Anthony Giddens, sociologo inglese, è considerato a oggi uno dei più conosciuti e autorevoli scienziati sociali, non solo britannici ma pure a livello mondiale. Non a caso, in patria è stato definito il più famoso scienziato sociale dopo Keynes. La sua produzione intellettuale è vasta (oltre trenta opere) e pone al centro una visione olistica e critica della società contemporanea.

Nasce nel 1938 nell’area londinese di Edmonton, all’interno di una famiglia benestante della media borghesia. Il padre, impiegato dei trasporti, permette al figlio di proseguire gli studi universitari, il primo della sua famiglia, che termina nel 1959 con la laurea presso la Hull University. Successivamente consegue il master presso la London School of Economics e poi, nel 1974, il dottorato (PhD.) all’Università di Cambridge. Nel frattempo, nel 1961 comincia ad insegnare psicologia sociale presso la University of Leicster, per proseguire poi l’insegnamento presso l’università di Cambridge, dove resterà per molti anni, fondando anche il Comitato di Scienze politiche e sociali (SPSc).

La prima fase della sua vita accademica e del suo pensiero è principalmente rivolta ad un lavoro di critica della tradizione sociologica. Numerose le opere riguardanti le diverse correnti disciplinari e gli autori che più hanno segnato la sociologia, nel tentativo di formulare un approccio critico specialmente verso ill materialismo storico e il funzionalismo. L’opera di certo più importante del periodo è “Capitalism and Modern Social Theory” (1971) dove sostiene che, nonostante le differenze dottrinarie, i lavori di Marx, Durkheim e Weber condividevano l’esigenza primaria di studiare il capitalismo e i suoi effetti sulla vita sociale, affermando così che la sociologia nasce come tentativo di spiegare le trasformazioni delle istituzioni e del potere portate dall’industrializzazione.
Tra questo tipo di opere, seppure di un periodo successivo (pubblicato infatti negli anni ’80), il breve libro sul contributo di Durkheim, nel quale individua un percorso di studio (la sociologia come scienza morale) del sociologo francese ben preciso, fornendo una visione delle sue opere lineari e chiara.

L’interesse di Giddens non si ferma solamente agli aspetti teorici. Nel 1976 da alle stampe “New Rules of Sociological Method” dove, richiamando la famosa opera di Durkheim, si sofferma sulla lunga diatriba sociologica fra macro livello (ossia la dimensione generale della società, come struttura e processi) e micro livello (la dimensione pratica e quotidiana della vita sociale, le sue interazioni e i suoi significati). Criticando l’approccio durkheimiano e l’irriducibilità della società agli individui (la società sui generis come oggetto di studio), Giddens propone la sociologia interpretativa weberiana, che si sofferma sui motivi e gli stimoli delle azioni individuali. Il sociologo inglese non sposa l’idea weberiana dell’individuo come unità centrale d’analisi, ma afferma l’interazione tra i due elementi (realtà collettiva e individuo): in altre parole, le strutture della società hanno effetti sulle persone che nelle loro azioni producono le strutture stesse. L’unità d’analisi diviene così la pratica sociale che da forma al mondo sociale e che comprende sia una componente strutturale sia legata all’attore.

Negli anni successivi, Giddens esplora più in profondità la relazione fra macro e micro arrivando a formulare la sua nota teoria della strutturazione. In questa fase, lo studioso è impegnato nel difficile tentativo di trovare una sintesi fra forze sociali e individuali nel formare la realtà. Nel 1979 viene pubblicato “Central Problems in Social Theory”e, nel 1984, "The Constitution of Society".
Il punto centrale del pensiero di Giddens è il riconoscimento che così come le azioni individuali sono limitate dalle strutture, allo stesso modo esse sono portatrici del cambiamento sociale. Le azioni agiscono sulla realtà che è formata e forma poi le azioni stesse. Le strutture, quindi, sono quell’insieme di regole e risorse che gli attori mettono in campo nelle pratiche che producono la società stessa. Il concetto di dualità della struttura cerca di spiegare proprio questo aspetto: le strutture impongono vincoli sulle azioni ma in pari tempo le rendono possibili.
Il collegamento tra azione e struttura diventa una questione centrale nella sociologia di Giddens: perché entrambe siano comprese devono essere studiate insieme (le prime, infatti, sono formate, rafforzare e cambiate attraverso le azioni e queste assumono senso solo sullo sfondo delle strutture). In Giddens, quindi, lo studio della strutturazione del sistema sociale diviene lo studio di come il sistema, nel generare risorse e norme strutturali, è riprodotto dall’interazione sociale.

La strutturazione si propone così come una formula di sintesi della relazione micro-macro. Per Giddens ricercare una linea di casualità tra le due estremità che sia unilineare è un esercizio intellettuale minato alle fondamenta da una consequenzialità logica falsa. Giddens nei suoi diversi esempi (la trasformazione del matrimonio e della famiglia, la relazione tra capitalismo e società…) mostra come le influenze, infatti, siano reciproche e sia impossibile definire se sia il livello macro o micro a determinare l’opposto, quanto piuttosto ricercare il ciclo sociale delle numerose influenze fra i due livelli.

Dopo l’esperienza trentennale all’università di Cambridge, nel 1997 diviene direttore della London School of Economics (fino al 2003) e membro del consiglio direttivo dell’Institute for Public Policy Research. In questo periodo si affaccia anche alla politica divenendo consulente dell’ex primo ministro britannico (Tony Blair) e partecipando a discussioni parlamentari. A portarlo alla ribalta sulla scena politica è soprattutto la sua idea di “terza via” (nel proporre una nuova forma di riformismo districandosi tra vecchio socialismo e nuovo capitalismo) che sarà al centro dell’indirizzo politico formulato da Blair e Clinton.

Gli impegni politici di quest’ultima fase testimoniano un cambiamento negli interessi del suo pensiero. Giddens, infatti, dall’inizio degli anni ’90 comincia a concentrarsi sullo studio della modernità, delle sue tendenze e dei suoi effetti sulla vita sociale e individuale, sul ruolo giocato al suo interno dal capitalismo e dalla globalizzazione. In particolare, il contributo principale riguarda la sua critica all’idea post-moderna, sposata da autori quali Harvey e Bauman.
Nel suo libro “Consequence of Modernity” (1990) Giddens sostiene che i cambiamenti avvenuti nelle istituzioni e nella vita di ogni giorno durante gli ultimi decenni non implicano il passaggio ad una nuova e radicale fase sociale, in quanto superamento della precedente (la post-modernità), piuttosto in una radicalizzazione delle caratteristiche principale della modernità, una sua acutizzazione (Giddens parla di tarda modernità) dove le forze sociali che caratterizzavano la precedente fase si sono rafforzate ed estese (maturate).

Una di queste, forse la più importante, è il “disembedding” dal tempo e dallo spazio. Secondo Giddens la modernità ha prodotto uno svincolamento della realtà sociale dal tempo e dallo spazio: lo spazio sociale, infatti, non è più definito dai confini spaziali e temporali entro i quali uno si muove. Ad aver prodotto questa possibilità sono i sistemi esperti (ossia l’insieme di tecnologie che permettono le nostre azioni) che via via si sono svincolate dal tempo, dallo spazio e dal controllo del singolo, al quale non resta che fidarsi di essi. Proprio la necessità di fidarsi, derivante dalla mancanza di un reale controllo, genera insicurezza, contro la quale Giddens propone la riscoperta di una fiducia ontologica e di una modernità riflessiva (quest’ultimo concetto si sviluppa dalle sue considerazioni ermeneutiche della strutturazione: l’atto stesso di conoscenza è una pratica che circolando nella realtà sociale agisce su di essa e la trasforma, divenendo struttura e nuova possibilità di formulazione. Le scienze sociali riflettendo sulla modernità, interagiscono con esse e contribuiscono a formarla).

Nel 2004 viene insignito dalla regina Elisabetta del titolo di baronetto a sostegno di una carriera sempre impegnata (anche con diverse collaborazioni con istituti e riviste) verso una sociologia “dentro” al mondo e capace di formulare proposte concrete nelle sue peregrinazioni teoriche. Il pensiero di Giddens si presenta dunque non solo come uno dei più vasti, ma anche come capace e abile nell'affrontare i nodi centrali della disciplina e, soprattutto, dell’attualità.

Tra le sue opere più importanti: Capitalismo e teoria sociale. Marx, Durkheim e Max Weber (1971); Nuove regole del metodo sociologico (1976); Central problems in Social Theory: Action, Structure and Contradiction in Social Analysis (1979); Sociologia (1982); La costituzione della società (1984); Durkheim (1986); Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo (1990); Modernity and Self-Identity. Self and Society in the Late Modern Age (1991); Modernizzazione riflessiva. Politica, tradizione ed estetica nell'ordine sociale della modernità (1994, con Beck, Ulrich & Giddens, Anthony & Lash, Scott); Oltre la Destra e la Sinistra (1994); Politics, Sociology and Social Theory: Encounters with Classical and Contemporary Social Thought (1995); In Defence of Sociology (1996); La terza via. Manifesto per la rifondazione della socialdemocrazia (1998); Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita (1999); The Third Way and Its Critics (2000); Sociology. (2001); L' Europa nell'età globale (2007); La trasformazione dell'intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne (2008)

In parentesi l’anno di pubblicazione dell’opera nella prima edizione in lingua originale.



di Manuel Antonini