Circa un anno fa, il 16 luglio 2006, si spegneva un sociologo, Roger Silverstone, tra i più influenti e profondi nello studio dei mezzi di comunicazione. Lungo la sua carriera accademica spesa negli ultimi anni alla London School of Economics lo studioso inglese ha applicato le sue energie e il suo impegno nell'analisi dell'impatto cognitivo e morale dei media: particolarmente noto il suo concetto di realtà mediata per riferirsi all'esperienza quotidiana vissuta e rappresentata attraverso gli schermi dei nostri televisori o computer.

Quando Silverstone afferma che la maggior parte del mondo che conosciamo, lo conosciamo attraverso i media (“the world beyond our immediate experience reaches us almost entirely on screens” Listen to the Voices, LSE Magazine Summer 2006) significa sia che i media sono sempre più parte della nostra quotidianità e delle esperienze vissute, sia, soprattutto, che la nostra comprensione (learning) del mondo circostante e degli altri passa oggi attraverso le immagini e i suoni trasmessi dalle lenti dei teleschermi e dei monitor.

In Television and Everyday Life (1994) la televisione entra nella vita di ogni giorno come porto sicuro contro le ansietà della vita contemporanea: in un'epoca anteriore al multi-channel e alla comparsa delle multinazionali della comunicazione, i media tradizionali secondo Silverstone creavano con le loro usuali strutture narrative e con le loro routine di palinsesto un senso di controllo e stabilità.

Ma i media non sono solo una ricetta contro le ansie del quotidiano. I media contribuiscono per larga parte alla rappresentazione di un mondo che conosciamo solo attraverso di essi, ad entrare in contatto (link) con l'altro che distante migliaia o solo qualche centinaio di km non avremmo forse mai incontrato nella nostra dimensione esperienziale, a forgiare la nostra memoria degli eventi, la fiducia verso la politica e gli altri: in altre parole a formare quella realtà mediata nella quale ognuno è immerso ed esperisce.

In questo quadro si inserisce una delle sue considerazioni più carica di future applicazioni e prospettive: il ruolo dei media nella costruzione della morale. In un'ottica pratica che ricorda i contributi di Bourdieu e in una dimensione di costruzione dell'immaginario che riprende Castoriadis, Silverstone concentra la sua attenzione sulle implicazioni morali dei media: se gli schermi forgiano la nostra conoscenza dell'altro, formano la nostra rappresentazione del mondo e influenzano la nostra condotta, allora è inevitabile riconoscere loro una forza morale. Il mondo mediato, infatti, ha implicazioni morali profondi perché può allargare o restringere l'orizzonte dei nostri doveri verso gli altri.

I media forniscono la possibilità di impegnarci (engage) con chiunque entriamo in contatto: la sofferenza in Darfur o le devastazioni dello Tsunami possono più o meno passare inosservate, lo sguardo può essere distorto (come denunciava Adorno) oppure fissato, ma una volta trasmesso sullo schermo quella sofferenza dell'altro entra nella nostra periferia morale. I media, in altre parole, nel presentarci gli altri lontani in angoli remoti aumenta le interconnessioni morali, i vincoli che ci legano ad essi: ogni immagine ci ricorda che non siamo soli nel mondo. Così diviene fondamentale come l'altro viene rappresentato attraverso i mezzi di comunicazione per determinare le relazioni sociali. I media hanno dunque una forza morale: possono fornire le risorse per conoscere, comprendere e rispettare l'altro perché sulla base di quello che viene visto, letto o ascoltato le decisioni vengono prese, le responsabilità identificate o negate e la mano tesa o richiusa.

Il percorso di Silverstone nello studio della comunicazione e dei media è variegato e originale: al centro dei suoi interessi molteplici vi è anche l'analisi delle strutture narrative (già presente nella tradizione accademica britannica con i Cultural Studies), di come i media raccontano le storie, forgiano la realtà e danno un'interpretazione del mondo. Partendo da una prospettiva antropologica, in particolare dal concetto di mito di Lévi-Strauss, secondo Silverstone la narrazione dei prodotti culturali popolari fonde le preoccupazioni di sempre (il conflitto fra cultura e natura, fra uomo e dio, la paura verso l'altro, lo straniero, la divisione fra bene e male, fra noi e loro) con le preoccupazioni contemporanee (prima la guerra fredda, poi il terrorismo, la pervasività della tecnologia come controllo e fine) cercando di fornire risposte che non ha, così come ogni racconto (o mito) di qualsiasi cultura del mondo. I mutanti di X-Men 2, ad esempio, non sono i cattivi assoluti, ma qualcosa di più complesso e reale (è possibile leggere lo scritto di Silverstone sull'intepretazione della struttura narrativa di X-Men 2 al seguente indirizzo X-Men 2 ).

Lo stile del sociologo inglese è sempre elegante ed ironico, chiaro e attento ad aprirsi alla comprensione altrui per non restare nell'alveo dell'accademismo: grazie a personalità come Silverstone, al suo impegno, alla sua passione, alle sue qualità e alle sue capacità la communication research ha avuto grande eco e rapida diffusione, con un sempre maggiore riconoscimento del mondo istituzionale non solo britannico. Alla London School of Economics, sotto la direzione di Anthony Giddens, prende in mano il Dipartimento di Media e Comunicazione riunendo diversi docenti di svariate discipline per raccoglierli in un progetto di studio con obiettivi comuni e convergenti e portando in breve tempo il centro di ricerca ad affermarsi come uno dei più importanti e qualificati.

Sonia Livingstone, sociologa sua collega e amica, con affetto e dolore ricorda come uno dei rimpianti di Silverstone sia stato il non aver mai compilato un ricettario di cucina ebraica, da lui tanto desiderato: un rimpianto che ci dice come, al contrario, la sua ricerca non sia stata mai abbandonata o tradita, ma anzi perseguita con entusiasmo e passione, doti che più di ogni altro lo hanno distinto e spinto nella sua vita, insieme ovviamente al suo amore per la cucina.


di Manuel Antonini