Home Sociologia
Home Sociologia
Pagina 1 di 3
Sapeurs congolesi, pazzi per la moda

La sfilata è illuminata da un fascio di luci tremolanti. Bianche, gialle e arancione. Sembra la trovata di un abile scenografo, ma dipende solo dai vecchi lampioni difettosi che ciondolano pericolosamente sulle nostre teste.
A Kinshasa sono atterrati da poco gli ultimi voli dall'Europa e la pedana dell'aeroporto internazionale di Ndjili si è trasformata come per magia in una sfavillante passerella dell'alta moda. I protagonisti del defilé sono i sapeurs, i divi congolesi del lusso, maestri indiscussi di stile ed eleganza. Arrivano da Parigi e da Bruxelles, ma paiono sbarcati da un altro pianeta. Indossano abiti immacolati e sfarzosi. Occhiali da sole, cappelli di feltro, scarpe luccicanti. Tutto rigorosamente griffato.
A guardarsi attorno – tra il viavai frenetico di mendicanti, taxi sventrati, facchini lerci, gente fradicia di sudore – viene da chiedersi come facciano a non sentirsi fuori posto, ricoperti come sono di profumi e di gioielli luccicanti.
Ma è la domanda sciocca di chi fatica a mettere a fuoco la realtà: i sapeurs sono eroi nazionali del Congo. E la moltitudine di curiosi e perditempo che si raduna ogni sera attorno a questo strampalato palcoscenico della haute couture è più interessata a sfiorare il corteo dei modelli neri come l'ebano - belli e inarrivabili - che ammirare le nuove collezioni europee del prêt-à-porter.
«Sembra di assistere a una sfilata di divi sui tappeti rossi di Hollywood», dice una giovane venditrice di uova sode che ha sgomitato senza ritegno per assicurarsi un posto in prima fila. «Sono una habitué di questo evento mondano… È uno spettacolo divertente, imperdibile. Non ci si annoia mai». Ha ragione. Ogniqualvolta si trovano sotto i riflettori, i sapeurs danno vita a esibizioni irresistibili; vere e proprie gare di eleganza ricche di suggestioni e colpi di scena.
I concorrenti fluttuano con disinvoltura tra i cordoni di spettatori, incuranti della polvere che frena i loro trolley, e indugiano davanti alla folla incantata per ostentare tutta la loro sciccheria. Sfoggiano perfette chiome impomatate, mettono in mostra i marchi dei capi firmati.
Sanno di essere al centro dell'attenzione, ma non hanno l'aria compiaciuta. Esibiscono sguardi impassibili, quasi sprezzanti. Come sanno fare solo i vip. «È il loro momento di gloria, il loro riscatto sociale», spiega un amico congolese che assiste allo spettacolo. «Stanno tornando a casa dopo aver trascorso molto tempo in un Paese ricco, devono mostrare di essere riusciti a guadagnare molti soldi, a dare una svolta alla loro vita. Si vestono alla moda per esibire in pubblico il successo… A volte si tratta solo di un'abile messinscena, un bluff per celare i problemi economici di sempre. Ma non importa».

Papa Wemba contro Mobutu
Personaggi eccentrici e capricciosi, i sapeurs sono seguaci di un movimento locale chiamato "Sape" – sigla che sta per Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes (Società delle persone eleganti che fanno atmosfera) – che ruota intorno al possesso dei capi griffati più cari e sontuosi. Non si pensi a un'effimera moda giovanile.
Si tratta di un complesso fenomeno di "edonismo africano" studiato persino dai sociologi, che affonda le sue radici nella storia locale.
Tutto sembra essere iniziato negli anni Settanta quando l'ex colonia belga – che allora si chiamava Zaire – era funestata da un regime sanguinario e oscurantista. Il maresciallo Mobutu Sese Seko, salito al potere con la forza all'indomani dell'indipendenza, aveva imposto al Paese la sua «politica dell'autenticità» che mirava a cancellare i retaggi coloniali per valorizzare le radici culturali africane. Dittatore spietato e stravagante, Mobutu aveva proibito l'uso di giacca e cravatta, che considerava inaccettabili "simboli degli oppressori europei".
Il tiranno aveva "invitato" tutti gli zairesi a indossare una scialba uniforme nazionale, chiamata abacost (dal francese "à bas le costume"), costituita da una casacca leggera dal taglio sgraziato accompagnata da un paio di pantaloni slavati.
Il musicista Papa Wemba, pop star emergente della rumba zairese, fu tra i primi ad opporsi alla divisa maschile mobutista. Sfidando le ire del regime, si fece beffe dell'embargo sulle importazioni di abiti occidentali e cominciò sfoggiare in pubblico completi sontuosi, acquistati nelle più esclusive boutique durante le tournée in Europa. Papa Wemba proponeva un look ribelle, volutamente esagerato, che faceva impazzire i giovani.
Ai concerti esibiva giacche di paillettes, vistosi copricapi in pelle, scarpe di vernice luccicante, camicie color rosa-confetto. Spesso indossava gli abiti a rovescio per mettere in mostra l'etichetta. E tra una canzone e l'altra amava improvvisare delle sfilate di moda e dei concorsi di portamento. Indossare un completo griffato deve essere un piacere, non un crimine», gridava alle migliaia di fan che affollavano le sue esibizioni. In breve il suo stile travolgente diede vita ad una vera e propria rivoluzione dei costumi destinata a propagarsi come un'epidemia nel cuore dell'Africa.
«Era un messaggio estetico dirompente e sovversivo», spiega l'antropologo belga Thomas Hannon. «Venne bollato come un culto borghese, ma fece breccia negli strati più popolari della società… I suoi sostenitori si sono moltiplicati fino ai giorni nostri». Oggi, a distanza di trent'anni, la passione per la moda si è trasformata in una vera e propria fede. Sono migliaia i congolesi che hanno fatto dell'eleganza la propria religione. Gli stilisti europei sono le loro divinità, i negozi di sartoria le loro chiese, Vanity Fair e Vogue i loro libri sacri, un completo da sogno il loro passaporto per il paradiso. E Papa Wemba, ormai quasi sessantenne, resta il profeta incontestato di questo credo materialistico.



    1 Successiva
ARTICOLI AUTORI LIBRI DOSSIER INTERVISTE TESI GLOSSARIO PROFESSIONI LINK CATEGORIE NEWS Home

Skype Me™! Tesionline Srl P.IVA 01096380116   |   Pubblicità   |   Privacy