Roland Barthes è una tra le più autorevoli e importanti figure della cultura francese della seconda metà del Novecento. Saggista, linguista e soprattutto critico letterario, seguendo le orme dello strutturalismo (per poi sconfinare in una visione definita post-strutturalismo), ha contribuito in modo del tutto personale e originale allo sviluppo della semiologia e al rinnovamento della critica come scienza, ponendola tra le vette dell’arte, luogo che già Oscar Wilde le riservava.

Barthes nasce a Cherbourg (Francia) nel 1915; l’anno successivo il padre, ufficiale di marina, muore durante una battaglia e la madre è costretta a trasferirsi a Bayonne prima, e successivamente a Parigi, nel 1924. La sua formazione si compie tra le aule austere della Sorbona, dove si laurea in letteratura classica (1939) e in grammatica e filologia (1942). Questi sono anche gli anni di una lunga degenza per una tubercolosi contratta nel 1934, che costringe Barthes a frequenti periodi di cura presso i sanatori del paese e gli impedisce di proseguire nella sua tesi di dottorato.

Dopo diverse esperienze di insegnamento in Francia, al termine della guerra insegna francese all’Università di Bucarest dal ’48 al ’49 e poi all’Università di Alessandria di Egitto (dal ’49 al ’50): al ritorno in patria, assume nel 1952 l’incarico di ricercatore in lessicologia al CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique), incarico che mantiene fino al 1959. E’ in questa fase che le prime opere di Barthes iniziano a essere pubblicate. Nel 1953 esce “Il grado zero della scrittura”, saggio di critica letteraria che svela fin da subito la profondità d’analisi e l’acutezza di visione dello studioso. L’anno successivo è la volta di “Michelet par lui-meme”, una biografia di Michelet, noto storico del XIX secolo, nella quale, esaminando le ossessioni personali del famoso studioso di storia, introduce la relazione tra autore e testo come momento fondante la dimensione esistenziale della scrittura e del resoconto.
“Mitologie” esce nel 1957, un tratto di semiologia dove vengono studiati i testi della cultura contemporanea attraverso il significato dei suoi miti e dei suoi segni. Spettacoli, giornali, riviste, pubblicità divengono tutto materiale di indagine: in Barthes il significato dei testi è in parte autonomo dalle intenzioni degli autori, o per lo meno le loro intenzioni non sono prioritarie nell’incidere il senso, in quanto esso è innanzitutto ricavato dalla struttura di segni che un testo offre (la struttura del testo come elemento di significato autonomo e ricavato dall’interconnessione dei segni).

Dal 1960 fino al 1976 è direttore degli studi presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes. In questi anni ha inizio la diatriba contro la corrente critica tradizionale rappresentata dal critico e professore Picard. Nel 1970, infatti, pubblica l’opera S/Z, nella quale, intrecciando la critica letteraria (il piacere dei segni) con la semiologia (l’interpretazione, è del 1964 il suo trattato “Elementi di Semiologia”) – due parti del suo pensiero inscindibili – egli analizza la novella Sarrasine di Balzac attraverso gli elementi strutturali che modellano il senso del testo letterario, ponendo l’attenzione non solo sui segni, ma anche sul il lettore come punto focale dello studio, il luogo dove gli innumerevoli significati delle parole scritte si incontrano.
Ed è proprio attraverso la controversia che segue la pubblicazione di quest’opera che Barthes esprime più chiaramente il suo pensiero riguardo l’approccio critico. Invitando ad “una scienza critica”, egli mostrava come la tradizione della critica universitaria fosse legata ai valori delle classi dominanti (come il concetto di nobiltà); da qui l’esigenza di un criticismo meno ortodosso, più “soggettivo” nei termini di fuga del proprio discorso e scrittura dall’assimilazione dell’ideologia dominante, che lui definì il potere.
Sempre nel 1970 è pubblicata l’opera “L’impero dei segni” una possente monografia sui costumi sociali e i miti del Giappone. Di tre anni successivi, invece, è la pubblicazione de “Il piacere del testo” dove esplora e amplia la relazione personale tra lettore e testo, intrecciando la sua passione per la letteratura con la sua acutezza critica.

Dal 1976 al 1980 Barthes è professore di Semiologia letteraria presso il Collège de France e collabora con diversi periodici (tra i quali l’Esprit e Tel Quel). Le due opere più importanti di questo periodo sono sicuramente “Frammenti di un discorso amoroso” (1977), dove applica l’analisi semiologica sul discorso di un innamorato, e “La camera chiara” (1980), opera nella quale la fotografia viene presentata come forma di comunicazione operante attraverso “la magia”, e non la “semplice” arte, di catturare l’attimo pur lasciandolo scorrere, vivo, negli occhi degli spettatori (le antitesi che innalzano l’arte a magia).

Il 25 febbraio del 1980, all’uscita del Collège viene investito da un furgoncino e un mese più tardi muore. La vita dello studioso, indissolubilmente legata a quella della madre, che morirà solo due anni prima della sua scomparsa, è stata di certo una figura irripetibile della cultura francese: una figura il cui pensiero ha introdotto concetti tutt’ora fondamentali in diversi campi del sapere, con il pregio, tuttavia, di non essere mai stato riconosciuto in una corrente di pensiero o aver mai fondato una scuola “barthiana”. Segnale che il suo tentativo di essere autore e protagonista di un discorso e di una cultura libera, non soggetta ai valori accademici o delle ideologie sociali, è un successo che gli va ancora oggi riconosciuto.

Tra le sue opere fondamentali: Il grado zero della scrittura (1953); Michelet par lui-meme (1954); Miti d'oggi (1957); Elementi di semiologia (1964); Critica e verità (1966); L'Impero dei segni (1970); S/Z (1970); Il piacere del testo (1973); Frammenti di un discorso amoroso (1977); La camera chiara (1980).