Libro veloce e agile, a tratti illuminante sui processi che legano il mondo del giornalismo, della politica e dell'economia, Sulla televisione di Pierre Bourdieu è uno scritto breve che vale la pena leggere per comprendere sia il modo di procedere nell'analisi del sociologo francese, sia i meccanismi che governano l'informazione giornalistica, e televisiva in particolare.

Il testo è la trascrizione riveduta e corretta della registrazione integrale di due trasmissioni realizzate nel 1996 nell'ambito di una serie di lezioni del Collège de France e trasmesse dal canale Paris Première. Fin dalla sua pubblicazione il libro ha suscitato molte polemiche e reazioni indispettite, soprattutto dal mondo giornalistico: Bourdieu nelle pagine spiega ciò con due motivazioni, una dal sapore ironico (il libro ha alzato proteste perché estrapola il discorso dal contesto televisivo per il quale era stato pensato e presentato, venendo così a mancare quell'ampio bagaglio significante che è la comunicazione non verbale) e l'altra più concettuale.

Secondo il sociologo, infatti, tutte le incomprensioni sul testo sarebbero nate dalla premessa non colta del suo lavoro: al centro dell'analisi e della critica non vi è infatti un polemico attacco ai giornalisti e al loro lavoro individuale, ma lo studio dei processi di funzionamento dell'informazione televisiva come struttura, come campo (concetto che non identifica il dominio di un sapere specialistico, bensì è mutuato dalla fisica e intende uno spazio con proprie logiche e modalità di funzionamento, con processi regolatori e di retroazione sui soggetti sui quali opera e nel quale questi sono immersi) e delle relazioni-connessioni che esso instaura con il campo economico e politico della società.

Secondo Bourdieu studiare l'informazione televisiva è fondamentale in quanto essa, come ogni conoscenza, produce una rappresentazione del mondo e si traduce, come ogni discorso, in condotte e comportamenti. Ancora più importante è allora capire le logiche e i processi che determinano la scelta delle notizie, le modalità con le quali sono presentate e, in definitiva, l'immagine della realtà che l'informazione costruisce. Ed è proprio questo il compito che Bourdieu affronta nel suo libro.

La deriva sensazionalista delle notizie e una certa informazione compiacente con i poteri politici o le forze economiche, nella prospettiva del sociologo francese, sarebbero da attribuirsi in prima analisi ai processi che legano il campo economico con il campo giornalistico. E se in apparenza l'influenza più forte, ma anche più suggestiva e semplice, può sembrare la proprietà degli editori che impongono una linea alla redazione, secondo Bourdieu i processi decisivi sono altri e più sottili: innanzitutto, il bisogno di finanziamento e la rincorsa per la pubblicità spingono i giornali e l'informazione ad una serrata competizione per assicurare il maggior numero di lettori o di percentuali auditel. Questa lotta porta a conseguenze deleteri sia per l'informazione sia per il suo contributo alla vita democratica.

Nel primo caso, invece che essere fonte di diversificazione delle notizie, la competizione per il pubblico si traduce in una uniformità di informazione da parte delle diverse redazioni giornalistiche: la ricerca dello scoop, infatti, significa cercare il nuovo ma controllare anche i giornali concorrenti e non trovarsi impreparati alle loro notizie. L'uniformità, insieme alla notizia sensazionalista, ha conseguenze poi negative sulla vita politica di una democrazia in quanto impone il criterio dell'ascolto, dell'auditel nella selezione delle informazioni e non la rilevanza politica e critica per la vita della società.

La connessione tra campo politico e campo giornalistico è affrontato da Bourdieu con un'analisi pungente e carica di spunti interessanti: le televisioni come nuovi forum, come agora delle democrazie sono appuntamenti necessari per la visibilità dei candidati o dei politici in cerca di voti e consensi. Questa necessità spinge la relazione tra giornalista e politico ad assumere valenze spesso differenti dall'idea critica con la quale il giornalismo come quarto potere si è spesso ideologicamente ammantato. I signori dei salotti e dei talk show sono così tenuti spesso in una considerazione intellettuale maggiore rispetto al loro reale valore: in altre parole, Bourdieu denuncia che le relazioni tra i due campi e le rispettive necessità (ricerca di finanziatori e auditel, da una parte; ricerca del consenso e visibilità, dall'altra) portano spesso a dei connubi che svuotano i dibattiti politici televisivi di contenuti utili alla democrazia, intesa come dialogo costruttivo nel quale ogni telespettatore può formarsi criticamente una posizione.

Bourdieu nel libro affronta anche le modalità attraverso le quali si strutturano i discorsi politici o le discussioni nei format della tv: analizza una discussione all'interno di un talk show ponendo in rilievo i meccanismi usati dal conduttore-giornalista per dare importanza ed enfatizzare le tesi del suo “protetto” e screditare, invece, le opinioni avversarie come infondate o non attendibili.

Il breve scritto intende dunque svelare quali conseguenze le relazioni tra i campi dell'informazione, della politica e dell'economia producono sulla vita democratica sempre più regolata dai mezzi di informazione e, discutendo della fallacia di molti discorsi che legittimano l'auditel come il vero criterio democratico per selezionare e trasmettere le notizie e i contenuti in quanto fondato sul semplice riconoscimento della maggioranza, Bourdieu definisce al contrario il ruolo democratico dei media nell'essere strumento di educazione critica.

In altre parole, il testo di Bourdieu riconosce l'importanza della televisione nella vita politica ma incita gli attori dell'informazione ad una maggiore consapevolezza per liberarsi dai vincoli strutturali e imporsi come reali agenti democratici. Ed è questo il punto più interessante e mal interpretato del libro: al di là della sua buonafede o malafede, il giornalista incorre in processi che lo influenzano ma che può al tempo stesso influenzare verso una direzione più libera dalle relazioni di potere dei campi. E questo, in ultimo, è l'invito fastidioso di Bourdieu.

di Manuel Antonini