Alla fine degli anni Sessanta si realizzò un importante cambiamento sugli obiettivi e non sugli strumenti dello sviluppo. Già nel 1962 le Proposte di azione della prima decade dello sviluppo delle Nazioni Unite (1960-70) stabilivano che:

Il problema dei paesi sottosviluppati non consiste esclusivamente nella crescita, ma nello sviluppo.[...] Sviluppo è crescita più cambiamento; quest’ultimo, a sua volta, è sociale e culturale così come economico, e qualitativo come quantitativo [...]. Il concetto chiave deve essere il miglioramento della qualità della vita della gente1.

Il concetto di «sviluppo sociale» era conosciuto fin dal sorgere delle Nazioni Unite. Nel 1949 l’Assemblea Generale invitò il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), uno dei due organi supremi, ad analizzare la situazione culturale e sociale del mondo, intesa come controparte degli annuali rapporti economici: i primi saranno più tardi nominati Reports on the World Social Situation, i secondi World Economic Surveys.
Il secondo di questi rapporti, pubblicato nel 1957, dichiarava esplicitamente la “necessità di una più stretta integrazione degli obiettivi economici e sociali” e faceva inoltre riferimento al lavoro della Divisione Sociale del Dipartimento degli affari Economici e Sociali per gli indicatori dello sviluppo sociale, con l’obiettivo di sostituire le inadeguate misure basate sul prodotto pro capite. Sulla scia di tali lavori, venne istituito nel 1963 a Ginevra l’Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca sullo Sviluppo Sociale (UNRISD). Ciononostante, fino alla fine degli anni Sessanta, lo sviluppo continuò ad essere percepito come un percorso definibile di crescita economica che passa attraverso vari stadi e «integrazione» era la parola d’ordine che legava l’aspetto sociale a quello economico”2.
Lo sviluppo sociale era considerato “in parte come una precondizione della crescita economica e in parte come una giustificazione morale ad essa e ai sacrifici che comportava”3.

Ma alla fine del decennio molti fattori contribuirono a smorzare l’ottimismo sulla crescita economica: si manifestavano più significativi gli effetti negativi delle politiche e dei processi in atto e divenne chiaro che la crescita rapida era stata accompagnata da crescenti disuguaglianze.

Il conflitto fra il perseguimento della crescita economica e i suoi effetti sul sistema sociale fu denunciato per la prima volta da Dudley Seers, dell’Istituto di Studi sullo Sviluppo dell’Università del Sussex. Nel suo discorso di entrata in carica quale presidente dell’Undicesimo Congresso Mondiale della Società per lo Sviluppo Internazionale (SID), che si tenne a Nuova Delhi nel novembre del 1969 e che aveva come tema “Il significato dello sviluppo” affermò:

Abbiamo male interpretato la natura della sfida principale postaci dalla seconda metà di questo secolo. [...] E’ stata una mancanza, da parte nostra, quella di confondere lo sviluppo economico con la crescita economica [...] E’ stato ingenuo ipotizzare che aumenti del reddito nazionale, se più veloci della crescita demografica, possono portare prima o poi alla soluzione dei problemi sociali e politici. Sembra che la crescita economica non solo non sia in grado di dare una soluzione alle difficoltà sociali e politiche ma, anzi, che determinati tipi di crescita possano causare tali problemi. 4

Mahbub ul Haq, economista collaboratore della Banca Mondiale formulò in maniera più decisa le stesse conclusioni di Seers:

Il problema di base dello sviluppo deve essere ridefinito in termini di attacco selettivo contro le peggiori forme di povertà [...]. Gli obiettivi di sviluppo devono essere definiti in termini di riduzione ed eventuale eliminazione della malnutrizione, delle malattie, dell’analfabetismo, della miseria, della disoccupazione e delle disuguaglianze[...]. Ci avevano insegnato ad occuparci solo del prodotto interno lordo, perché poi quest’ultimo si sarebbe preso cura della povertà. Ribaltiamo questa opinione, occupiamoci della povertà perchè ciò, a sua volta, si prenderà cura del prodotto interno lordo. In altri termini, preoccupiamoci del contenuto del prodotto lordo, ancor più del suo tasso di incremento5.

Negli anni Settanta si cercarono dunque nuovi indicatori dello sviluppo: l’occupazione (rivalutata nei problemi della disoccupazione nascosta e della sottoccupazione), l’eguaglianza (distribuzione interna e gap fra nazioni ricche e nazioni povere), l’eliminazione della povertà e il soddisfacimento dei bisogni fondamentali (con i concetti di reddito minimo e l’enfasi sullo sviluppo rurale).
Tali aspetti erano correlati fra loro, anzi concatenati: dall’analisi sull’occupazione si passò alla ricerca di indicatori per il settore informale e da qui all’equità distributiva.

Ma la “detronizzazione del prodotto interno lordo”, come fu ribattezzata la crociata capitanata da Robert McNamara, ex Presidente della Banca Mondiale, non ottenne mai consenso internazionale o accademico (n.d.r. Solo nell'ultimo decennio del XX secolo, l'idea di uno sviluppo declinato in termini sociali si è affermato in ambito internazionale con l'adozione dello Human Development Index, ideato da ul Haq e adottato nel rapporto annuale dell'Undp nel 1990).

Note:
1Nazioni Unite, The UN Development Decade: Proposals for Action (New York: UN, 1962). Citato in Esteva, G., Sviluppo in Sachs W., (a cura di) Dizionario dello sviluppo (Torino: EGA Editore, 2004) pagg. 358-359.
2 Esteva, G. Sviluppo in Sachs W., (a cura di) Dizionario dello sviluppo (Torino: EGA Editore, 2004), pag. 359.
3 Istituto di Ricerca delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNRISD), An Approach to Development Research (Ginevra: UNRISD, 1979). Citato in Esteva, G. Sviluppo in Sachs W., (a cura di) Dizionario dello sviluppo (Torino: EGA Editore, 2004), pag. 359.
4Seers, D., The Meaning of Development, in “International Development Review”, dicembre 1969. Citato in Arndt H.W., Lo sviluppo economico: Storia di un’idea (Bologna: Il Mulino,1990), pag.130
5 Ul Haq, M., Employment and Income Distribution in the 1970s: a New Perspective, in “Development Digest”, ottobre 1971. Arndt H.W., Lo sviluppo economico: Storia di un’idea (Bologna: Il Mulino,1990), pagg.130-131

L'articolo è tratto dalla tesi di Martina Bertazzon. Il concetto di sviluppo. Una forma di colonizzazione?

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