di "generalizzazione".
Il costrutto di copione ha molti punti in comune con la narrazione perché esso comporta una diacronicità, un'articolazione soggetto-scopo, una concretezza, una scena. Tutte le storie presentano qualche situazione caratterizzata dal fatto che il personaggio persegue uno scopo, effettua azioni che in quella cultura sono ritenute appropriate allo scopo. Ben presto il bambino concentrerà la sua attenzione su singoli aspetti e funzioni: da queste analisi nasceranno i concetti (concetti-basic) che via via costituiranno il proprio sistema concettuale.
Prima che i bambini vengano introdotti nel mondo delle favole, attraverso Cappuccetto Rosso, Biancaneve e i sette nani, Cenerentola… si verifica un periodo piuttosto lungo in cui vengono presentati eventi, azioni, piccole narrazioni della quotidianità attraverso cui vengono inviati al bambino una consistente quantità di script. Quando viene padroneggiato un certo numero di conoscenze "scriptiche", è possibile per il bambino comprendere e apprezzare i racconti che prevedono delle violazioni di norme e aspettative, quindi delle difficoltà.

E' per questo motivo che la fiaba si distingue dal costrutto di script perché al suo interno inserisce l'imprevisto, l'eccezionalità: ad un certo punto della storia subentra un evento che crea una situazione di squilibrio deviando il corso delle azioni.
Questa importante proprietà della narrazione viene definita da Bruner: "violazione della canonicità". Se le conoscenze schematiche di tipo routinario favoriscono l'organizzazione e la divisione degli eventi attesi, gli imprevisti delle narrazioni consentono all'individuo di far fronte agli stimoli che violano le attese create dalle conoscenze schematiche.
Ma la fiaba è anche un elemento molto importante in cui il bambino percepisce e accetta le norme sociali: ad esempio la differenziazione tra ruolo maschile e femminile, l'ideale di obbedienza, di gentilezza e di disponibilità verso gli altri, veicola pertanto un "saper fare" che l'individuo deve seguire per potersi realizzare socialmente.
La fiaba utilizzata in modo sempre più valido e specializzato per l'età prescolare costituisce il luogo in cui il bambino esperisce l'attribuibilità dei sentimenti rappresentando quindi un'altra occasione per la costruzione della "Teoria della mente": raccontare le intenzioni, le emozioni, le idee dei protagonisti implica la promozione di una teoria della mente su loro senza necessariamente provare quelle stesse emozioni.


1. J. Dewey, Democrazia e Educazione, Firenze, La Nuova Italia, 2000
2. P. Bertolini (a cura di), Sulla Didattica, Firenze, La Nuova Italia, 2000, pp. 65–100
3. Boscolo, Psicologia dell'apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, Torino, UTET, 1997, pp. 280-304.
4. L. Mercadante (a cura di), Coprogettare l'apprendimento. Modelli, esperienze, casi. Roma, Carocci, 2007, pp. 18-40


    1 Successiva
ARTICOLI AUTORI LIBRI DOSSIER INTERVISTE TESI GLOSSARIO PROFESSIONI LINK CATEGORIE NEWS Home

Skype Me™! Tesionline Srl P.IVA 01096380116   |   Pubblicità   |   Privacy