Che cos’è una notizia? Questa domanda (che può sembrare banale), parte da una semplice constatazione: non tutti gli avvenimenti che accadono oggi nel mondo vengono riportati all’attenzione del pubblico. «Nel quotidiano medio oltre il 75 per cento delle potenziali notizie del giorno viene scartato e non raggiunge mai la pagina stampata. Per i mezzi di comunicazione nazionale come i network televisivi è probabile che la percentuale di notizie scartate sia persino maggiore».1

Partendo da ciò, cercheremo comprendere in base a quali criteri un fatto diventa “notiziabile”. Corte ci dice che «il fatto, per diventare notizia […] deve avere una carica di novità e una sua singolarità, anche in relazione al tipo di pubblico cui si rivolge».2
Dunque il fatto deve possedere alcune caratteristiche intrinseche che lo rendono degno di essere portato all’attenzione dei lettori. Ma non solo: a mio avviso l’aspetto più importante del lavoro in redazione non risiede soltanto nell’importanza oggettiva del fatto, ma soprattutto nel processo di selezione di una notizia piuttosto che un’altra. Per dirla con Hall: «la notizia è un prodotto, una costruzione realizzata dall’uomo, una parte fondamentale del sistema di “produzione culturale” [...] le notizie vengono codificate e classificate; assegnate in differenti spazi e suddivise in termini di presentazione e significato».3

In altre parole, per Hall la realtà fornita dall’informazione non corrisponde in alcuno modo ad una rappresentazione fedele di ciò che accade intorno a noi, ma è più che altro il frutto di un sistema. È in questo sistema, composto dal pubblico e dai giornalisti, ma anche da editori e inserzionisti pubblicitari che dobbiamo guardare per comprendere a fondo i criteri che dettano i processi di selezione giornalistica.
I primi studi sulla produzione di informazione (news-making) si concentravano sul gran numero di notizie che lungo il loro iter trovavano la strada sbarrata: già nel 1950, White fu il primo ad interessarsi al lavoro di gatekeeping.4
Secondo questo studioso, nei processi di selezione avrebbe un gran peso l’individuo o il gruppo che ha il potere di decidere se lasciare passare o bloccare l’informazione. In altre parole, per White esisterebbe un forte potere decisionale degli editori, i quali sarebbero in grado di sbarrare le strada (per questo si parla di “guardiani del cancello”) ad alcune notizie.

Questa teoria nonostante la sua plausibilità presentava alcuni limiti, il primo dei quali consisteva nel fatto che i processi di scelta delle notizie venivano attribuiti principalmente ad un carattere soggettivo (il “gatekeeper”, appunto).
Con i Lang si superò questa attenzione per il carattere individuale dell’attività del gatekeeper, rivolgendo la ricerca sulla cosiddetta “distorsione involontaria” (unwitting bias). Uno dei primi esempi di questa distorsione fu uno studio sulla copertura televisiva del ritorno del generale McArthur dopo il suo richiamo dalla Corea: un episodio di scarsa importanza che fu trasformato in un grande evento politico mediante l’accorta regia televisiva e gli appassionanti commenti dei telecronisti.5

Attualmente, il campo di ricerca che coinvolge gli studiosi del news-making non riguarda più la copertura di un evento particolare (come nei casi citati finora) bensì l’andamento routiniero sul lungo periodo.

Come afferma Mauro Wolf: «A mano a mano che la ricerca sui comunicatori precisa il proprio interesse per le condizioni normali, quotidiane, in cui opera l’organizzazione giornalistica, viene messo in risalto un tipo di “deformazione” nei contenuti informativi non addebitabile a violazioni dell’autonomia professionale, ma piuttosto al modo in cui è organizzato, istituzionalizzato e svolto il mestere di giornalista. Se gli studi sui gatekeepers correlavano il contenuto dei giornali con il lavoro di selezione delle notizie svolto appunto dal “guardiano del cancello”, gli studi recenti sulla produzione di notizie rapportano l’immagine della realtà sociale fornita dai media con l’organizzazione e la produzione routiniera degli apparati giornalistici»6.

Fra gli studi più recenti sul news-making troviamo anche il concetto di framing (incorniciamento), basato sull’idea che l’organizzazione delle informazioni avvenga attraverso un frame, cioè una cornice cognitiva. Per sottolineare la continuità rispetto alla teoria dell’agenda-setting molti studiosi, tra cui la Bentivegna, considerano il framing come “il secondo livello dell’agenda setting”.7 McCombs, nel 1996 si rese conto che i media possono influire non soltanto sugli argomenti (cioè sul “cosa” pensare) ma anche sugli attributi (cioè sul “come” pensare). «Al di là dell’agenda degli oggetti esiste anche un’altra dimensione di cui tenere conto: ciascuno di questi oggetti ha numerosi attributi, ossia ha caratteristiche e proprietà che ne completano l’immagine. […] Sia la selezione degli oggetti su cui si concentra l’attenzione sia la selezione degli atributi necessari per pensare questi oggetti esercitano un forte potere di agenda-setting».8
Questo porterebbe a determinati effetti; in particolare il modo in cui sono “incorniciate” le notizie attiverebbe determinate inferenze riguardo al tema trattato. Ecco un esempio tratto da Livolsi: «spesso il “come” vengono proposte certe storie è più importante dei contenuti, di ciò che vi si dice. […] Particolari scelte lessicali “definiscono” una certa notizia politica; per esempio un titolo come “Una folla di scalmanati manifestanti tenuti a bada dalle forze dell’ordine…” è ben diverso da “Un corteo ordinato ha manifestato compostamente le proprie ragioni malgrado la minacciosa presenza della polizia”. Eppure ci si riferisce allo stesso fatto: una manifestazione senza gravi incidenti».9

Il framing nello specifico riguarda gli eventi politiche, ma si può ben adattare anche ai grandi temi socio-politici, come l’immigrazione. Secondo Scheufele10 il sistema mediale si ritroverebbe di fronte a due tipi di frame: i media frames e gli individual frames. Entrambi i tipi di frame possono essere indipendenti o dipendenti. Nel primo caso l’indipendenza fra chi produce il messaggio (i media) e che lo recepisce (il pubblico) porta il fruitore del messaggio mediale a difendersi dalla “cornice” mediale. Per esempio, un fruitore accetterà più facilmente quelle notizie (e il modo in cui sono date) che confermano il suo modo di vedere il fatto, e resisterà (non leggendo o non credendo) alle notizie che vi si oppongono. Al contrario, nel secondo caso, (dipendenza fra i frames dei media e quelli individuali) la dipendenza fra i frames è dovuta ad un effetto dei media sulle opinioni della gente. Se così fosse, i media avrebbero la possibilità di confutare le conoscenze pregresse dei fruitori, portando così il pubblico a inquadrarsi nella cornice dominante. McQuail aggiunge: «è chiaro che per tali scopi possono essere usati numerosi dispositivi testuali, come l’uso di certe parole o di certe frasi, il riferimento a determinati contesti, la scelta di certe immagini, il ricorso a determinate fonti e così via».11

Non a caso, uno dei primi studi sul framing, compiuto nel 1974 da Hartman e Husband, dimostrò che le questioni relative alle questioni razziali vengono “incorniciate” come un problema per la società più che per le minoranze degli immigrati.12
Entrando nello specifico, al giorno d’oggi un esempio concreto di framing consiste nell’implicito legame fra immigrazione e criminalità. Tale associazione, che può essere involontaria o volontaria a seconda della testata giornalistica, ha origine soprattutto nella cosiddetta «iconografia quotidiana [che] rappresenta gli immigrati non solo come delinquenti, ma come “etnie”, suggerendo così che “delinquenza” ed “etnicità” coincidano».13
Si potrebbe obiettare che la fenomenologia dell’immigrazione è realmente fatta di disagio estremo e di traffico ad opera della criminalità: questo non si può negare, ma occorre ribadire che si tratta una descrizione parziale della realtà. Va precisato che non tutti i fruitori dei media si lasciano plasmare facilmente dal frame dominante, ma è anche vero che molto spesso questa associazione avviene ad un livello inconscio. Basti pensare a ciò che sosteneva il grande regista russo Sergej M. Ejženštejn a proposito del montaggio: «la copulazione di due rappresentabili non è la loro somma, ma il loro prodotto e garantisce la produzione di un senso ulteriore (un concetto) che non era presente nelle singole immagini».14

Come abbiamo visto, col passare del tempo gli studi sul news-making non si sono più soffermati sui singoli eventi o sulle singole decisioni degli editori, ma «si è prestata maggiore attenzione alle influenze “organizzative” e a quelle “ideologiche”. Le prime riguardano soprattutto le routine burocratiche, mentre le seconde i valori e i condizionamenti che non sono soltanto individuali e personali ma che nascono anche dal contesto sociale (e politico) dell’attività informativa».15
Nel caso delle notizie riguardanti gli immigrati ci sarebbe molto da dire sull’aspetto ideologico, che talvolta si basa su un vero e proprio substratum di razzismo “democratico”. Eppure cercherò di affrontare entrambi questi aspetti senza cadere nella (facile) tentazione di attribuire l’intera colpa della distorsione di questo fenomeno al razzismo più o meno latente nella società. Inizierò dunque dagli aspetti organizzativi.


Note bibliografiche:
1A.R. Pratkanis e E. Arenson, Psicologia delle comunicazioni di massa. Usi e abusi della persuasione, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 246
2 M. Corte, Stranieri e mass media. Stampa, immigrazione e pedagogia interculturale, Padova, Cedam, 2002
3 In S. Hall, A world at one with itself. “New Society”, 18 giugno 1970, p. 1056
4 D.M. White, The gatekeeper: A case-study In the selection of news. In “Journalism Quarterly”, vol. 27 (n°4), 1950, pp. 383-390
5 K. Lang e G.E. Lang, The Unique Perspective of Television and its Effects: a Pilot Study. In “American Sociological Review”, Chicago, vol. 18 (n°1), febbraio 1953 pp. 3-12
6 M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, Bompiani, 1998, p. 183
7 S. Bentivegna, Teorie delle comunicazioni di massa, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 112-113
8 M. McCombs, I media e le nostre rappresentazioni della realtà. Un’analisi della seconda dimensione dell'agenda-setting, in S. Bentivegna, (a cura di), Comunicare Politica nel sistema dei media, Genova, Costa & Nolan, 1996
9 M. Livolsi, Manuale di sociologia della comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 2004
10 D.A. Scheufele, Framing as a theory of media effects. In “Journal of Communication”, University of Wisconsin-Madison, vol. 49 (n°1), marzo 1999, pp. 103-122
11 D. McQuail, Sociologia dei media, Bologna, Il Mulino, 2001
12 Cfr. P. Hartman e C. Husband, Racism and Mass Media, London, Davis Poynter, 1974
13 A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Milano,
Feltrinelli, 2005
14 P. Bertetto (a cura di), Introduzione alla storia del cinema, Torino, UTET, 2002, p. 58
15 D. McQuail, Sociologia dei media, Bologna, Il Mulino, 2001



Tesi di Michele Spanu, Pregiudizio o accoglienza? I media e l'immigrazione. Lo studio affronta l'importante questione della rappresentazione mediatica del fenomeno migratorio in Italia. Un aspetto decisivo nel contribuire alla diffusione di una percezione più acuta di insicurezza e di sentimenti più o meno farvorevoli verso i migranti.