Il primo elemento che rende l’Italia un caso particolare rispetto al fenomeno delle migrazioni internazionali è la sua trasformazione – in un arco di tempo storicamente piuttosto breve – da paese di fortissima emigrazione a paese di intensa immigrazione. Ancora oggi, vi sono oltre tre milioni e 800 mila di italiani residenti all’estero (stima al marzo 2003), che sono superiori numericamente rispetto ai 3.035.000 immigrati stranieri residenti in Italia.

Considerato ciò, verrebbe spontaneo pensare che una società che ha conosciuto l’emigrazione dei propri cittadini sia in qualche modo più comprensiva e accogliente nei confronti di chi cerca di inserirsi nel tessuto sociale. Purtroppo non è così: come vedremo piùavanti, la nostra società è una delle più chiuse d’Europa. Gian Antonio Stella ha indicato esplicitamente questa contraddizione: in un suo recente libro ci vengono descritti in dettaglio i più famosi luoghi comuni contro gli italiani (alcuni veri, mentre altri no). In particolare, Stella racconta che la maggior parte dell’emigrazione degli italiani era clandestina, senza permessi né controlli. Per sconfiggere buona parte dei pregiudizi basterebbe ricordarci di “quando gli albanesi eravamo noi”.

«Non c’è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi. “Loro” sono clandestini? Lo siamo stati anche noi: a milioni, tanto che i consolati ci raccomandavano di pattugliare meglio i valichi alpini e le coste non per gli arrivi ma per le partenze. “Loro” si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti? L’abbiamo fatto anche noi, al punto che a New York il prete irlandese Bernard Lynch teorizzava che “gli italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro popolo, se si eccettuano, forse, i cinesi”.
“Loro” vendono le donne? Ce le siamo vendute anche noi, perfino ai bordelli di Porto Said o del Maghreb. Sfruttano i bambini? Noi abbiamo trafficato per decenni coi nostri, cedendoli agli sfruttatori più infami o mettendoli all'asta nei mercati d’oltralpe. Rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Noi siamo stati massacrati, con l’accusa di rubare il lavoro agli altri. Importano criminalità? Noi ne abbiamo esportata dappertutto. […] Perfino l’accusa più nuova dopo l’11 settembre, cioè che tra gli immigrati ci sono “un sacco di terroristi”, è per noi vecchissima: a seminare il terrore nel mondo, per un paio di decenni, furono i nostri anarchici. Come Mario Buda, un fanatico romagnolo che si faceva chiamare Mike Boda e che il 16 settembre 1920 fece saltare per aria Wall Street fermando il respiro di New York ottant’anni prima di Osama Bin Laden».
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Effettivamente, la grande emigrazione italiana all’estero – anche verso altri paesi europei – ha assunto caratteristiche di massa soprattutto nella prima metà, del secolo scorso, diminuendo gradualmente d’intensità durante il secondo dopoguerra. Dopo solo poco più di un ventennio, dal 1973 in poi, si ebbe la percezione che qualcosa fosse cambiato. Da quell’anno, infatti, per la prima volta in Italia il saldo migratorio con l’estero del nostro Paese, assunse valori stabilmente positivi in base ai flussi di iscrizioni e cancellazioni anagrafiche: in un primo momento furono i rientri in Italia degli emigrati italiani a segnare questa inversione di tendenza, ma già a partire dagli anni Ottanta iniziava un flusso in ingresso consistente e continuo di cittadini stranieri.

Dunque, nel giro di due decenni si ebbe una totale inversione che inaugurò una nuova tendenza immigratoria, inizialmente moderata e poi sempre più intensa, che ha condotto il nostro Paese a essere attualmente una delle mete europee privilegiate di consistenti flussi in entrata dall’estero, tali da far raggiungere alla popolazione straniera regolarmente presente un livello considerevole. Dunque, rispetto ad altri grandi paesi europei di storia immigratoria meno recente, come Germania, Francia e Regno Unito, l’Italia ha visto crescere la presenza straniera in tempi molto più brevi e a ritmi molto intensi. Eppure, nonostante ciò, durante questi anni vi è stata una sostanziale indifferenza verso il fenomeno da parte delle istituzioni e della società italiana.
Infatti, col passare del tempo, negli anni Novanta ci si trovò a fronteggiare una situazione che aveva colto il Paese di sopresa: le reazioni furono infatti confuse e sbrigative, come dimostrato dai primi provvedimenti di ordine pubblico: nell’estate del 1991 ci fu il rimpatrio di alcune centinaia di albanesi;2 nel 1995, addirittura, l’invio di una brigata dell’esercito sulle coste pugliesi per bloccare alcuni clandestini albanesi.

Tutto ciò causò inevitabilmente i primi allarmismi: se nel 1988 solo il 34% degli intervistati riteneva che “ci fossero troppi immigrati”, cinque anni dopo la percentuale era passata al 64%, la più elevata in Europa.3
Da allora, l’aumento dei flussi in entrata sarà una costante che accompagnerà il fenomeno fino ai nostri giorni, anche se l’esercizio delle politiche restrittive adottate dai singoli governi, come vedremo più avanti, ha aumentato in maniera esponenziale il numero degli immigrati irregolari rispetto a quelli regolari.

Note bibliografiche:
1 G.A. Stella, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002, p. 7
2 Il rimpatrio avvenne dopo un periodo di reclusione all’Interno dello stadio di Bari. Gli
albanesi furono tenuti senza servizi igienici, bagnati dagli idranti della polizia e riforniti di cibo dagli elicotteri. In quella settimana, lo stadio fu circondato dalle forze dell’ordIne e visitato dai cittadIni italiani che portarono i loro figli “a vedere gli albanesi”.
3 A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 26

Tesi di Michele Spanu, Pregiudizio o accoglienza? I media e l'immigrazione. Lo studio affronta l'importante questione della rappresentazione mediatica del fenomeno migratorio in Italia. Un aspetto decisivo nel contribuire alla diffusione di una percezione più acuta di insicurezza e di sentimenti più o meno farvorevoli verso i migranti.