Il riso fa parte di ciò che noi chiamiamo comunicazione non verbale ed è una caratteristica tipica della specie umana. Si tratta di un comportamento innato nell'uomo perché non è condizionato dall'ambiente, ma è riferibile ad un programma genetico che esiste a priori: l'uomo produce e riconosce le risate sin da quando nasce.
Nel riso ritroviamo sia l'aspetto fisiologico che quello psicologico; esso fa sì che le tensioni emotive siano liberate. Se così non fosse, esse rimarrebbero imprigionate dentro di noi ritorcendosi contro la nostra salute. Inoltre, molte ricerche hanno dimostrato che la risata ha anche degli specifici effetti chimici sul nostro corpo.

Le prime scoperte in questa direzione furono fatte intorno agli anni '70, ma hanno avuto maggiore risonanza dopo il caso di Norman Cousins, di cui parlerò in seguito, ed hanno dato origine ad una nuova disciplina chiamata Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI). Secondo gli studiosi di questa nuova branca della medicina, esiste la via emotiva che porta alla salute: si tratta di scoprire se emozioni come l'ilarità, la gioia, la contentezza possano rappresentare un'accelerazione di questo percorso verso la sconfitta dei mali che ci colpiscono. Secondo questi ricercatori ciò che conta maggiormente è esprimere, avere la capacità e la forza di permettere al nostro organismo di "buttare fuori" i propri turbamenti, la propria rabbia, la paura, il dolore; bisognerebbe non imporsi mai comportamenti contrari al proprio istinto, in quanto il trattenerli a lungo potrebbe provocare stati depressivi che causano un grave abbassamento delle difese immunitarie.
E' quindi importante imparare a praticare un ottimismo responsabile attraverso il continuo esercizio della speranza, della fede nel futuro e, soprattutto, dell'autoironia, ovvero della capacità di "ridersi addosso", di guardarsi con occhi diversi, di considerare i propri problemi come sfide e non come drammi insolubili.

Tutte queste notizie positive sugli effetti del riso e le loro possibilità applicative, anche se provvisorie, erano troppo allettanti per attendere ancora, così negli ospedali e nelle cliniche degli Stati Uniti si è lanciato questo nuovo filone, nel quale le emozioni positive, ed in particolare lo humour, assumono un'importanza rilevante per la qualità della salute: nasce la comicoterapia.
Come dice il detto? "Ridere fa buon sangue". Questa, ridotta all'osso, è la base su cui poggia la terapia del sorriso. Questo tipo di approccio curativo si va diffondendo lentamente in tutto il mondo a partire dalla sua nascita, nel 1986 a New York. Qui Michael Christensen, clown professionista, impiegato all'epoca al Big Apple Circus, insieme a Paul Binder fondò "The Clown Care Unit" ("L'Unità di Clownterapia") per portare il sorriso negli ospedali pediatrici.
La comicoterapia agisce dunque negli ospedali, e non solo, con lo scopo di aiutare a stimolare la capacità di sorridere nei pazienti adulti e bambini: in questo modo, contribuisce a rendere più piacevole la degenza, rende l'istituzione-ospedale meno incombente, avvicina i pazienti, ora solidali nel divertimento, non più nel dolore, e agevola l'uso delle terapie mediche sui malati: ridere costringe ad un cambiamento psicologico della persona.
Come afferma il Dottor Henry Rubinstein, celebre neurologo francese, autore del saggio "Psicosomatica del riso, ridere per guarire": "Poiché il riso funziona come stimolante psichico, disintossicante contro ansia e angoscia, quando si ride si attua anche un vero e proprio jogging dello spirito che libera dalla depressione e lubrifica le relazioni interpersonali".
Si è detto "non solo negli ospedali" perché oggi la terapia del sorriso opera ovunque ci sia bisogno di ritrovare gioia: dagli ambulatori alle case di riposo, dalle carceri agli ospedali, e in molti altri ambiti.

La mia esperienza come volontaria di Servizio Civile Nazionale presso l'Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Monopoli, che mi ha vista impegnata nel progetto "I diritti dell'infanzia nella città di Monopoli", quindi il mio contatto con le persone disagiate, mi ha portato a comprendere che si possono trovare sempre in se stessi motivi di sorriso. In ogni occasione, anche nella più difficile, si può trovare un punto di vista umoristico.
Il carattere e a volte persino le imperfezioni fisiche, che spesso condizionano l'esistenza, se considerati sotto una nuova luce, possono scatenare l'ilarità e sbloccare timidezze, aiutando la persona a crescere. L'allegria e il senso dell'umorismo si possono allenare sviluppando la fantasia e la creatività e spesso sono proprio le persone in difficoltà che ci stimolano a farlo. Si possono guardare gli avvenimenti della vita da un'altra angolazione, smontarli e rimontarli secondo un'altra logica, con una nuova ottica. Sono una sostenitrice del pensiero positivo e credo che nel ribaltamento della condizione tragica del vivere ci sia sempre una soluzione positiva.

Alessia Pellegrini
Articolo tratto dalla tesi La comunicazione nella clownterapia: aspetti pedagogici e interventi educativi