In un'epoca in cui espressioni come "democrazia", "pari opportunità" o "cittadinanza attiva" si presentano teoricamente come condizioni reali, pur essendo, di fatto, vigenti soltanto sulla carta - e dunque non vissuti realmente dalla maggioranza dei cittadini - l'arte rimane uno dei pochi spazi potenzialmente liberi e fruibili da tutti, indipendentemente da fattori economici, sociali e culturali che troppo spesso pregiudicano l'effettiva partecipazione dei cittadini alla vita della comunità cui appartengono. Il teatro sociale si propone, pertanto, come strumento di intervento nella società da parte di coloro che generalmente sono esclusi da qualunque tipo di dialogo. Un teatro realmente democratico, insomma, aperto a qualsiasi tematica, comprese quelle generalmente estranee alle esperienze teatrali convenzionali.

Il Teatro dell'Oppresso occupa un posto importante nel vasto panorama del teatro sociale, trattandosi di una metodologia che include diverse tecniche e che da circa quarant'anni continua a operare in tutto il mondo nei più svariati contesti. L'obiettivo principale è creare le condizioni per uno sviluppo libero del pensiero e del confronto a partire da tematiche di interesse collettivo. Nulla di più semplice, apparentemente. In realtà, la grande novità proposta da Augusto Boal (fondatore del Teatro dell'Oppresso) consiste nell'idea che non vale la pena dispensare consigli dal palco, ma, piuttosto, presentare situazioni problematiche, alle quali ciascuno è chiamato a dare una soluzione, o meglio, la propria soluzione, come avviene in maniera esemplare nel Teatro Forum.

Probabilmente la più nota tra le tecniche del Teatro dell'Oppresso, il Teatro Forum porta ai massimi livelli la partecipazione del pubblico, tradizionalmente passivo, all'evento teatrale. In uno spettacolo di Teatro Forum, infatti, il gruppo propone una situazione conflittuale in cui ci sia una sufficientemente chiara contrapposizione tra oppresso e oppressore. L'idea è che tutti, più o meno consapevolmente, viviamo situazioni di oppressione, di natura sociale o personale, che normalmente non trovano spazio per emergere ed essere affrontate. Il primo passo nella creazione di uno spettacolo di Teatro Forum consiste quindi in una riflessione tanto personale quanto collettiva su tematiche che possano interessare la comunità cui il gruppo appartiene, per esempio, la gente del quartiere. In un secondo momento, essendo il Teatro Forum uno strumento di auto-rappresentazione, può essere utilizzato come mezzo per costruire progetti di una comunità che decide di assumere un ruolo attivo nel proprio territorio, o, in altri termini, di fare politica in maniera cosciente e realmente democratica, poiché pienamente partecipativa.

Ma come si svolge, in concreto, uno spettacolo di Teatro Forum? Sul palco viene presentato il problema, ma non la soluzione, in un'ottica che vede l'opera teatrale come un antimodello (concetto espresso da Boal in Jogos para atores e não atores), cioè come un'azione priva di un finale predeterminato, lasciando aperta ogni possibilità. Al termine della rappresentazione, infatti, viene chiesto al pubblico di dare la propria opinione su ciò che ha appena visto e, soprattutto, di proporre soluzioni per la situazione dell'oppresso. Lo scambio, tuttavia, solo in un primo momento avviene verbalmente, poiché subito dopo viene chiesto a chi prende la parola di sperimentare la propria soluzione sul palco, sostituendosi all'attore/oppresso in una determinata scena che si ritiene centrale.
È così che avviene la radicale trasformazione dello spettatore in spettatore, capace di osservare, ma, allo stesso tempo, di agire. La maggiore o minore validità delle proposte degli spettatori dipende, in linea di massima, dalle reazioni dell'attore/oppressore: egli, infatti, si opporrà in ogni modo alle strategie messe in atto dallo spettatore/oppresso, proprio come farebbe un oppressore nella vita reale. Obiettivo del forum, in ogni caso, non è trovare la soluzione migliore, ma sperimentare una serie di proposte per stimolare la riflessione personale e comunitaria, affinché ognuno, nella propria vita, possa, eventualmente, mettere in pratica le soluzioni precedentemente vissute sul palco.

Un aspetto importante in questo tipo di esperienza è la possibilità di formulare ipotesi, senza paura di eventuali giudizi negativi. Ipotesi non solo sul modo in cui risolvere un problema, ma, in primo luogo, sulla stessa interpretazione dei fatti osservati. Un esempio potrà, forse, chiarire quest'idea. In seguito a una rappresentazione in cui l'oppressa era un'adolescente le cui aspirazioni (uscire con le amiche, trovare un lavoretto...) erano continuamente soffocate dal radicato maschilismo del padre e del fratello maggiore, il curinga (chiamato anche jolly), ovvero l'animatore della discussione, chiese agli spettatori chi era, secondo loro, il personaggio oppresso. Mentre quasi tutti concordavano che fosse la ragazza, un'anziana signora capoverdiana intervenne affermando che, al contrario, l'oppresso era il padre, costretto a fronteggiare le pretese di una figlia impertinente. Quest'ultima, secondo la signora, non doveva ribellarsi, poiché il padre, in ogni caso, sapeva qual era il bene della figlia e, di conseguenza, le sue decisioni erano sempre giuste. Ovviamente quest'interpretazione della vicenda era sconcertante per la maggior parte del pubblico, ma nessuno poteva negare alla signora le proprie ragioni: quella era la sua visione del mondo, sicuramente contestabile e incomprensibile per molti di noi, ma, in quanto opinione, se non poteva essere condivisa, andava comunque rispettata.

È questo che intendo quando parlo di teatro delle ipotesi: ipotesi, e non tesi, sulla realtà, poiché formulare un'ipotesi è l'unico modo per verificare la validità di un'idea, mentre la tesi blocca la ricerca e il dialogo, chiudendoci nei nostri pregiudizi. Non è forse questo il ruolo dell'arte (non solo del teatro) oggigiorno? Boal, nel suo libro The Aesthetics of the Oppressed, afferma che l'artista è colui che è capace di scoprire l'unicità laddove la mente umana è abituata a ragionare per categorie. L'obiettivo finale, infatti, è l'espansione della percezione che abbiamo del mondo, movimento contrario rispetto al livellamento culturale e all'uniformazione del pensiero operati dalla cultura globale imperante. Anche la poesia è un'ipotesi sul mondo: trasformazione del mondo in linguaggio, in continuo divenire - la conoscenza non è mai definitiva. Come osserva Armando Gnisci, infatti:

la letteratura produce una comunicazione generale che invita tutti i mondi a interrogarsi e a darsi da pensare, proprio quando il cosiddetto "pensiero unico" invita a consumare ad oltranza le stesse cose e a "navigare" nelle realtà virtuali, ma a non pensare e a non desiderare un mondo diverso [...].

Tuttavia, il vantaggio del teatro rispetto ad altre arti, soprattutto la letteratura, è, ovviamente, la sua capacità di raggiungere facilmente qualsiasi tipo di pubblico, compreso quello normalmente estraneo a qualsiasi tipo di manifestazione culturale. Il teatro sociale non rinuncia alla cultura e all'arte a favore della società, ma, piuttosto, cerca di avvicinare le due dimensioni per dare origine a una nuova e più ampia concezione del fenomeno artistico.

La bellezza di un tipo di esperienza come quella del Teatro Forum è l'apertura alle differenti prospettive sulla realtà e alle esperienze che ogni essere umano porta con sé. Se c'è una cosa difficile ma necessaria da accettare, è che è possibile stare nel mondo in modi differenti da quelli che siamo abituati a concepire, e che uno stesso problema può essere visto e risolto a partire da ottiche completamente diverse dalla nostra. Vedere il teatro e l'arte in generale come autentiche scuole di cittadinanza e di condivisione, in cui ci si educa vicendevolmente, costituisce un'importante conquista del mondo contemporaneo, che è necessario diffondere, attraverso sempre nuovi spazi di (in)formazione.


Note bibliografiche:
Augusto Boal, Jogos para atores e não atores, Rio de Janeiro, Civilização Brasileira, 1999.
Augusto Boal, The Aesthetics of the Oppressed, London, Routledge, 2006.
Armando Gnisci, Una storia diversa, Roma, Meltemi Editore, 2001.


Sonia Miceli Nata a Reggio Calabria, ha frequentato il liceo classico e si è dedicata a varie attività di volontariato nell'ambito dell'animazione socio-culturale. Dopo la laurea in Lingue a Cosenza, si è iscritta alla Laurea Specialistica in Letterature Comparate a Lisbona.
In archivio è presente la sua tesi, L'(est)etica della liberazione nel Teatro dell'Oppresso