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Antigone alla guerra: i consiglieri dello Judenrat

"Antigone dall’anima di luce,
Antigone dagli occhi di viola..."
Alcione, D’Annunzio

Sul sito web del “Corriere della sera”, il 7 settembre, è comparso un articolo dal titolo “Yahoo! contribuisce all’arresto di un giornalista” nel quale si dava notizia della denuncia di Reporters sans frontières nei confronti del popolare portale di Internet di aver fornito alle autorità cinesi di Pechino le informazioni che avevano portato, lo scorso anno, all’arresto e alla condanna a dieci anni di prigione del giornalista cinese Shi Tao, a seguito dell’accusa generica di aver divulgato “segreti di Stato”.
Nella primavera del 2004 infatti, il giornalista aveva diffuso attraverso Yahoo! (Honk Kong) un memorandum in cui affermava che era stato vietato a tutti i professionisti dell’informazione di commemorare il quindicesimo anniversario del massacro di piazza Tienanmen (giugno 1989). Secondo Reporters sans frontières, le autorità cinesi sarebbero riuscite a risalire all’identità dell’autore del memorandum solamente grazie all’aiuto di Yahoo! Honk Kong che, obbediente alla legge, avrebbe fornito le indicazioni utili per identificare l’I.P. del giornalista. Mary Osako, la portavoce della sede locale del portale, ha affermato, in risposta all’accusa dell’associazione umanitaria francese, che “come tutti, dobbiamo rispettare le leggi locali”
La replica di Reporters, tuttavia, pone i dirigenti del portale di fronte a più profonde considerazioni morali:

“Yahoo! obviously complied with requests from the Chinese authorities it furnish information regarding an IP address that linked Shi Tao to materials posted online, and the company will yet again simply state that they just conform to the laws of the countries in which they operate. But does the fact that this corporation operates under Chinese law free it from all ethical considerations? How far will it go to please Beijing?” 1

Nella critica dell’associazione umanitaria emerge così un punto fondamentale: è sufficiente operare nel rispetto della legge per essere sganciato da ogni considerazione etica? O peggio: è sufficiente conformarsi alla legge per potersi considerare una persona morale che compie azioni legittimamente morali? Se per Reporters sans frontieres le risposte a questi quesiti sono negative allora significa che la moralità consta di qualcosa di più che il diritto e la semplice obbedienza ad esso, per affermarsi anche come responsabilità individuale che, nella scelta di come agire, riflette sui possibili corsi di azione e sulle loro probabili conseguenze verso l’altro.
Entro la visione dell’associazione di Reporters è evidente che l’istanza ultima della morale è un anelito della coscienza individuale, contrapponendosi così a qualsiasi considerazione che rivesta di autorità morale un qualsivoglia codice etico o di diritto: la dialettica che emerge come centrale nella definizione di morale è l’opposizione tra individuo e le sue responsabilità da una parte e, dall’altra, la società e i suoi codici etici già dati che richiedono obbedienza e promettono sollievo da ogni incertezza, purché si abdichi ad un proprio giudizio morale individuale.
La domanda rivolta ai dirigenti di Yahoo! solleva un punto fondamentale della riflessione attorno alla morale, vediamo quale. Yahoo! è un’organizzazione che si prefigge come principale e unico obiettivo l’utile economico, pena la sopravvivenza stessa dell’azienda. In quanto organizzazione con propri scopi (l’utile economico), essa non può accettare una responsabilità di tipo morale2, quando questa non assicura alcun profitto. Molto spesso, d’altro canto, il guadagno è stato garantito escludendo qualsiasi considerazione di tipo morale. L’individuo, come i dirigenti di Yahoo!, è solo un membro dell’organizzazione ed in essa “gioca” uno dei tanti ruoli che riveste nella sua vita. Ne consegue che il ruolo giocato impone obblighi e doveri, scelte razionali e ragionevoli, di buon senso, che spesso piegano le azioni degli individui, sia per interesse personale sia per l’assuefazione all’ideologia capitalistica, ad una logica economica del calcolo dei costi e dei vantaggi valida per l’organizzazione, che gli esclude però qualsiasi considerazione di tipo morale (ossia sulle conseguenze delle proprie azioni nei confronti degli altri). Il punto centrale allora è proprio questo: come affermava Jaspers nel carteggio con H, Arendt “io non sono tedesco”, è altrettanto possibile rivendicare, come individuo all’interno di un’organizzazione, il diritto ad una propria coscienza morale che adotti principi morali contrapposti, o comunque concorrenti, ai principi economici dominanti senza doversi necessariamente piegare alle sue regole e alle sue norme?
Il punto qui sollevato serve a introdurre un problema di carattere più generale che può essere riformulato in questi termini: conformarsi ad un codice etico o giuridico esime l’individuo da considerazioni di altra natura sul suo agire? Conformarsi ad un’autorità che richiede obbedienza quando in gioco c’è l’interesse personale può essere sufficiente per mettere al sicuro l’istanza morale e riporre la nostra coscienza al riparo da ansie e incertezze implicite nella scelta di cosa è giusto fare? oppure agire moralmente significa qualcosa d’altro?
La critica di Reporters, consapevolmente o meno, si rifà a queste riflessioni che rientrano in un lungo discorso mai interrotto, il quale ha accompagnato l’individuo durante tutta la sua storia ed ha avuto il suo inizio in una famosa opera teatrale greca: l’Antigone di Sofocle.

Antigone alla tomba del fratello (Louvre)
La tragedia sofoclea narra del dramma della figlia di Edipo, Antigone, che, di fronte al divieto, imposto dall’editto dello zio tiranno Creonte, di seppellire il proprio fratello morto in battaglia combattendo contro la loro città, decide di infrangere la legge cittadina e sacrificare, così, la propria vita andando incontro alla morte prevista per coloro che violavano l’editto, pur di non lasciare senza memoria e onore il corpo esanime del suo caro.
Se ad una prima lettura l’analogia tra le due vicende può sembrare forzata o inopportuna, in realtà vi si possono scorgere, sovrapponendo le due storie, profonde similitudini, seppure sfumate in toni e vesti differenti. In entrambi i casi l’individuo viene posto innanzi ad una scelta morale che si gioca tra la sottomissione ad una legge, ad un codice etico e giuridico già dato, e l’assunzione di un impulso interno (che Bauman definirà il centro della moralità) a farsi carico dell’altro, sfidando ogni regola sociale condivisa dai più.
L’esito, però, delle due storie è profondamente diverso: Antigone preferisce la morte ed il tormento morale al silenzio della coscienza. Così l’eroina spiega a sua sorella Ismene riferendosi al corpo del fratello morto: ” …io lo seppellirò, e per me sarà bello fare questo, e morire.”3 I dirigenti di Yahoo!, al contrario e molto più prosaicamente (sarà un segno dei tempi!), sacrificano all’altare dell’interesse personale e socio-organizzativo la libertà del giornalista Shi, mentre ogni considerazione etica resta nel fondo senza disturbare.
La sacralità delle parole di Antigone e l’eroicità del suo gesto non può certo bastare per considerare la tragedia greca inattuale. Anche nel nostro secolo, come in ogni epoca storica, si hanno avuto casi simili, nei quali individui hanno preferito la morte al sacrificio della coscienza. Il 23 luglio 1942 Adam Czerniakòw, presidente dello Judenrat4 di Varsavia, si suicida lasciando presso l’amministrazione del Consiglio ebraico del ghetto questa ultima nota:

”Worthoff e compagni sono stati da me ed esigevano che per domani sia pronto un trasporto di bambini. Con ciò il mio calice amaro è colmo fino all’orlo poiché non posso consegnare alla morte dei bimbi inermi. Ho deciso di scomparire. Non si consideri ciò un atto di viltà o una fuga. Io sono impotente, il cuore mi si spezza per il cordoglio e la pietà, non posso sopportare più oltre. Il mio gesto mostrerà a tutti la verità e, forse, porterà sulla giusta via da intraprendere” 5

Come Antigone, anche Czerniakòw è posto di fronte ad una domanda lacerante: che cosa si deve fare? Sacrificare se stessi e non rendersi partecipi di sofferenze altrui o far tacere la voce della propria coscienza per far parlare l’interesse personale legittimato dall’obbedienza ad una legge. La scelta ad entrambi appare scontata, un atto dovuto mai posto in questione: “mi ordinano di uccidere con le mie mani i figli del mio popolo. Non mi resta che morire” scrive su un biglietto, lasciato alla moglie, il presidente dello Judenrat; “Tu scegliesti di vivere, io di morire” dice la fiera Antigone alla sorella Ismene.
Molti consiglieri ebraici6 e persone che in quel tempo si trovarono ad affrontare situazioni così dolorose e difficili non agirono però nello stesso modo di Czerniakòw; molti decisero diversamente di eseguire i numerosi comandi impartiti dai nazisti, ordini che di volta in volta diventavano sempre più gravosi per la coscienza dell’individuo posto di fronte al sacrificio di sé o al sacrificio di altri. La maggior parte dei consiglieri e dei membri della polizia ebraica del ghetto decise dunque di collaborare con l’operazione di sterminio nazista. Una lunga discussione si è svolta attorno alla questione della condotta degli Judenrat: H. Arendt7 sostiene, ad esempio, che la presenza di collaboratori ebrei nelle diverse fasi che condussero allo sterminio del loro popolo ha portato ad un numero decisamente maggiore di vittime. Secondo altri studiosi, tra i quali Isaiah Turuk, la collaborazione o la non collaborazione ebraica alle deportazioni non ebbe nessuna sostanziale influenza sull’esito finale dello sterminio. A sostegno di questa tesi, Turuk porta a dimostrazione i numerosi casi in cui la disobbedienza dei funzionari ebraici non condusse al fallimento delle operazioni quanto, piuttosto, alla sostituzione con nuovi personaggi più docili o con l’azione diretta delle SS.8


1. www.rsf.org/print.php3?id_article=14884.
2. Un esempio sono gli scarichi sostanze industriali nocive in natura, specie nelle acque dei fiumi, dei laghi e dei mari, che hanno condotto ad un elevato inquinamento delle falde acquifere ponendo a rischio sia la vita di altri esseri umani sia la sopravvivenza dell’ecosistema stesso.
3. Sofocle, Antigone, Milano, Mondadori, 1991 pag. 263
4. Lo Judenrat, ossia Consiglio ebraico, costituisce l’organo di governo ebraico presente nei ghetti istituiti dal regime nazista in Europa dell’Est. I principali compiti ad esso affidati erano di ordine logistico (alloggiare la popolazione, distribuire il cibo e occuparsi dell’igiene) e di esecuzione dei comandi tedeschi.
5. A. Czerniakòw, Diario 1939 - 1942, Roma, Città Nuova, 1989.
6. Diversi sono stati i consiglieri ebraici che preferirono il suicidio all’esecuzione di ordini tedeschi. Tra questi si può ricordare l’esempio di Berman (presidente dello Judenrat di Rowne) il quale fece sapere alle autorità naziste che per il “trasferimento” poteva indicare solamente se stesso e la sua famiglia.
7. H. Arendt, La banalità del male, Milano, Feltrinelli, 1992.
8. I. Turuk, Judenrat: The Jewish Councils in Eastern Europe under German Occupation, Londra, Macmillan, 1972
9. C. Perechodnik, Sono un assassino? Autodifesa di un poliziotto ebreo, Milano, Feltrinelli, 1996.
10. C. Perechodnik, ib.



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