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Hobo: lo studio dei vagabondi nell'America dell'oro

Quindi questa figura secondo lo studioso non era altro che espressione di quella esigenza di mobilità, di quel Wanderlust, desiderio di viaggiare, di quella continua messa in discussione delle radici, di una quotidianità e della volontà autonoma di trasformazione, elemento della cultura americana che ha affascinato generazioni e generazioni di uomini in tutto il mondo. Secondo Cassano:

"Gli hobos fanno ciò perchè sanno di non essere eroi, non assolvono ad una missione che non possono disertare senza tradire, e ciascuno di loro avrà sempre in mente ed amerà sempre ripartire ricostruendo ogni volta il proprio affrancamento da ciò che lo teneva schiavo e continuerà a minacciare la sua libertà, non badando ai caratteri di quella trasformazione che la sua presenza e il suo lavoro hanno contribuito a determinare"4.

Mentre per Anderson lo hobo deve essere considerato:

"una delle figure eroiche della frontiera proprio perché grazie al loro lavoro e al loro aiuto si costruirono ferrovie e si valorizzarono miniere fuori mano, si fondarono città avamposto"5.

Anderson nel corso del suo libro tende sempre a sottolineare che gli hobos "sono uomini normali con difetti degli uomini normali, lavoratori anzitutto; e questa era l'immagine che lo hobo aveva di sé".6

Lo hobo non era una persona ignorante. Nonostante il tasso di analfabetismo era molto alto tra i lavoratori urbani e agricoli, lo hobo leggeva il giornale e seguiva con passione le pagine sportive. Curiosità intellettuale e vastità e varietà di interessi erano presenti in lui in misura maggiore che negli altri tipi di lavoratori.
Il modo di vivere dello hobo era selettivo e quando si prolungava nel tempo richiedeva la capacità di spostarsi da un luogo ad un altro. L'adattamento all'ignoto e al nuovo per quel che riguardava strumenti, lavoro, macchine e ambienti era per lui una conseguenza naturale della mobilità. Ogni volta che piantava in asso un lavoro e portava i soldi in città era risoluto a spendere con moderazione. Avrebbe comprato vestiti, mangiato bene, dormito in una stanza pulita e se la sarebbe presa con comodo. Avrebbe fatto letture, visto spettacoli. Solo pochi erano capaci di realizzare queste buone intenzioni. Mentre la stragrande maggioranza finiva i soldi già il secondo giorno di permanenza nella città. Seguivano, così, alcuni giorni di accattonaggio, e poi di nuovo la ricerca di una nuova occupazione.
L'esistenza dello hobo viene a più riprese collegata strettamente con l'organizzazione del lavoro, infatti l'irregolarità del suo impiego si riflette sull'irregolarità della sua vita. La società per occuparsi di lui in quanto individuo deve innanzitutto occuparsi delle forze economiche che ne hanno plasmato il comportamento, come anche del bisogno del mercato del lavoro che gli permetta di andare alla ricerca di un posto dove dormire, di un vitto.
Nella Chicago degli anni venti si fece carico di questo onere la IWW, Industrial Workers of the World (lavoratori industriali del mondo) che espresse tra 1905 ed il 1919 il tentativo di superare il sistema di rappresentazione e di organizzazione secondo le divisioni di mestiere, operando per unificare gli operai delle due frontiere, esprimendo così uno dei più straordinari movimenti sociali di qualsiasi paese. E l'Iww sarà comunque presente nelle centinaia di comizi, discorsi, orazioni, consigli, organizzati a Hobohemia rispetto alla politica e al sovvertimento della società e delle sue regole contro gli hobos.
Ma pochi erano realmente gli hobos che aderivano a queste associazioni, perché il vero hobo era un tipo fin troppo individualista a tal punto da sentirsi soffocare anche da queste associazioni che avevano l'obiettivo di salvaguardarlo.
È interessante notare che nel complesso documentario redatto da Anderson emerge che questa eterogenea realtà sociale riesce comunque ad organizzare la propria identità, la propria esistenza ed il proprio stare insieme lungo percorsi di autonomia consolidata, che prevedono acquisizioni specifiche di ruolo dei quali il linguaggio e le canzoni sono testimonianza.
Quindi questa ricerca non trovò solo disorganizzazione ma anche forme di organizzazione sociale. L'oralità che anima la vita degli hobos, le poesie come le ballate, la consuetudine al racconto, non si presentano come semplici elementi folcloristici ma come critica e differenza attuale della modernità alimentando memorie, rituali, aggregazioni, passioni, che sfuggono alle certezze della ragione scritta. Nelle zone Bum Park o di Grant Park molti giovani si riuniscono davanti ai laghi per ascoltare i racconti di coloro che vogliono condividere le proprie esperienze di vita. Questi "eventi" permettono ai giovani di socializzare facilitandone l'interiorizzazione dei valori e delle regole della società, e di conseguenza l'inserimento nella comunità stessa. Nella vita dello hobo c'è quindi, secondo Rauty, in forma diffusa e continua l'espressione di una soggettività che va dalle interrelazioni alla riflessione intellettuale, che sradica dal concetto di vagabondo l'interpretazione di un fannullone e di un soggetto che non ha saputo stare al passo con le trasformazioni della storia, in realtà gli hobos erano partecipi a tutti gli effetti, secondo una propria presenza e continuità autonoma, della pratica esistenziale moderna. Una presenza moderna della quale costituisce un esempio il soprannome che i tramps adottavano, essi mantenevano il loro nome ma sostituivano il cognome con il nome di una località abbastanza conosciuta da essere nota agli altri, compiendo così un'operazione di mantenimento della propria identità, ma modificando la parte troppo esterna al mondo della mobilità per essere identificata. Questo aveva l'effetto di ridefinire i legami comunitari per una realtà più ampia e differenziata, interna alla realtà dei processi comunicativi propri di quella comunità di cui facevano parte.
Di questa ridefinizione autonoma dei confini e dei contesti esistenziali, un ruolo importante fu attribuito da Anderson al saloon, la dimensione urbana più attiva e collettiva percepita dallo hobo, che non lo considerava solo come luogo dove bere o spendere i soldi ma una sede nella quale vivere una sorta di seconda casa per chi la casa l'aveva, dove esprimeva e faceva trasparire la propria identità. Il saloon era il luogo principale dopo il lavoro della presenza sociale, esso offriva un'accoglienza adeguata ai suoi ospiti e gran parte di questi esercizi offrivano un pranzo gratis a differenza di altri ristorante che lo facevano pagare dai cinque ai trentacinque centesimi.
Quindi il saloon, luogo privilegiato del tempo libero e della vita della città, divenne il centro di resistenza al processo di modernizzazione e di omologazione, rifugio delle insicurezze e difficoltà del lavoro industriale ed anche occasione per la creazione e la riproduzione di solidariètà sociale, ponendosi così in posizione antagonista rispetto alla proprietà capitalistica. Tale situazione insieme ad elementi legati all'organizzazione del lavoro costituiscono le cause dello sviluppo di campagne proibizioniste che portarono al Volstead Act7 del 1919 ed all'introduzione del proibizionismo. Questo ultimo provvedimento, apparentemente volto all'intera società, tendeva a colpire e reprimere aree sociali specifiche, sostanzialmente interne alle fasce subalterne, spezzando quel processo di omologazione sociale e disgregazione della memoria che tendeva a riproporre un'armonia generale e diffusa che le escludeva dalla società e dai suoi luoghi più intimi, creando così nuovamente quel distacco dalla povertà e dai poveri, dai marginali come deboli.
L'essere confinati in specifiche aree naturali, in regioni morali, corrisponde in qualche modo a questo doversi annullare nelle pieghe della realtà urbana senza turbare lo spazio esistenziale individuale. In questo senso non è importante che il povero sparisca dalla storia, è però essenziale che egli sia scarsamente visibile e che ricompaia nel sociale non autonomamente, ma solo quando l'intervento assistenziale ripropone la sua esistenza.
Anderson ci dice che:

"non dobbiamo pensare allo hobo come un problema sociale, perché quella figura è quasi scomparsa, ma non bisogna dimenticare che il posto dello hobo è ormai nella storia della frontiera e resterà la massima espressione di quel nomadismo americano che ci ha accompagnato nell'era moderna"8.

La povertà costituisce una piaga sociale anche nella moderna società contemporanea, il vagabondaggio moderno ha assunto forme diverse dai girovaghi ai mendicanti, dagli svampiti ai disperati, dagli espulsi ai perdenti.
Ma la "buona società" ha sempre fatto distinzione fra vagabondi veri e falsi, tra quelli buoni e quelli cattivi: i primi sono quelli che sono stati espulsi, sfortunati hanno perso loro malgrado la loro posizione; i secondi invece sono quelli accusati di aver rinunciato di proposito a tutto per inseguire il malsano sogno della libertà. Ovviamente la società preferisce il primo: il vagabondo immiserito, perché è una presenza accettabile ai confini della propria certezza, mentre il secondo: il vagabondo "viaggiatore" è inaccettabile, perché considerato un disgraziato con l'aggravante di essere ribelle, fuggitivo, assente, un vizioso.



4. F. Cassano, Partita doppia. Appunti per una felicità terrestre, Il Mulino, Bologna 1993, p.24.
5. N. Anderson, op.cit., p.15
6. N. Anderson, op.cit., p.12
7. Provvedimento che impediva la vendita di bevande alcoliche.
8. N. Anderson, op.cit., p.9


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