Si è assistito, negli anni precedenti, ad una certa resistenza allo studio del linguaggio pubblicitario da parte dei linguisti, perché considerato frivolo e quotidiano, ma il suo modo di vendere, di convincere per stimoli capziosi, si è propagato in tutte le direzioni tanto che si è finito per accettare questa forma di comunicazione come l'unica possibile in determinate condizioni. E quindi lo si è studiato e analizzato.

In generale, il linguaggio della pubblicità è stringato - quasi epigrafico - e predilige lo stile nominale e la paratassi. L'esigenza di economia linguistica deve però venire incontro alla ricerca di un'espressività forte che stimoli l'emotività del suo fruitore. Il tutto si traduce, non di rado, in una serie di più o meno vistose deformazioni o neoformazioni linguistiche.

Per iniziare ad illustrare, se pur sommariamente, le caratteristiche costitutive del linguaggio in questione partirò da una delle particolarità sintattiche più rilevanti e persistenti: l'uso dell'articolo. Nelle pubblicità è frequente l'uso dell'articolo determinativo con valore antonomastico (es. Scavolini, la cucina più amata dagli italiani) per creare una sorta di "effetto unicità". L'articolo indeterminativo, invece, è utilizzato con valore elativo in alcune forme ellittiche di argomentazione (es. un amaro lucano); consueta, in ultimo, la soppressione dell'articolo per dare maggiore forza alla frase (es. Non è Vov se non è Pezziol).

Altra caratteristica che merita di essere menzionata è l'uso della preposizione: essa può omettersi per garantire una maggiore concentrazione linguistica (es. moda autunno-inverno), può essere impiegata in modo anomalo (es. acqua da tavola), o ancora utilizzata per la specifica funzione espressivo-grammaticale e viene quindi ripetuta più volte divenendo chiave dell'annuncio (es. Forte con sapore. Con o senza ghiaccio).

L'aggettivo possessivo è ampiamente utilizzato nel discorso pubblicitario, esso lega produttore e prodotto al consumatore intervenendo nella sfera emotivo-espressiva e quindi personalizza un prodotto spesso, in realtà, dozzinale (es. chiamami Peroni, sarò la tua birra).
Interessante anche l'uso dei gradi dell'aggettivo o dell'avverbio: comparativo senza secondo termine di paragone (es. Paini è meglio), superlativo assoluto con prefissi e suffissi ridondanti e utilizzati anche con i sostantivi (es. poltronissima), raddoppiamento attributivo (es. caffè caffè). Ancora per l'aggettivo è singolare il valore avverbiale ad esso assegnato (es. vivi sano e resti in forma).

Il messaggio pubblicitario tende spesso ad assumere l'aspetto di un'affermazione (magari come forma di consiglio disinteressato) da parte di un interlocutore sincero ed affidabile che solitamente spinge un altro interlocutore a compiere un'azione nel presente o nel futuro. Perciò, per quanto concerne l'uso dei modi e dei tempi verbali, esso utilizza rispettivamente indicativo e imperativo, presente e futuro.
Nella stessa direzione dialogica vengono usate le persone del verbo e quindi troveremo nella maggior parte dei casi prima o seconda persona singolare (chi vende) e prima o seconda persona plurale (chi compra), ad esempio "se fosse così facile trovare l'energia forse non avresti bisogno di noi". Espedienti molto utilizzati sono quello dell'interrogativa ad imitazione del parlato (es. Nuovo? No! Lavato con Perlana) e il nonsense (espressione che appare priva di significato). Inoltre, spesso, il linguaggio della pubblicità attinge ad altri repertori linguistici, in particolare latino, greco (soprattutto per prefissi, prefissoidi, suffissi, suffissoidi) e inglese. Il loro impiego riflette fedelmente lo status e il prestigio che si associano di volta in volta ad un determinato idioma. D'altra parte, in quanto fatto unificante, la lingua della pubblicità deve fare un parco uso del dialetto; non è del tutto raro, invece, l'uso dell'italiano regionale.
Frequenti sono i giochi di parola (es. Ava! Come lava!) e le rime (es. Che bella novità, Loacker che bontà).

Ma la maggiore caratteristica costitutiva del linguaggio in questione è l'ampio ricorso ai tropi o figure retoriche.

Giulia Pacioni

Articolo tratto dalla tesi La metafora nel linguaggio della pubblicità