I fenomeni migratori ricoprono un ruolo centrale nell'analisi delle tendenze economiche e sociali che caratterizzano un Paese come l'Italia che si è trasformata negli ultimi venticinque anni da paese di emigrazione in paese di immigrazione.
Per oltre un secolo l'emigrazione ha rappresentato per l'Italia un valido strumento di riequilibrio del mercato del lavoro poiché quote consistenti di manodopera italiana sono state assorbite dalle economie di una molteplicità di paesi rendendo meno pesante il livello della disoccupazione.

A partire dagli anni ottanta, ma soprattutto negli anni novanta, c'è stata un'inversione di tendenza; i flussi migratori verso il nostro Paese si sono significativamente intensificati rendendo l'Italia un punto d'approdo non secondario per i cittadini provenienti dal terzo mondo. Così l'Italia si trova a rivestire un ruolo di "strada di passaggio obbligato" per il Nord Europa o di "ultima spiaggia" in alternativa ai tradizionali paesi d'immigrazione, spesso a causa delle norme e dei controlli molto restrittivi degli altri paesi europei.
Prima di allora l'Italia è caratterizzata oltre che dai flussi d'emigrazione verso l'estero da una forte dinamica migratoria interna che trasferisce l'eccedenza di manodopera dalle aree più arretrate del meridione verso i poli industriali del nord del Paese. L'inversione di tendenza scaturisce dalla connessione tra l'arrestarsi dei flussi di emigrazione italiana da un lato, e il verificarsi di flussi di rimpatrio di emigrati italiani e la presenza di forza-lavoro proveniente dai Paesi dell'Africa mediterranea dall'altro.

Nel corso degli anni ottanta il ruolo dell'Italia nel sistema delle migrazioni internazionali muta profondamente: se prima era coinvolta solo marginalmente dal fenomeno immigrazione, ora ne è pienamente investita. E' in questi anni che l'opinione pubblica presta sempre più attenzione a questa situazione, l'immigrazione straniera diventa tema di dibattito anche se in questa fase il fenomeno riguarda aree limitate: inizialmente si tratta di collaboratrici domestiche provenienti dai Paesi del Terzo Mondo, come nel caso dei flussi di donne filippine e degli immigrati maghrebini in Sicilia.
La crescita media che ha caratterizzato l'ammontare e l'aumentare dei flussi dalla metà degli anni'80 in poi circa è molto vicino al raddoppiare degli immigrati ogni 10 anni secondo i dati riportati dal Ministero degli affari interni tra il 1970 ed il 2004.
Le ragioni della scelta dell'Italia sono molteplici:
1) la sua collocazione geografica nel Mediterraneo, che la rende particolarmente esposta ai flussi provenienti dai paesi nordafricani, da ciò anche le grandi responsabilità all'Italia connesse per il suo ruolo di paese di confine dell'Unione Europea sia a sud che a est;
2) le caratteristiche dei nostri confini nazionali ne rendono molto difficile una completa e corretta supervisione, costituiti infatti per lo più da coste facilmente raggiungibili e difficilmente controllabili, oltre alla presunta minore rigidità rispetto ad altri paesi europei che all'Italia viene imputata dagli altri paesi Europei, abituati ai controlli data la loro tradizione di paesi d'arrivo dei flussi migratori.
3) Il caso italiano rimane anomalo anche a causa della malavita organizzata che ha messo in moto una vera tratta di manodopera e purtroppo anche di nuovi "schiavi".

Oggi sono presenti sul territorio italiano circa 631 associazioni di volontariato che si occupano di immigrazione e 470 associazioni di immigrati. Anche se queste ultime sono più deboli e non si configurano ancora come un soggetto rappresentativo, occorre insistere su queste realtà specialmente nella fase delle seconde generazioni in quanto fondamentali per promuovere i diritti degli immigrati e valorizzare le loro culture d'origine.
L'Italia tra le due guerre mondiali insieme alla Germania avviò una intensa politica coloniale diretta soprattutto verso l'Africa, tuttavia non riuscì a divenire un impero coloniale, anzi possiamo dire che il passato coloniale italiano poco somiglia agli imperi coloniali europei quali siamo stati abituati da altri paesi come la Francia e la Gran Bretagna.

L'Italia è stata a lungo un paese di emigrazione condizione il cui cambiamento è recente se visto in relazione agli altri paesi dell'attuale Unione Europea; le motivazioni di questo particolare percorso sono da ricercarsi nel più lento e tardivo sviluppo economico che ha indottole popolazioni appartenenti ai territori più poveri della penisola, il mezzogiorno ed il nord-est a spostarsi per cercare fortuna all'estero o addirittura al di là dell'Oceano; durante gli anni '70 il principale paese europeo esportatore di manodopera era infatti il Mezzogiorno che alimentava i più grandi movimenti di lavoratori, infatti dai dati dell'epoca e dagli studi svolti negli ultimi anni si dimostra che quello italiano è stato lo spostamento più ingente se considerato il numero di abitanti complessivo della penisola, e nel maggior numero di direzioni.
L'inversione di tendenza si manifesta dal 1973, periodo in cui mutarono gli abituali ingressi di stranieri nella penisola e cambiò molto anche la crescita demografica del paese. Infatti come conseguenza del completamento del processo di industrializzazione soprattutto nell'area settentrionale dapprima si incrementa moltissimo la diffusione della mobilità interna tra nord e sud del paese e in un secondo tempo molti di coloro che erano emigrati in passato vengono richiamati dai nuovi posti di lavoro sorti in Italia, soprattutto a causa della crisi estera del 1973 che aveva provocato la perdita del posto di lavoro per molti italiani impiegati all'estero.
Come abbiamo detto poco fa cambiò molto il panorama italiano durante gli anni '70 e così di conseguenza durante gli '80, soprattutto ai molti propositi e dubbi che si manifestarono in sede internazionale; purtroppo ci si rese presto conto che non era possibile concertare delle decisioni comuni in sede internazionale per problemi che poi caratterizzavano in modo molto diverso i paesi tra di loro. La maggior parte degli stranieri proveniva dall'America del nord e dall'Europa, ma molti anche dalle Filippine e dal Nord Africa, luoghi dove la caduta di molte dittature militari e regimi dittatoriali non permetteva il controllo dei flussi di uscita e di entrata, non che il sistema di controllo italiano fosse efficiente.

Oggi non è affatto semplice comprendere quale sia dal punto di vista quantitativo la presenza straniera in Italia soprattutto alla luce dei molti clandestini e lavoratori in nero. Le ripercussioni sul mondo del lavoro non hanno provocato allora una forte conflittualità tra immigrati ed italiani, e ancora oggi la situazione non è precipitata, ma i molti disagi che stanno venendo alla luce richiederanno delle misure di controllo e di risanamento. La paura che la crisi economica potesse essere peggiorata dai continui flussi migratori e la necessità di prendere decisioni per realizzare una area comunitaria che fosse multiculturale e multietnica ha creato non pochi contrasti ed incongruenze nelle politiche migratorie dei diversi paesi, talvolta anche all'interno di singoli paesi, tra le normative sussistono ancora delle differenze sostanziali che per un corretto funzionamento del meccanismo internazionale devono essere concertate, sempre tenendo conto delle esigenze e difficoltà nazionali presenti all'interno dell'Unione Europea.
Una volta divenuta nuova terra di attrazione migratoria l'Italia si rende conto della necessità di una struttura normativa più elaborata per sostituire quella inadatta che ancora si protraeva dagli anni Trenta, si cercò di riorganizzare il paese da questo punto di vista fino ad arrivare alla legge 39/90, soprannominata legge Martelli, che apportò molti cambiamenti ma naturalmente non abbastanza per regolarizzare la situazione, aprendo però con la sanatoria che la ha accompagnata una lunga tradizione di sanatorie che tutt'oggi caratterizzano il modo di operare dell'Italia e creano non pochi attriti in sede internazionale, essendo l'Italia uno dei paesi di confine dell'UE e dunque un paese su cui gravano dei compiti frontalieri per conto dell'Unione Europea. Le altre leggi che si sono poi succedute nel panorama giuridico italiano le abbiamo già descritte ed è chiara la loro insufficienza nell'adempiere a compiti ormai gravosi per questo Paese. Oggi si pretendono dall'Italia e dagli altri Stati cuscinetto dell'Europa meridionale leggi e norme più rigide in materia di immigrazione che tutelino e garantiscano la sicurezza nei territori interni.
Questo però non è un compito semplice in quanto i processi di internazionalizzazione rendono ancora più ardua la riuscita di tale impegno, rendendo così necessarie delle politiche di chiusura agli ingressi illegali e di maggiori controlli sulle condizioni di irregolarità degli immigrati. È il passaggio dell'Italia da una società di emigrazione ad una di immigrazione che rende più attuali i problemi delle banlieue in Francia e delle "inner city" in Gran Bretagna.

L'Italia rappresenta un caso a sé stante completamente diverso da quello francese ed inglese in cui è evidente uno Stato più fragile nelle sue azioni, meno centralizzato, dai riferimenti molto meno nitidi alla laicità ed un passato coloniale meno intenso, ma ugualmente molto controverso. La forte istituzionalizzazione e burocratizzazione dello Stato francese per quanto riguarda i processi di integrazione sociale tendono a rendere la società più rigida, in tali casi un fallimento dello Stato centrale costituirebbe l'esclusione da qualsiasi possibilità di integrazione, ciò di certo non facilita il percorso di integrazione necessario ad un cittadino immigrato per sentirsi parte della realtà in cui vive da diversi punti di vista, non per ultimo quello giuridico. Nel caso italiano invece nonostante la minore consistenza dello Stato, il clientelismo politico e l'inefficcienza dei servizi pubblici sono le strutture e le istituzioni informali che funzionano meglio, cioè quelle caratteristiche della società italiana che si poggiano sulla solidarietà, sulla scuola, sulla famiglia, sulle istituzioni locali, spesso sul singolo che contribuiscono ad integrare le persone precarie o in situazioni di disagio nelle reti sociali, una concreta alternativa all'esclusione.


Paolo Goglia
Studio pilota sulle realtà socioculturali dei figli degli immigrati (seconda generazione) in un quartiere periferico di Roma