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Sviluppo e solidarietà: prospettive

Il concetto di sviluppo: tra economia ed essere umano

La nozione di sviluppo è recente. La sua prima apparizione è in un discorso di Truman nel 1949. La sua definizione è imparentata alla nozione religiosa della "salvezza", proponendosi - almeno fino agli anni ’80 - come una vera e propria religione economica (Sarpellon, 1969).
La formula originaria di questo concetto è che vi sia un percorso di progresso materiale lineare al quale la società può e deve partecipare se intende raggiungere la piena realizzazione dell’essere umano. Sulla base di questo progresso è stato possibile definire il mondo in categorie ben precise con significati desumibili dal reciproco confronto. La nozione di sviluppo, infatti, si accompagna inevitabilmente a quella di sottosviluppo, concetto etnocentrico che non ha un significato oggettivo in se stesso ma solo dal raffronto con le condizioni di paesi che sono al vertice di quel progresso poc’anzi supposto e secondo parametri da essi stessi definiti (Sarpellon, 1969).
Il concetto di sviluppo così come formulato originariamente era strettamente connesso all’idea economica neoliberale di ricchezza materiale. Gli indicatori che segnavano l’appartenenza all’elite sviluppata erano dati da parametri che si riferivano all’accumulazione di beni, quali il PIL, il reddito pro-capite, la bilancia commerciale, ecc. Accanto a quest’idea, pericolose considerazioni erano affiancate. Per prima cosa si era soliti sostenere un parallelo tra progresso materiale e progresso sociale, identificando quindi lo sviluppo economico in termini di civilizzazione spirituale. Sebbene quest’operazione ideologica si incastonava perfettamente nel periodo teso della Guerra Fredda, dove le ragioni del blocco occidentale volevano legittimare la relazione tra democrazia e capitalismo, il risultato che ne derivava era quello di considerare le popolazioni dei paesi sottosviluppati come arretrate materialmente e culturalmente.
Una seconda considerazione correlata alla precedente deriva dalla nozione stessa di progresso come processo storico: se lo sviluppo, infatti, è un percorso lineare compiuto storicamente, un paese sottosviluppato è allora anzitutto quello per i quali i secoli sono passati invano, un paese senza una dinamica storica sua propria (Cantoni, 1967).
Una terza considerazione deriva dalla fusione delle due precedenti, una trasformazione storica costituiva di per sé una fase di sviluppo materiale e culturale solo se avveniva secondo i valori elaborati all’interno del paradigma stesso di sviluppo. Come a dire che i paesi sottosviluppati sono divenuti paesi in via di sviluppo nella misura e nel segno in cui sono andati via via adeguandosi ai valori promossi dall’Occidente (Sarpellon, 1969). Un’ultima considerazione, infine, riguardante il concetto di sviluppo così come sostenuto per buona parte della seconda metà del XX secolo considerava il benessere umano solo in termini economici: l’ideologia economica, dunque, non solo attraverso il mercato si era svincolata dalla dimensione sociale, ma era riuscita addirittura ad imporsi su di essa.
L’insieme di questi limiti è ben presto emerso negli studi di diversi economisti e altri scienziati sociali. Tra questi, le opere di Amartya Sen e Mahbub ul Haq sono state tra le più preziose per rimettere in discussione il concetto di sviluppo come andava formulandosi nella sua eccessiva e totalizzante identificazione economica. Attorno agli anni ’80 i limiti del concetto stavano emergendo non solo sul piano intellettuale, ma anche nei fallimenti delle iniziative promosse dalle agenzie internazionali quali Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale le quali, dal 1979, avevano introdotto i noti aggiustamenti strutturali come formula per incentivare lo sviluppo. Al di là delle questioni più teoriche, questi interventi erano destinati a fallire proprio perché nascevano dallo schema ideologico che vedeva lo sviluppo solo come fattore economico, trascurando tutti quegli elementi di progresso sociale che costituiscono la base essenziale per un reale benessere umano.
In questo contesto, Sen ritiene non valido il legame dell’approccio dominante allo sviluppo che collegava la ricchezza nazionale di un’economia alle possibilità di scelta delle persone che appartengono a quell’economia stessa, introducendo una diversa nozione di sviluppo che “non può davvero essere concepito come processo di incremento di oggetti d’uso inanimati, come l’aumento del PIL pro-capite, lo sviluppo industriale, l’innovazione tecnologica o la modernizzazione sociale. Naturalmente, si tratta di conquiste notevoli, spesso cruciali, ma il loro valore deve essere fatto dipendere dall’effetto che producono sulle possibilità di vita e sulla libertà delle persone. Per esseri umani adulti, responsabili delle proprie scelte, è decisivo, in ultima istanza, domandarsi se abbiano la libertà di fare ciò che hanno motivo di considerare importante. In questo senso lo sviluppo consiste nell’aumento della libertà delle persone.” (Sen, 2003)
L’economista di origine indiana affianca, dunque, al concetto di progresso l’elemento umano, contribuendo a coniare il termine di “sviluppo umano”, il quale riguarda non parametri economici, bensì un’idea basilare di sviluppo: l’avanzamento della ricchezza della vita umana in termini di capacità possibilità e libertà piuttosto che della semplice ricchezza materiale di una nazione.
Accanto al contributo di Sen, l’opera di ul Haq, economista pakistano, si è indirizzata verso la stessa direzione, promuovendo un paradigma di sviluppo umano che agli inizi degli anni ’90 è stato assunto dalla stessa agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) come parametro di valutazione per la qualità della vita di ogni nazione del mondo, sostituendo gli indici di sviluppo tradizionale fondati solo su parametri economici con il nuovo Human Development Index.Al centro del paradigma di ul Haq e, quindi, del nuovo indice, vi è l’idea lo sviluppo umano non può essere valutato solo in riferimento al reddito nazionale, ma deve necessariamente collegarsi alla creazione di un ambiente in cui gli individui possano sviluppare le loro capacità e soddisfare i propri bisogni e interessi. Lo studioso vuole sottolineare quanto sia importante consentire alle persone un’ampia possibilità di scelta, affinché esse possano vivere una vita piena e in accordo con le proprie necessità.
Per poter aumentare le possibilità di scelta degli individui, la crescita economica è senza dubbio uno strumento molto importante, ma non può essere considerato l’unico: è fondamentale, infatti, rendere disponibili tutti quegli elementi che permettono alla gente di vivere la vita che vogliono, ossia la salute, l’istruzione, l’accesso a quelle risorse che consentono di condurre un’esistenza al di sopra di un determinato standard di vita. Se tali possibilità non sono presenti, gran parte delle possibilità che una persona potrebbe avere nel corso della vita resterebbero inaccessibili.
Come egli stesso afferma, “The basic purpose of development is to enlarge people's choices. In principle, these choices can be infinite and can change over time. People often value achievements that do not show up at all, or not immediately, in income or growth figures: greater access to knowledge, better nutrition and health services, more secure livelihoods, security against crime and physical violence, satisfying leisure hours, political and cultural freedoms and sense of participation in community activities. The objective of development is to create an enabling environment for people to enjoy long, healthy and creative lives."1.
Il punto centrale di questi due approcci, tuttavia, non mette in discussione il ruolo giocato dall’economia nel contesto moderno. Secondo Sen, infatti, il problema non risiede tanto nello svincolamento dell’economia dalla dimensione sociale, quanto nella disuguaglianza tra le nazioni e all’interno di ogni nazione nella distribuzione della ricchezza.
Egli non pone in questione, quindi, il mercato come momento di regolazione dei rapporti tra economia e società, bensì un suo funzionamento distorto. Egli propone, dunque, un’ampia riforma delle istituzioni globali del mercato per risolvere la “questione cruciale […] dei guadagni potenziali generati dalla globalizzazione, tra paesi ricchi e paesi poveri, tra differenti gruppi di paesi” (Sen, 2003) .Pur non mettendo in discussione il ruolo del mercato, egli contempla la necessità di introdurre istituzioni non-market per limitare le disuguaglianze, in altre parole propone l’uso di istituzioni politiche e sociali per migliorare l’uso dello stesso meccanismo di mercato.
Alla base, dunque, del concetto di sviluppo umano non vi è una critica radicale del concetto economico di mercato e dell’ideologia neoliberale che ha sostenuto la sua diffusione, solamente una sua correzione attraverso una diversa regolamentazione e l’introduzione di elementi che assicurino una più equa ridistribuzione. In questa prospettiva il discorso sulla solidarietà delle comunità rurali africane potrebbe fungere da elemento istituzionale utile per assicurare una maggiore equità all’interno dei processi nazionali di allocazione delle risorse.
La solidarietà per Sen potrebbe non tanto costituirsi come un’alternativa, bensì come strumento correttivo di un’economia disembedded. Una critica radicale del concetto di sviluppo e della sua base ideologica fondata sulla centralità del mercato sulle relazioni sociali, si va affermando solo nell’ultimo decennio grazie in particolare al contributo di Latouche che, rifacendosi agli studi di Polanyi e di Illich, proprio attraverso lo studio della solidarietà africana arriva a mettere in discussione l’impianto teorico sul quale si fonda il paradigma economico neoliberale, proponendo non una correzione del mercato, ma una rivisitazione stessa dei valori sui quali si fonda la convivenza civile e ponendo nuovamente in primo piano la dimensione sociale. Se, quindi, Sen aveva riportato al centro dello sviluppo l’uomo senza uscire per questo dall’approccio economico, Latouche compie un passaggio ulteriore ponendo il benessere collettivo come cornice nella quale inserire l’economia, e non viceversa. Nel prossimo paragrafo approfondiremo il suo contributo soffermandoci proprio sul ruolo giocato dalla solidarietà nel suo impianto teorico come momento di critica e come risorsa alternativa all’economia neoliberale.


Sviluppo e solidarietà: un’altra economia

“Nel 1996-67 quando sono andato in Laos” spiega Latouche in un’intervista “ho scoperto una società che non era né sottosviluppata ne sviluppata, essa era al di fuori dello sviluppo: le comunità di villaggio, che coltivavano un riso appiccicoso e lo ascoltavano crescere, una volta che il riso era seminato non avevano più nulla da fare e approfittavano così del resto del tempo per dedicarsi alle feste, alla caccia, etc. La realtà della gente era di vivere così, nei loro villaggi fuori dal tempo.
Vidi chiaramente ciò che stava per succedere e sta succedendo oggi stesso: ossia lo sviluppo stava per distruggere questa società, di certo non idilliaca (non esistono infatti società idilliache), questa sua specie di benessere collettivo, di arte di vivere, a volte raffinata, relativamente sobria, ma comunque in equilibrio con l’ambiente naturale.
E’ là che ho avuto una crisi: per cominciare, come economista, ho perso la fede nell’economia, nell’idea di crescita, di sviluppo e ho cominciato il mio cammino”2.
La conversione che allontana l’economista ed antropologo francese dall’ideologia economica dominante e dai suoi corollari principali, quali crescita e sviluppo, lo conduce a formulare una nuova ipotesi riguardo la relazione tra società ed economia, dove la prima ha il sopravvento sulla seconda e i valori di utile e profitto cedono il passo a termini quali benessere collettivo, relazione sociale e decrescita.



1. “Lo scopo fondamentale dello sviluppo è aumentare le possibilità di scelta delle persone. In linea di principio, queste scelte possono essere infinite e possono cambiare nel tempo. Le persone spesso considerano importanti alcuni risultati che non hanno un impatto, o almeno non nell’immediato, in termini di reddito o di tassi di crescita: un più ampio accesso alla conoscenza, migliori servizi sanitari e nutrizione, mezzi di sussistenza più sicuri, sicurezza contro il crimine e la violenza fisica, ore di svago gratificanti, libertà politica e culturale e senso di partecipazione alle attività della comunità. L’obiettivo dello sviluppo è creare un ambiente che consenta alle persone di vivere una vita lunga, in salute e creativa” (http://hdr.undp.org/en/humandev/).
2. Intervista di Serge Latouche rilasciata alla rivista francese Ecorev’



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