Secondo l'indagine NUA 2000, su un totale di 378 milioni di utenti Internet (6,2% della popolazione mondiale) il 42,6% è composto da Nord Americani, il 23,8% da persone che vivono nell'Europa Occidentale, il 20,6% da Asiatici, il 4% da Sud Americani, il 4,7% da residenti in Europa Orientale, 1,3% da Medio-Orientali e lo 0,16% da Africani. Come sottolinea Castells, questa situazione è ulteriormente aggravata se ponderata alle popolazioni interne di ciascuna nazione. In termini assoluti gli Stati Uniti (139,6 milioni di utenti) e il Giappone (26,3 milioni) erano le nazioni con un maggior numero di persone dotate di un accesso Internet da casa.

Nonostante, ad una prima lettura, la situazione sembri molto grave, se si confrontano questi dati con quelli degli anni precedenti, e quindi si considera anche il tasso di incremento dell'uso di Internet, emerge che questa situazione è tutt'altro che definita. Secondo quanto riportato da Castells tra il gennaio del 1997 e l'agosto del 2000, il numero mondiale di utenti è quadruplicato e le quote di ciascuna regione del mondo sono cambiate sostanzialmente: l'Asia è passata dal 14,2 al 20,6 e sta per raggiungere il livello dell'Unione Europea nel numero assoluto di utenti, nonostante la popolazione di utenti di questa zona sia passata a rappresentare dal 15,8% al 23,8% della popolazione mondiale che ha accesso ad Internet; l'Europa Orientale è passata dal 1,8% al 4,7%; l'Australia è passata dal 2 al 2,4 con il tasso di penetrazione più alto in rapporto alla popolazione; il Medio Oriente è passato dallo 0.8% al 1,3%; e l'America Latina dal 2,3% al 4%.
L'India in un solo anno (1999/2000) è passata da 270.000 utenti a 1,5 milioni. L'Africa ha triplicato i suoi utenti e per di più in questo caso c'è da dire che spesso la connessione viene divisa collettivamente tra un gruppo di persone anziché essere individuale anche se la maggior parte degli utenti sono concentrati nello Stato del Sudafrica (1,8 milioni di utenti).

Oltre a questa grande differenza a livello globale c'è da considerare che ogni zona del mondo che è stata considerata è formata da Paesi diversi che hanno ulteriori discriminazioni al loro interno. Per esempio in Cile Internet si sta diffondendo in maniera particolarmente rapida, ma se viene considerata la mappa della sua diffusione emerge che questa espansione è socialmente e geograficamente limitata: il 57% delle linee telefoniche e il 50% degli utenti Internet risiedono a Santiago e il 70% delle connessioni nazionali sono della popolazione con fasce di reddito alte (26% della popolazione totale).

Castells sottolinea che la differenziazione dell'uso di Internet nei Paesi in via di sviluppo è fortemente determinato dalle infrastrutture di telecomunicazione. Inoltre i service provider tendono ad essere dipendenti dalle strutture di Internet statunitensi ed europee, aumentando i costi e la complessità della gestione di questa tecnologia nel Terzo Mondo. Infine da non sottovalutare è anche il limite della lingua: la maggior parte dei siti sono in Inglese e ciò esclude grande parte della popolazione mondiale.
Castells conclude la riflessione sul Digital Divide osservando che il sistema tecnico economico, basato su Internet, della Società in Rete determina uno sviluppo irregolare basato sull'aumento della polarizzazione della distribuzione della ricchezza, della produttività e dell'esclusione sociale. Secondo questo autore il Digital Divide non si misura solo con il numero delle connessioni ma con le conseguenze sociali sia della connessione che della sua assenza. Internet non è solo uno strumento tecnologico, ma è "la forma organizzativa che distribuisce le informazioni, il sapere, e la capacità di connettersi in rete in tutti i campi dell'attività". Per i Paesi in via di sviluppo è indispensabile sviluppare un'economia e un sistema di gestione basati su Internet, così da poter generare le risorse necessarie per soddisfare i propri bisogni, ma i rischi di crisi e marginalizzazioni sono molto alti.

In Italia
Wellman sviluppa un'analisi del Digital Divide in Italia, basandosi su dati di organizzazioni internazionali, come l'OECD e World Economic Forum, e di pubblicazioni accademiche.
Da questi dati emerge che c'è stato un grande cambiamento tra il 1998 e il 2000: mentre nel primo periodo solo il 5% delle abitazioni erano dotate di un accesso ad Internet, nel 2000 è notevolmente aumentata la diffusione dei personal computers (il 31% delle abitazioni ne è dotata) e il 60% dei proprietari di PC sono connessi a Internet.
Nonostante il tasso della diffusione di Internet sia in aumento, l'Italia risulta avere un basso numero di PC e una bassa percentuale di utenti connessi rispetto al resto dell'Europa.

Al contrario, sembrano essere molto diffusi i telefoni cellulari: nel 2000 il 65% degli Italiani ne possiede uno, mentre per quanto riguarda la popolazione Europea è in possesso di un telefono solo il 58%.

Wellman avanza alcune ipotesi per spiegare questi dati tra cui le caratteristiche culturali di questo Paese e una bassa diffusione delle capacità necessarie per servirsi di queste tecnologie: secondo i dati emersi da una ricerca fatta dalla Banca Italiana nel 2000 la metà delle persone tra i 14 e i 30 anni non sapevano usare un computer. Inoltre sembra che persino il 25% delle persone laureate non abbia le capacità tecniche necessarie, che il 40% degli Italiani non usi il computer a lavoro e che meno di un terzo capisca l'Inglese.
In questo Paese sembra che i dati socioeconomici siano molto importanti rispetto all'uso che viene fatto delle nuove tecnologie: secondo i dati della Banca Italiana nel 2000 il 62% delle case di famiglie con un'educazione universitaria ha un computer, mentre per le persone con una bassa educazione sono molto basse sia le percentuali dei proprietari di PC (il 7% delle famiglie con un'educazione elementare) che di coloro che accedono ad una connessione(il 4%). Nel 2001 sembra che il 63% delle persone connesse ha almeno la licenza media e circa un terzo degli utenti è composto da studenti.

Per quanto riguarda la differenza di genere, questa non sembra molto elevata: nel 1999 il 37% degli utenti è donna, una percentuale più alta del resto dell'Europa. Questa differenza varia molto in relazione al luogo in cui si accede alla connessione: in ogni caso la percentuale degli uomini è più alta, ma sembra che le donne accedano maggiormente da postazioni pubbliche piuttosto che da casa.

Per quanto riguarda l'età degli utenti Wellman sottolinea che la differenza tra la fascia più anziana della popolazione e quella più giovane è significatamene alta: nel 2000 solo il 5% dei nuclei familiari con il capofamiglia con più di sessantacinque anni possiede un PC e il 3% accede ad Internet, mentre il 40% delle case in cui il capofamiglia ha tra i trentuno e i cinquanta anni ha un PC e il 31% usa Internet.
C'è anche una grande differenza geografica della distribuzione delle connessioni. Le percentuali dei proprietari di PC e degli utenti Internet hanno entrambi sedici punti percentuali in più nelle famiglie del Nord rispetto al Sud. Sembra che nel centro-nord dell'Italia Internet sia diffusa e che un quarto della popolazione di questa zona la usi abitualmente.
Dai dati raccolti nel 1999 emerge che il 91% degli utenti, usi Internet per ricercare informazioni mentre il 72% per le email. Inoltre sembra che gli Italiani accedano a Internet soprattutto da casa e che più aumenta il suo uso più aumenta la sua diffusione in ambienti privati e diminuisce negli spazi pubblici: dal 1999 al 2001 la percentuale degli accessi domestici passa dal 61% al 68%, mentre quella degli accessi pubblici diminuisce dal 27% al 21%.



Articolo tratto dalla tesi di Carolina Nuti, Reti sociali e teorie sociologiche contemporanee, nella quale sono affrontati le diverse fenomenologie della rete sociale e gli approcci teorici che hanno tentato una loro interpretazione.