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Conoscere la realtà: la mediazione culturale

Il concetto di realtà è da sempre oggetto di interesse da parte dell'uomo. Molteplici sono le discipline che si sono occupate di studiare e spiegare cosa sia la realtà e altrettanto varie le definizioni che ne sono scaturite.
Tra i diversi ambiti disciplinari, nello spazio delle "scienze umane", particolare rilievo assumono la psicologia, la sociologia e la filosofia. L'approccio filosofico, che appare il più lontano nel tempo, testimonia che l'interesse degli uomini allo studio della realtà nasce quando sorge in essi la necessità di interrogarsi su ciò che li circonda. L'etimologia della parola 'realtà', che deriva dal latino 'res', ovvero "oggetto materiale" pone le basi per la riflessione filosofica. Il concetto di "res" si contrappone a quello di "abstracta" che coincide invece con ciò che l'intelletto crede sulla verità delle cose. Nello specifico, all'interno della matrice filosofica si rintraccia il contributo dell'ontologia, che cerca di comprendere quali siano le condizioni per affermare l'esistenza di qualcosa.

Al concetto di realtà la filosofia collega strettamente quello di "essere", e attraverso la riflessione gnoseologica pone in rilievo la questione della "verità" della conoscenza di un oggetto. L'essere assume diversi significati; 'essere' può indicare che una cosa esiste, può rappresentare un'appropriazione di identità (come ad esempio se si afferma "io sono una donna"), può ancora attribuire ad un oggetto una certa qualità. La filosofia diventa metafisica allorquando prende in considerazione l'esistenza di una non-res, di qualcosa che non sia caratterizzato da una dimensione fisica.
La definizione della realtà è in questo ambito disciplinare imperniata sulla relazione tra le due dimensioni della realtà, fisica e astratta.
Attraverso i secoli, tale relazione ha assunto forme diverse a seconda dei pensatori che se ne sono occupati.

Un approccio senza dubbio più vicino ai giorni nostri è quello della sociologia, ed in particolare di quella che viene definita "sociologia della conoscenza". La sociologia della conoscenza, che trova uno dei suoi principali esponenti in Max Scheler (1960), si occupa della relazione tra il pensiero umano e il contesto sociale da cui scaturisce. Tale disciplina considera la realtà come l'insieme dei fenomeni indipendenti dalla nostra volontà, cosicché risulta come socialmente costruita (Berger e Luckmann). In particolar modo, si può parlare di una "realtà della vita quotidiana", che risiede nelle cose che si presentano alla nostra coscienza come preesistenti, presenti qui ed ora, intersoggettive ed autoevidenti. La vita quotidiana è una realtà interpretata dagli uomini e soggettivamente significativa per loro come un mondo coerente. La sfera della realtà della vita quotidiana si differenzia da quella della dimensione onirica, o della fantasia, identificate come vere e proprie peregrinazioni oltre la vita quotidiana. Tuttavia, la dimensione della vita quotidiana non si esaurisce nell'immediato hic et nunc, ma comprende dei fenomeni che sono più lontani dal contingente. Proprio in quanto autoevidente, la presenza dell'altro è più immediata e saliente al soggetto di quella di se stesso che necessita di un impegno e di una riflessione. Un soggetto non può esistere senza l'interazione con l'altro, con cui condivide la consapevolezza dell'esistenza di un mondo comune.

L'interrogarsi sul senso delle cose che ci circondano, su cosa sia ciò che definiamo "reale", fa parte anche di quanto concerne la disciplina psicologica. Come spesso accade, all'interno di una matrice teorica hanno vita diverse prospettive, che esprimono diversi approcci allo studio di uno stesso oggetto. Resta comune il dominio di appartenenza, come in una famiglia il cognome portato da diversi fratelli. Se 'Psicologia' è il cognome in questione, il presupposto comune alle diverse prospettive che vogliamo adottare, possiamo comprendere come, posizionando lo sguardo da differenti angolazioni, riusciamo a comprendere tutte le forme che l'oggetto assume, adottando di volta in volta un nome diverso. Nel caleidoscopio della psicologia, ruotando mentalmente la lente, ai nostri occhi si presentano diverse figure, ovvero interpretazioni dell'oggetto.
La psicologia culturale può essere metaforicamente considerata come uno dei nomi che fa parte di quella famiglia, o una delle particolari combinazioni di quel caleidoscopio.
La matrice europea della prospettiva culturale assume l'aggettivo 'culturale' dal rimando alla psicologia di derivazione vygotskijana. Lev Vygotskij (1934), che teorizzava lo sviluppo sociale e interattivo delle facoltà cognitive, anticipò le istanze della matrice culturale dando rilievo per primo al ruolo degli strumenti, definiti "artefatti", nel mediare il processo di conoscenza della realtà.
Tali artefatti appaiono caratterizzati da una dimensione fisica, che ne consente l'uso, ed una dimensione "ideale". Invero, uno stesso oggetto può essere visto come strumento fisico e come artefatto ideale, immateriale: l'insieme inscindibile di queste due caratterizzazioni dell'oggetto dà vita alla mediazione.

"Immaginiamo che io sia cieco e usi un bastone. Per camminare devo toccare le cose. In quale punto del bastone incomincio io? Il mio sistema mentale finisce all'impugnatura del bastone? O finisce dove finisce la mia pelle? Incomincia a metà del bastone? Oppure sulla punta?"1
L'ormai noto esempio di Gregory Bateson serve ad illustrare il concetto di mediazione, prefigurando una situazione ipotetica, per farlo più vicino a noi. In tal senso "mediare" significa "permettere", dato che il cieco può spostarsi nel mondo reale solo evitando gli ostacoli che il bastone incontra, conosce mediante il bastone. Ma significa al contempo "limitare", perché il cieco conosce il mondo nella misura in cui il bastone lo consente, e definito dai limiti del bastone.
Nel mondo reale, e non in una situazione ipotetica, siamo tutti alla stregua di quel cieco che utilizza il bastone per muoversi nello spazio circostante. Nessuna delle esperienze che possiamo vivere risulta non "filtrata" dal processo di mediazione di uno strumento. Il primo mediatore, che elimina certamente l'ipotesi, tuttavia sostenuta da alcuni, che non sia indispensabile un filtro nelle azioni di ogni giorno è la nostra mente. La stessa capacità di pensiero di cui disponiamo, il modo in cui ciò che siamo stati fino a questo momento influenza tale capacità, è artefatto e strumento che media la conoscenza del mondo.
Parallelamente, il concetto di "mediazione culturale", centrale nella prospettiva che abbiamo in esame, implica l'esistenza di una mediazione della cultura in tutti i processi psicologici, e quindi l'inesistenza di qualcosa che non sia "contaminato" dalla cultura: non esistono processi psicologici non mediati culturalmente.
Concependo la cultura come qualcosa di così pervasivo nel mondo reale, la psicologia culturale prende le distanze da un'idea di cultura intesa come semplice caratteristica distintiva dei gruppi sociali, avente dei confini ben delineati. Tale aspetto emerge invece nella definizione di cultura organizzativa apportata da Schein (1965) che prospetta una tripartizione in artefatti, valori e assunti di base, rimarcando il carattere inconscio della cultura.
Ciò significa che l'esistenza e gli effetti della cultura prescindono dalla consapevolezza dei soggetti, principio che sembra del tutto coerente con quanto dichiarato dalla prospettiva culturale. L'essenza della cultura è per Schein da rintracciare nel livello più profondo e implicito della sua tripartizione, ovvero negli assunti di base condivisi. A questo livello corrispondono tutte le assunzioni impossibili da osservare direttamente e ignote alla coscienza delle persone, ma che ne guidano e condizionano il comportamento. Tale nucleo interno di assunti si manifesta tramite i restanti due stadi della definizione di Schein: valori e artefatti. Essendo, secondo questa teorizzazione, fonte indubbia di definizione identitaria per i soggetti appartenenti ad un gruppo, la cultura viene appresa dalle persone.


1. Bateson, G., (1972). Steps to an ecology of mind. London, Chandler. Trad. it. (1986). Verso un'ecologia della mente. Milano: Adelphi.


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