In molti dibattono in questi tempi a proposito di una deriva xenofoba nel linguaggio dei media. Secondo alcuni, infatti, nei titoli e nei testi di molti articoli giornalistici vi sarebbe un uso impreciso e, spesso, improprio di termini che aiuta ad alimentare un clima allarmistico e discriminatorio verso gli immigrati presenti in Italia.

La questione, in apparenza superficiale, è tutt'altro che trascurabile. Se accettiamo infatti la prospettiva foucaultiana che il potere-sapere circola attraverso i discorsi, i quali definiscono una realtà e i loro comportamenti, allora tanto il linguaggio quanto il contenuto diventano elementi fondamentali nella costruzione di un sapere-potere. I media e il loro linguaggio sono, così, un importante fattore di costruzione del consenso sociale attorno all’immigrazione: essi contribuiscono a presentare il fenomeno in una prospettiva più o meno favorevole, alimentando nella società un clima di sfiducia e diffidenza, piuttosto che di accoglienza.

Media e Multiculturalità, uno strumento di informazione e documentazione creato dall'associazione COSPE, condivide questa tesi ed è passata ai fatti. Dopo la pubblicazione del 5 luglio scorso su Repubblica di un articolo di Gad Lerner, 'Quel censimento etnico di settanta anni fa', il portale ha deciso di sollecitare il direttore della testata Ezio Mauro attraverso una lettera aperta, affinché siano allargati gli spazi per questo tipo di voci e pratiche giornalistiche e, soprattutto, perché “vi sia un deciso cambio di direzione rispetto a titoli, terminologia, scelta e uso delle fonti in tutti gli articoli sul tema che, quotidianamente, riempiono le pagine di Repubblica.”

L’articolo di Lerner, infatti, è stato considerato da Media&Multiculturalità come “esempio di quel giornalismo che, scegliendo l'analisi seria e argomentata, contrasta in maniera stridente con gli allarmismi, la retorica dell'emergenza e l'allarme sicurezza che riempiono da diversi mesi ormai lo spazio mediatico italiano”.

La lettera al direttore di Repubblica (scaricabile qui) è stata messa in condivisione per essere utilizzata da chiunque intenda far sentire la propria voce per un giornalismo meno suggestionabile dalle correnti della piazza e può essere utilizzata per essere inviata a [email protected] e/o al numero di fax 0649822309.

L’iniziativa si presenta, insomma, come strumento utile a costituirsi consumatori critici e attivi dei media e uscire da quella passività di spettatori che conferma e alimenta contenuti dai caratteri allarmistici e di emergenza riguardo l’immigrazione. Lo stesso professore Maurizio Ambrosini dell’Università di Milano, da anni impegnato nello studio del fenomeno migratorio, sottolinea nelle sue riflessioni l’importanza di un ruolo attivo degli spettatori affinché si esca da quel circolo vizioso dove media e pubblico partecipano entrambi a una produzione mediatica di allarmismo verso lo straniero. Un ruolo attivo che non consiste e non si traduce solo nella decisione del consumo. La questione, infatti, se l’informazione sia democratica perché risponde ai gusti e ai bisogni dell’auditel o piuttosto perché, come sosteneva Bourdieu, deve porsi come strumento di educazione critica, trascura un aspetto essenziale del rapporto tra chi fa informazione e chi la riceve: il pubblico può influenzare i media anche con azioni dirette, come lettere ai giornali, manifestazioni, appelli (ancora di più in un’era di interattività!). E basta leggere le lettere scritte ai giornali dai lettori, spesso in linea con una visione ostile dell’immigrazione, per rendersi conto che manca una parte di cittadinanza attiva che faccia pressione per un diverso uso del linguaggio verso l’immigrazione e gli immigrati.

Per arrestare un clima ostile allo straniero, sia esso immigrato regolare o clandestino, è allora urgente anche attivarsi come consumatori critici dell’informazione e monitorare la sua qualità. Negarlo significa abbandonare nelle mani dei media il potere di rappresentare e definire la realtà, alimentando una cultura conflittuale che si impoverisce chiudendosi agli altri. Riinunciando così a farsi attori di un processo inevitabile che è l’incontro con altre culture.

Manuel Antonini