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Maestri di antropologia: il "rito di passaggio" di Van Gennep

Questo saggio nasce dall’idea di iniziare a proporre e rivalutare quegli autori delle discipline socio-antropologiche che, nel corso della loro attività, hanno, anche inconsciamente, contribuito alla formazione di modalità di approccio alla conoscenza non riconducibili a forme di integralismo metodologico e culturale, contribuendo, di fatto, all’eliminazione di numerose dicotomie concettuali e favorendo quel dibattito che, in questi ultimi anni, sembra volersi indirizzare verso il superamento delle contraddizioni e delle dispute, sia all’interno delle singole discipline, sia a livello interdisciplinare. Descrizione vs. spiegazione, individuo vs. società, quantitativo vs. qualitativo, individuante vs. generalizzante, empirico vs. teorico sono solo alcune delle categorie oppositive che, ancora oggi, faticano a trovare un terreno di confronto, di empatia e reciproca integrazione. La graduale e sempre maggiore complessità dei fenomeni sociali che si presenta ai nostri occhi, così come, l’ormai evoluto dibattito teorico ed epistemologico intorno alle scienze sociali, consigliano di investire su tali dinamiche di superamento delle contraddizioni, di innovazione culturale.


Il Prof. Arnold Van Gennep (1873-1957), nato in Germania ed emigrato giovanissimo in Francia1, è l’autore con il quale inauguriamo questo tipo di percorso. Etnologo dell’Università di Neuchàtel, a suo tempo noto per gli innumerevoli studi condotti nel campo del folklore e delle tradizioni popolari francesi2, ha, con il passare degli anni dalla sua morte, acquisito una indiscussa fama, soprattutto nell’ambito dell’antropologia culturale. Questa vera e propria operazione di recupero dell’opera dell’etnologo tedesco sembra esser stata attribuita, nel corso degli anni sessanta, alla lungimiranza e all’attenzione dell’accademia britannica di antropologia. In questo contesto, è utile ricordare che l’antropologia culturale, di derivazione statunitense, l’antropologia sociale britannica e l’etnologia in Francia costituiscono dizioni diverse, a seconda delle scuole di pensiero, del medesimo corpus disciplinare. Oggi, in Italia, per evitare confusioni, è uso comune chiamarle discipline demo-etnoantropologiche.

La nozione di “riti di passaggio” e l’omonima monografia costituiscono, indubbiamente, il momento culminante della produzione culturale di Van Gennep, lasciando in eredità, a tutte le scienze sociali, una concettualizzazione, il cui valore euristico, risulta intatto ancora oggi: “a conferire un carattere abituale all’uso del concetto e un carattere quasi obbligato al riferimento all’autore contribuisce forse il fatto che il libro, la cui prima edizione risale al 1909, era divenuto quasi introvabile. All’inizio degli anni sessanta “Les rites de passage” conoscono però una notevole fortuna nell’ambito dell’antropologia sociale britannica, la quale, impegnata nello studio dei rapporti che costituiscono la struttura sociale, non poteva non imbattersi prima o poi nel problema del rituale. Nel 1960 esce la traduzione inglese del testo di Van Gennep a cura di S.T. Kimball.”3

L’oggetto della concettualizzazione dello studioso tedesco è individuabile in quelle forme di ritualità empiricamente ed etnologicamente osservabili nella stragrande maggioranza delle tipologie di vita associata dell’uomo. L’esigenza di intraprendere una organizzazione concettuale, una costruzione teorica, all’interno di una disciplina prevalentemente indirizzata all’utilizzo di metodologie individuanti/descrittive ed empiriche4, nasceva, secondo il pensiero dell’etnologo, dall’esigenza di non lasciarsi sommergere dai materiali e dalle informazioni raccolte durante le ricerche sul campo. Si avvertiva, dunque, l’importanza, anche per la sua disciplina, di cercare di assemblare il dato entro una “cornice teorica” ben definita; questo tipo di approccio, in qualsiasi disciplina, ha una prima importante conseguenza: quella di rendere possibile la costruzione di un linguaggio appropriato e, soprattutto, duraturo nel tempo. Effettivamente, il Professor Van Gennep, nel costruire “Les rites de passage”, sembra mediare, con grande lucidità, il corpus di conoscenze accumulate durante l’indagine empirica e gli studi etnologici con la grande influenza che, in quel periodo, aveva sull’ambiente accademico la primissima teoria sociologica dei francesi Emile Durkheim e Marcel Mauss. Tale mediazione è facilmente riscontrabile nella descrizione della visione che l’etnologo tedesco ha della società, preambolo alle generalizzazioni riguardanti le forme del rituale: “La società umana è secondo Van Gennep, assimilabile a uno spazio delimitato da linee di confine e organizzato all’interno di un certo numero di comparti secondo precise linee di divisione”5; "Ogni società generale comprende numerose società particolari: esse sono tanto più autonome e i loro contorni risultano tanto più precisi, quanto inferiore è il grado di civiltà raggiunto dalla società generale"6. Il riferimento a "De la division du travail social" (1893) di Emile Durkheim sembra essere esplicito. In Durkheim il grado di divisione e "classificazione per comparti" degli individui7 risulta essere proprio l’indicatore dello sviluppo e della complessità di una società.

Aldilà del grado di sviluppo e di complessità di una particolare società, “tutte le società, si legge nelle conclusioni del libro, conoscono due grandi divisioni: una a base sessuale, che comporta la distinzione tra maschi e femmine, l’altra a base magico-religiosa, che si esprime nell’opposizione sacro-profano”8. Anche in questo passo, decisivo per Van Gennep, il riferimento sembra andare a Durkheim: ricordiamo, infatti, che negli studi sulla religione, tra i quali il più noto è costituito da “Les formes élémentaires de la vie religieuse”, Emile Durkheim afferma che “la società si distingue dall’individuo come il sacro dal profano, come autorità spirituale e trascendente a cui l’individuo non può non sottomettersi”9. Nel continuare a motivare la genesi delle forme rituali dell’uomo in quanto animale sociale, Van Gennep afferma che “nella maggior parte delle società esistono raggruppamenti speciali quali società religiose, gruppi totemici, fratrie, caste, classi professionali, o anche famiglie, gruppi parentali, classi d’età ecc. ma le società conoscono anche altri livelli di divisione, come la distinzione tra il mondo che precede la vita, il mondo dei vivi e il mondo dei morti. A tutto ciò occorre aggiungere il verificarsi di circostanze temporanee, come la nascita, il matrimonio, le malattie, i viaggi, la morte, le quali ineriscono direttamente l’individuo e che determinano di volta in volta la sua posizione sociale”10.

La metafora che utilizza Van Gennep in “Les rites de passage” della società come di una grande abitazione dai lunghi corridoi a dalle molteplici stanze, rende l’idea della concezione della vita sociale dell’individuo intesa come un processo inarrestabile scandito da movimenti di separazione e di aggregazione, da riti di passaggio. Qualsiasi aggregazione sociale sviluppa modalità tali da fare in modo che il mutamento dei soggetti, i loro passaggi da uno status a un altro, avvengano senza che siano compromesse le caratteristiche fondamentali di coesione e continuità sociale; ogni società si dota, quindi, di meccanismi, regole e forme rituali che veicolano tali passaggi.



1. Arnold Van Gennep nacque in Germania da famiglia di origini olandesi, ma la madre, rimasta vedova, si risposò con un medico francese nel 1879, e la famiglia si trasferì quindi in Savoia.
2. Van Gennep, 1937.
3. Van Gennep, 1981, pag. VII.
4. La pretesa di riscontrare uniformità, costruire teorie è certamente un compito che appartiene alla sociologia. Il metodo antropologico , per certi versi, risulta essere più affine a quello dello storico.
5. Van Gennep, 1981, pag. XIV.
6. Van Gennep, 1981, pag. 3.
7. Società a solidarietà meccanica (quelle “primitive”), società a solidarietà organica prodotta dalla divisione del lavoro (quelle moderne).
8. Van Gennep, 1981, pag. XVII. 9. Izzo, 1994, pag. 205. 10. Van Gennep, 1981, pag. XVII.



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