La ricerca sociale si è storicamente orientata fin dal suo nascere sulla base di due paradigmi: il positivismo e l'interpretativismo. I due paradigmi si caratterizzano per una differente concezione ontologica, epistemologica e metodologica.

La sociologia positivista si fonda sull'assunto che esiste una realtà sociale oggettiva, esterna all'uomo e quindi conoscibile nella sua reale essenza; ciò significa che lo studioso e l'oggetto studiato sono due entità indipendenti, non influenzabili l'un l'altra.
Le scienze sociali, quindi, non sono diverse dalle scienze naturali. Secondo questo paradigma, l'obiettivo della ricerca sociale è di arrivare alla formulazione di leggi generali fondate sulle categorie di causa-effetto.
Il modo di procedere di questa conoscenza è caratterizzato dal ragionamento induttivo:
dall'osservazione empirica, dall'individuazione di regolarità e ricorrenze si arriva a formulare generalizzazioni o leggi universali. La tecnica ideale è quindi quella dell'esperimento, basato sulla manipolazione e il controllo delle variabili implicate e sul binomio separazione-distacco osservatore-osservato. Questo criterio caratterizza la sociologia della metà dell'800, quando i fondatori della disciplina, tra i più importanti Comte e Spencer, condividevano un'ingenua fede nei confronti dei metodi delle scienze naturali. È per questo che iniziarono ad indagare la realtà sociale utilizzando gli apparati concettuali, le tecniche di osservazione e misurazione, gli strumenti d'analisi matematica, i processi di deduzione delle scienze naturali. È da questa prospettiva che si sviluppa l'intento di Durkheim di studiare "i fatti sociali come cose".

La visione positivista ha visto svilupparsi al proprio interno, per tutto il corso del '900 un processo di revisione ed aggiustamento, avviato proprio dalla consapevolezza dei propri limiti e dal tentativo di superarli. La rassicurante chiarezza e la linearità del positivismo ottocentesco lascia il terreno ad un positivismo novecentesco assai più complesso; senza tuttavia venir meno ad alcuni presupposti di base, quale il realismo ontologico e la posizione preminente dell'osservazione empirica per la conoscenza di tale mondo.
All'origine della nuova atmosfera filosofico-scientifica ci sono innanzitutto alcuni sviluppi delle scienze naturali, e in particolare della fisica: la meccanica quantistica, la relativizzazione delle categorie dello spazio e del tempo operata da Einstein e il principio di indeterminazione di Heisenberg introducono elementi di probabilità e di incertezza su punti cruciali quali i concetti di legge causale, di oggettività-immutabilità del mondo esterno, e sulla concezione stessa di spazio e di tempo. La realtà sociale diiventa conoscibile solo imperfettamente, sia per l'inevitabile imprecisione di ogni conoscenza umana, sia per la natura stessa delle sue leggi, che hanno carattere probabilistico.

Dal punto di vista epistemologico il dualismo fra studioso e realtà studiata non viene più sostenuto. Si prende coscienza degli elementi di disturbo introdotti sull'oggetto studiato; l'oggettività della conoscenza può essere raggiunta solo approssimativamente. Il ragionamento induttivo viene sostituito da quello deduttivo, attraverso il meccanismo di falsificazione delle ipotesi. L'intento rimane, comunque, quello di arrivare a generalizzazioni nella forma di leggi, anche se limitate nella portata, probabilistiche e provvisorie.
Dal punto di vista metodologico vengono scelte procedure formalizzate standardizzate e verificabili; la quantificazione deriva dall'esigenza di oggettività dei fenomeni studiati, di replicabilità e generalizzabilità delle osservazioni e di comunicabilità dei risultati.

Interpretativismo
Sul versante del tutto opposto si collocano autori e scuole che esprimono un approccio di tipo umanistico, attento alla soggettività, che volge l'attenzione verso l'esperienza degli individui, e le interrelazioni personali.
In generale si fa risalire al filosofo tedesco Wilhelm Dilthey (1883) la prima formulazione critica nei confronti dello scientismo comtiano. Egli affermava che la volontà degli esseri umani è libera e che pertanto nessuno è in grado di predire le azioni e di avanzare generalizzazioni. A differenza delle scienze naturali, nelle scienze sociali non ci può essere distacco tra lo studioso e l'oggetto studiato, perciò la conoscenza può avvenire solo attraverso la comprensione.
Negli stessi anni Windelband introduce la separazione tra "scienze nomotetiche", cioè finalizzate all'individuazione di leggi generali, e "scienze ideografiche", ossia orientate a cogliere l'individualità dei fenomeni, la loro unicità ed irripetibilità.
È tuttavia con Max Weber che questa prospettiva entra a pieno titolo nel campo della sociologia. Egli trasporta il concetto di comprensione (Verstehen) nella sociologia, preoccupandosi di non cadere nell'individualismo soggettivista e nello psicologismo. I fenomeni sociali non sono semplicemente determinati da leggi sociali, ma sono il prodotto dell'azione volontaria dell'uomo, volontà esercitata in modo razionale.

La concezione del mondo esterno è costruttivista e relativista: secondo questo paradigma il mondo che si conosce è quello del significato attribuito dagli individui, significato che varia fra gli individui e nelle diverse culture. Non esiste, quindi, una realtà sociale universale valida per tutti gli uomini, ma ne esistono molteplici. In contrapposizione con la visione positivista, la ricerca sociale viene definita come "una scienza interpretativa". Se lo scopo è quello di pervenire alla comprensione del significato attribuito dal soggetto alla propria azione, le tecniche di ricerca non possono che essere qualitative e soggettive. La conoscenza avviene mediante un processo di induzione, da parte di uno studioso che vi si avvicina al processo conoscitivo sgombro di pregiudizi e di teorie precostituite.


Articolo tratto dalla tesi di Carolina Nuti, L'analisi computer assistita dei dati qualitativi: il software Atlas.ti.