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La genesi dell’opinione pubblica

Peculiare e senza precedenti è il termine di questo confronto politico: la pubblica argomentazione razionale. Prima ancora, però, che il carattere pubblico del pubblico potere venga contestato dall'argomentare politico e poi successivamente negato, si viene costituendo, sotto la sua copertura, una dimensione pubblica configurata non politicamente. I salotti (salons) di Parigi, i caffè (coffee-houses) d'Inghilterra e i sodalizi conviviali (Tischgesellschaften) della Germania divengono la nuova palestra di un pubblico dibattito di idee che ha come oggetto fondamentale le esperienze della nuova condizione privata dei cittadini . Proprio in virtù del fatto che la cultura assume sempre più la forma di merce, il gusto dell'argomentazione razionale si accende a contatto con i prodotti culturali divenuti accessibili al pubblico – nella sala di lettura, al teatro, nei musei e nei concerti. "Ecco come la città non è soltanto centro di vita economica della società civile; in antitesi politico-culturale alla corte, essa caratterizza innanzitutto una primitiva sfera pubblica letteraria".
Nell'incontro con gli intellettuali borghesi, gli eredi di codesta società aristocratico-umanistica utilizzano la socievolezza delle loro conversazioni, che non tardano a svilupparsi in una critica pubblica, per gettare un ponte tra la forma residua di una sfera pubblica in disfacimento, quella di corte, e la preformazione di una nuova: quella borghese. Quindi, con la diffusione della stampa periodica e la comparsa di nuovi spazi di socialità, quali appunto i caffè, i salotti, le società di lettura e i clubs, alla fine del XVIII secolo appare sempre più chiaro il verificarsi di un fenomeno per descrivere il quale è necessaria l'invenzione di termini nuovi quali pubblicità (publicité, publicity, publizität), public spirit, general opinion e opinion publique, ad indicare uno stile inedito di comunicazione che si afferma tra i privati cittadini borghesi, in polemica con lo stile cortigiano.
Il termine "opinione pubblica", che entra nell'uso in Francia intorno alla metà del Settecento e in Inghilterra intorno alla fine dello stesso secolo, non può essere completamente scisso nel suo destino – come sottolinea Habermas – dalle vicende sei – settecentesche del concetto di "opinione". Un concetto questo strettamente connesso, a cominciare da Locke, con quello di reputazione o credito, e che indica per questo un'opinione passata al vaglio della società, e in questo senso si distingue dall'accezione puramente negativa del pregiudizio soggettivo. L'aggiunta degli aggettivi "pubblico" o "generale", segnala l'inizio di una prima divaricazione nell'uso del concetto, a seconda che si voglia sottolineare con essa il carattere di immediatezza e di incontaminazione del senso comune, tacitamente espresso dal popolo, o la necessità di sottoporre l'opinione al vaglio di criteri generali, di distinguere l'opinione illuminata, che chiama in causa il ruolo dei dotti e dei filosofi, da un'opinione scaduta al ruolo di doxa. In entrambi i casi l'argomentare all'interno della sfera pubblica sembra per lo più nel Settecento mantenersi distinto dal ragionamento e dal metodo scientifico, per indicare un tipo di sapere raggiungibile da individui ragionanti e giudicanti a partire dal mero riconoscimento della loro comune appartenenza al genere umano.

La linea divisoria tra Stato e società separa la sfera pubblica dall'ambito privato. L'ambito pubblico si limita al potere pubblico, dove è compresa anche la corte. Nell'ambito privato, è altresì compresa la vera e propria "sfera pubblica"; è questa, infatti, una dimensione pubblica di privati. All'interno del campo riservato ai privati distinguiamo perciò sfera pubblica e sfera privata. Quest'ultima abbraccia la società borghese in senso stretto, l'ambito quindi del traffico di merci e del lavoro sociale all'interno della quale vi è inserita anche la famiglia con la sua sfera intima. La sfera pubblica politica emerge da quella letteraria; attraverso l'opinione pubblica essa fa da mediatrice tra lo Stato e le esigenze della società.
Però, per quanto società conviviali, salotti e caffè potessero distinguersi per lo stile sociale e per l'ampiezza e composizione del pubblico, nel tono del ragionamento e nell'orientamento dei temi, essi tuttavia organizzano sempre una discussione tendenzialmente permanente fra i privati; dispongono perciò di una serie di criteri istituzionali comuni. In primo luogo, si richiede un tipo di relazioni sociali che non presupponga l'eguaglianza di status, ma ne astragga sistematicamente. La parità, sulla cui base soltanto può affermarsi e alla fine trionfare l'autorità dell'argomento contro quella della gerarchia sociale, significa, nella coscienza dell'epoca, la parità di "ciò che è semplicemente umano".
Quindi, all'interno di queste associazioni, i privati formano il pubblico nel senso che potenza e prestigio dei pubblici uffici sono dichiarati inefficaci: qui, i borghesi si incontrano col nobile, socialmente riconosciuto ma privo d'influsso, considerato un uomo puro e semplice.

La discussione in un siffatto pubblico presuppone, in secondo luogo, la problematizzazione di ambiti che fino ad allora non si era neppure pensato di mettere in questione. L'"universale", che in precedenza era lasciato al monopolio interpretativo delle autorità ecclesiastiche e statali, diviene ora un tipo di informazione a disposizione di tutti in ragione del fatto che, con lo sviluppo capitalistico, l'arte e la cultura in generale divengono merci e, in quanto tali, accessibili a tutti. Lo stesso processo che dà alla cultura la forma di merce e così soltanto la rende suscettibile di discussione, porta, in terzo luogo, all'impossibilità in principio di chiudere il pubblico verso l'esterno. Nonostante il pubblico volesse rendersi esclusivo, non poteva mai isolarsi del tutto e irrigidirsi proprio perché esso si trovava e si concepiva sempre in mezzo a un pubblico più vasto di tutti i privati che come lettori, ascoltatori e spettatori, fermo restando il presupposto della cultura e della proprietà, potevano impadronirsi tramite il mercato degli oggetti in discussione.

Nel corso del XVIII secolo, dunque, cominciò a formarsi "una sfera pubblica piccola ma capace di discussione critica". Una critica inizialmente artistica, letteraria, teatrale e musicale che si sviluppa progressivamente in una coscienza politica che, in opposizione al potere assoluto, rivendica e articola il concetto di leggi generali e astratte e infine impara ad affermare se stessa, in quanto opinione pubblica, come unica fonte legittima di queste leggi, rivendicando la competenza legislativa per quelle norme che le sono debitrici del loro concetto polemico-razionalistico. I criteri di universalità e astrattezza che contrassegnano la norma giuridica dovevano avere peculiare evidenza per i privati che, nel processo di comunicazione della dimensione pubblica letteraria, si accertano della loro soggettività, derivata dalla sfera dell'intimità. Infatti, in quanto pubblico, essi sono già sottoposti a quella legge non formulata che codifica la parità degli uomini colti. Ed è proprio la parità a svolgere una importante funzione: infatti, è proprio prescindendo dai ranghi sociali e politici precostituiti che ha modo di realizzarsi il dibattito pubblico del pubblico borghese, un dibattito all'interno del quale, fermo restando le regole di universalità e astrattezza, richiede raziocinio. In effetti, Habermas afferma che "secondo tale idea, un'opinione pubblica nata dalla forza dell'argomento migliore aspira a quella razionalità moralisticamente pretenziosa che cerca di far coincidere giustezza e giustizia". E ancora, nel suo Storia e critica dell'opinione pubblica, Habermas scrive che "una sfera pubblica con funzioni politiche […] deve tradurre la voluntas in una ratio, che si produca nella concorrenza pubblica degli argomenti privati come consensus su ciò che è praticamente necessario per l'interesse generale". In questo senso, le leggi possono pretendere, oltre ai criteri formali di generalità e astrattezza, anche quello materiale della razionalità.
Quindi, quanto più si afferma, tanto più l'opinione pubblica pretende di essere l'unico metro di legittimità delle leggi pubbliche, che si giustificano in ultima istanza grazie alla forza dell'argomento migliore. E' proprio questo aspetto, destinato a restare centrale in tutto il lavoro habermasiano, che caratterizza l'interpretazione peculiare e assolutamente radicale che Habermas dà della sfera pubblica. L'autore afferma che, al contrario di quanto pensano i liberali, l'opinione pubblica non è un limite al potere, né, democraticamente, l'origine di tutti i poteri, ma è un superamento del dominio, dissoluzione del potere e della sovranità in pura razionalità. Così definita, la sfera pubblica borghese è, tuttavia, caratterizzata da una sua peculiare contraddizione interna: se da un lato essa è, secondo il suo principio, aperta a tutti, dall'altro è, di fatto, accessibile solo a chi possiede denaro e cultura. Proprietà e cultura, infatti, divengono i due criteri di ammissione alla sfera pubblica borghese. Di fatto entrambi i criteri riguardano la stessa cerchia di persone, poiché l'istruzione scolastica è in quel tempo il presupposto di uno status sociale che è, a sua volta, determinato essenzialmente dai titoli di proprietà. Il ceto colto è anche quello dei possidenti.

L'opinione pubblica, quindi, scrive Habermas, è quella istituzione della società il cui principio informatore si contrappone idealmente a ogni forma di dominio. Tuttavia, questo superamento resta ideologico se cade il presupposto sul quale esso si regge, e cioè che tutti possano elevarsi alla condizione di borghesi. Ma è proprio questo l'aspetto sul quale si appunta la critica marxiana: se la società civile borghese, in forza della sua dinamica strutturale e necessaria, è una società di classe, scissa tra proprietari e non proprietari, anche l'opinione pubblica è espressione di un particolare interesse, quello della classe proprietaria; la sua pretesa di universalità viene quindi smentita.
In quanto presuppone una sfera privata, la sfera pubblica non è realmente pubblica: la realizzazione effettiva del suo carattere pubblico richiede la soppressione della sua sfera privata in antitesi alla pubblica. La sfera pubblica diventa così la collettività dei cittadini che pianifica la propria vita sociale, determinando una specie di"estinzione dello Stato". L'allargamento della sfera pubblica ai non-proprietari non produsse però la scissione tra pubblico e privato, e cioè quanto ipotizzava Marx, ma diede luogo ad una reazione liberale che considera l'opinione pubblica come un potenziale tiranno dal quale bisogna difendere il singolo. Tuttavia, non appena in questo pubblico si infiltrano masse prive di proprietà e di cultura, a lungo andare non determina un allargamento della sfera pubblica quanto piuttosto il mutamento della costituzione liberale di Stato e società. Le masse prive di proprietà spostano il conflitto dal terreno economico a quello politico e spingono lo Stato, con l'espressione delle loro lotte sempre più organizzate, ad assumere nuove funzioni che erodono la tradizionale separazione di esso dalla società civile e che militano sostanzialmente i pilastri dell'ordine liberale, ovvero la piena disponibilità della proprietà e la libertà di contrattazione.
Quindi, per un verso si modifica le sfera privata che era presupposto della sfera pubblica borghese e dall'altro questa sfera privata perde il contatto vitale col dibattito politico e letterario attraverso un processo di mutamento che ha al suo centro la trasformazione della produzione culturale in bene di consumo.

Dossier tratto dalla tesi di Claudia Carluccio, L'opinione pubblica nel pensiero politico del primo Habermas

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