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Lo studio della morale in sociologia

“Il sociologo si occuperà di cose che altri considerano
troppo sacre o troppo volgari per un’indagine oggettiva”
Invito alla sociologia, P. Berger

L’interesse della sociologia nei confronti della morale è presente fin dalla nascita della disciplina stessa. Diversi autori, quali Comte, Marx, Spencer, Durkheim, affrontarono lo studio della moralità, seppur declinando l’indagine secondo prospettive teoriche e metodologiche differenti, spinti dalla necessità prima di analizzare quali rapporti legavano la morale, nel suo manifestarsi empirico, e la società. Tuttavia, la gestazione della sociologia della morale non fu meno complessa di quella della disciplina sociologica nel suo complesso.

Per molto tempo l’ambiente filosofico, nel tentativo di rivendicare per sé solo la possibilità di riflettere attorno alla morale1, ha infatti commesso l’errore di identificare “sbrigativamente la sociologia della morale con la durkheimiana scienza dei costumi”2, riducendo così un campo di indagine ad un corrente di pensiero che, tra le prime, ha sfidato l’analisi empirica della morale. Questa errata interpretazione lamentava nel pensiero durkheimiano una identificazione esclusiva fra morale e sociale, che impoveriva ogni esperienza morale, smarrendone la sua intrinseca originalità. Come spiegava Gurvitch. “i filosofi-moralisti sono ancora oggi inclini a credere che la vita morale sia appannaggio esclusivo della coscienza individuale, della persona, dell’interiorità, del foro interiore”.3
La critica dei filosofi, inoltre, lamentava nella sociologia la pretesa di ridurre l’etica in quanto studio attorno ai valori morali ad una semplice scienza dei costumi. Questo riduzionismo porterebbe, su un piano teorico-metodologico, alla trasformazione dell’etica in uno studio puramente descrittivo delle dinamiche sociali fondamento delle regole morali; su un piano normativo, invece, al riconoscimento della tesi per cui il principio ultimo della moralità sarebbe la situazione della società, con un conseguente appiattimento del “valore” sul “fatto”.

Ad oggi, di fronte allo sviluppo della sociologia, queste obiezioni, che si fondano sulla “preistoria” della disciplina nell’arbitraria identificazione, come detto, dell’intero settore di studio con una sua versione storica, la scuola durkheimiana (che pur ha giocato un ruolo fondamentale nella sua genesi), non possono più essere sostenute per negare alla sociologia un possibile spazio di indagine nel campo della morale. Infatti, come adesso si vedrà, essa si distingue da uno studio filosofico dell’etica sia per intenzioni teoriche che per approccio metodologico.
Innanzitutto, nelle prospettive sociologiche non si intende affatto spogliare l’esperienza morale individuale della sua dimensione ideale4, ma in quanto scienza positiva, che intende indagare i fenomeni morali così come si manifestano, rigetta qualsiasi competenza riguardo giudizi di validità attorno ai valori che fondano l’agire morale.
In secondo luogo, da una concezione puramente “sociologista” della morale in sociologia ci si è progressivamente allontanati giungendo così,da una parte, al superamento di uno schema esplicativo rigidamente causale tra moralità e socialità delle prime prospettive sociologiche positiviste che si risolveva nel concepire l’origine sociale come la giustificazione della morale, e dall’altra, al riconoscimento che la ricerca di uniformità nella condotta etica non implica un impoverimento della vita morale.5

Al centro di questo studio il denominatore comune è la “convinzione che le idee morali non possiedono uno statuto privilegiato, ma sono soggette allo stesso tipo di determinazione socio-culturale”6 che riguarda le altre sfere della produzione culturale: convinzione che, evidentemente, si basa sul carattere relativo della morale nelle sue manifestazioni storiche.
Da questo fondamento conseguono le peculiarità di intenzioni analitiche e di metodologia dell’approccio sociologico: da una parte, oggetto di analisi sono i rapporti che intercorrono tra contesti sociali ed esperienza morale; dall’altra, la conditio sine qua non metodologica della sociologia morale è, dato il manifestarsi storico-sociale della morale, lo studio empirico integrato da una dimensione speculativa di queste relazioni.
La relazione fra individuo-morale-società costituisce, quindi, un nodo teorico (nel senso di ciò che deve essere spiegato) e metodologico (nel senso di cosa guardare al fine di spiegare l’oggetto) fondamentale della disciplina. Questo carattere distintivo, nel quale si compenetrano i due caratteri della sociologia della morale, non è, ancora una volta, da intendersi durkheimianamente (come accadeva alla filosofia morale), ossia che tutte le teorie sociologiche intendono la morale come prodotto della società, piuttosto è, nei fatti, l’intenzione, l’origine da cui deve prendere inizio l’analisi della sociologia della morale.
Quel che si vuole dire è che il riconoscimento della necessità di una messa in prospettiva sociologica della relazione fra l’uomo e il suo contesto sociale per una comprensione più completa dell’esperienza morale si fonda sull’idea che la società condiziona e può determinare l’esperienza morale dell’uomo, e non che ne è l’origine. La considerazione che la morale ha come fonte essenziale “l’essere con gli altri” – inteso istituzionalmente come spazio sociale strutturato e ordinato – è alla base dell’elaborazione di morali sociologiche7, ma non è necessariamente la conclusione di un approccio sociologico alla morale.

Il cuore della sociologia è quindi il riconoscimento che la morale non è proprietà dell’individuo avulso da qualsiasi condizionamento esterno; che lo studio della morale non può prescindere da un’analisi della società ossia quel insieme di relazioni, gruppi e istituzioni che la fondano e che costituiscono lo sfondo “socio-culturale” in cui ogni individuo cresce e forma la propria concezione morale; che la morale è inevitabilmente compresa nella relazione individuo-società e, dunque, che la morale non si distingue da tutti gli altri fatti umani e come questi presenta anch’essa un aspetto sociale.
Come dice Aron:

“la morale, il linguaggio, la religione comportano una dimensione
sociale. Tutti i fatti umani presentano un aspetto sociale”8


Riconoscere questo non significa derivare che:

“tali fatti umani siano essenzialmente sociali, o ancora che il vero
significato del fenomeno considerato risulti dalla sua dimensione
sociale”.9




1. G. Gurvitch, Trattato di sociologia, Milano, Il Saggiatore, 1967.
2. L. Battaglia, Appunti per una sociologia della morale, Milano, Marzorati, 1981.
3. G. Gurvitch, op. cit. vol. 2.
4. Come fa notare L. Battaglia in Appunti per una sociologia della morale, già lo stesso Durkheim rivendicava l’ideale come oggetto di studio della sociologia della morale.
5. L. Battaglia, op. cit.
6. L. Battaglia, op. cit.
7. Le morali sociologiche sono, come spiega L. Battaglia in Appunti per una sociologia della morale, quelle teorie che individuano l’origine della morale nella società o nei rapporti sociali e mirano a dedurre, da una visione pretesa scientifica del sociale, una definizione del valore morale.
8. R. Aron, Le tappe del pensiero sociologico, Milano, Mondatori, 1989.
9. R. Aron, ib.
10. L. Battaglia, op. cit.



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