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Politiche del lavoro e immigrazione: il decreto flussi

All’interno del più ampio contesto delle politiche per l’immigrazione, il decreto flussi, istituito con la legge n. 39/1990, rappresenta, sicuramente, una delle modalità di intervento tra le più longeve e rilevanti. L’articolo 2, comma 3 della l. n. 39/90, la cosiddetta legge Martelli, recitava così: “con decreti adottati di concerto dai Ministri degli affari esteri, dell'interno, del bilancio e della programmazione economica, del lavoro e della previdenza sociale, sentiti i Ministri di settore eventualmente interessati, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale e la conferenza Stato-regioni, vengono definite entro il 30 ottobre di ogni anno la programmazione dei flussi di ingresso in Italia per ragioni di lavoro degli stranieri extracomunitari e del loro inserimento socio-culturale, nonché le sue modalità, sperimentando l'individuazione di criteri omogenei anche in sede comunitaria. Con gli stessi decreti viene altresì definito il programma degli interventi sociali ed economici atti a favorire l'inserimento socio-culturale degli stranieri, il mantenimento dell'identità culturale ed il diritto allo studio e alla casa”.

Strumento normativo emanato con cadenza periodica ha, nel corso del tempo e delle sue evoluzioni (d. lgs n. 286/98 e succ. modificazioni), assunto un ruolo di assoluta centralità, diventando un vero e proprio punto di snodo istituzionale tra la domanda e l’offerta di stranieri immigrati nel mercato del lavoro italiano. Esso persegue lo scopo di regolarizzare i flussi di lavoratori extracomunitari collocandoli in apposite quote determinate prevalentemente in base all’estrazione geografica, alla tipologia del lavoratore ed alle richieste del mercato del lavoro, sulla base di parametri territoriali e di settore.


L’esigenza, da parte del legislatore, di mettere appunto uno strumento di legge che tentasse di veicolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro straniero sembra, nel tempo, aver svolto una duplice funzione: da un lato, ha consentito di mettere appunto uno strumento di emersione e scoraggiamento alla clandestinità dello straniero, dall’altro, ha cercato di ovviare al fenomeno, tutto italiano, del lavoro nero, che con grande e proficuo interesse andava abbracciando, e in alcuni casi abbraccia ancora, l’irregolarità stessa del soggiorno. Esso nasce, altresì, dalla presa di coscienza della forte richiesta, da parte di settori produttivi importanti e diversificati, di lavoratori stranieri.

Destinatari di tale tipologia di provvedimento sono e restano, dunque, gli stranieri immigrati, tuttavia, è utile ricordare il fatto che l’istanza per il rilascio del nulla osta al permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ad oggi, debba essere effettuata, per il lavoro subordinato, dal datore di lavoro che ne abbia l’esigenza (almeno nella forma):
Ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. n. 286/98 come modificato dalla l. n. 189/02 e dall’art. 30 d.p.r. n. 394/99 e successive modifiche e integrazioni, per procedere all'assunzione dall'estero di un lavoratore straniero è necessario richiedere il nulla osta al lavoro subordinato. La domanda di nulla osta deve essere presentata soltanto quando sarà entrato in vigore il provvedimento che, valutate le esigenze e possibilità lavorative nel Paese, dispone le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato relative all'anno in questione tramite apposito decreto ministeriale, detto comunemente decreto flussi. L’interesse in merito alla esatta data di uscita del decreto flussi è determinato anche dal fatto che il datore di lavoro deve inviare la domanda non appena viene emanato il decreto flussi, tenuto conto che il criterio di selezione, in presenza dei requisiti richiesti, sarà quello della priorità di arrivo della domanda stessa, e i posti disponibili sono normalmente limitati.

A tal proposito, è utile ricordare che il datore di lavoro, formulando l’istanza, può effettuare una richiesta di tipo nominativo, indicando gli estremi del lavoratore da assumere, oppure, una richiesta di tipo generico e/o numerico. Tuttavia l’ipotesi virtuale, per lungo tempo prefigurata, secondo cui manodopera e professionalità arriverebbero in Italia a seguito di richiesta scritta, continua a sembrare difficilmente prefigurabile anche per il futuro.

La costituzione di un rapporto di lavoro, secondo la specificità del caso italiano, non è ipotizzabile se non per mezzo di un incontro reale, fisico tra due o più persone. L’immigrazione programmata a misura delle esigenze specifiche di settori produttivi ha avuto, nel corso della storia dell’immigrazione italiana, un incidenza del tutto marginale.


La reale dinamica è sempre stata quella di un, seppur graduale, assorbimento delle sacche di immigrazione irregolare o prive di regolare occupazione già presenti, da più o meno tempo, sul territorio dello Stato. Per molti anni, a detta di molti giuristi, sanatorie e decreti flussi hanno svolto questa specifica funzione.
Da un lato, dunque, l’affermazione della cultura e del principio della legalità, soprattutto se rapportato alla peculiarità del fenomeno immigrazione, in Italia, durante tutto l’arco degli anni novanta, dall’altro, l’esigenza di una programmazione che investe a pieno titolo le dinamiche delle politiche del lavoro, sembrano costituire i segmenti principali intorno ai quali ruota il significato giuridico e politico di questo particolare strumento legislativo.
La regolarità del soggiorno e, quindi, il possesso di un regolare contratto di lavoro costituiscono, per il lavoratore straniero, l’opportunità di accedere, almeno in parte, a quel complesso di diritti fondamentali che scaturiscono dall’appartenenza ad una comunità giuridica, per lo Stato italiano, il meccanismo attraverso il quale generare un concreto percorso di inserimento sociale per gli immigrati, con sensibili variazioni sia sui dati dell’occupazione e dell’iniziativa imprenditoriale sia sulle percentuali relative al prelievo fiscale (in Italia gli stranieri regolarmente soggiornanti sono più di tre milioni e producono circa il 7% del P.I.L., dati Caritas/Migrantes 2007).


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