La tendenza dell’uomo, così come abbiamo visto anche nei riferimenti sopra indicati, consiste nel classificare, nel dare un orientamento, nel controllare l’ambiente circostante e nel mantenere quest’ordine il più costante e protetto possibile.

Non si può certo pensare che questo tipo di atteggiamento non abbia avuto alcuna ripercussione sul mondo odierno. Ancora oggi siamo immersi in una concezione orientata in questo senso ed è proprio a partire da questa che si sviluppano le metodologie atte a rappresentarci quello che è, ancora una volta, l’Altro, diverso e quindi spesso destinato a rimanere imprigionato in questa sua unica definizione.

Il nostro pensiero e il nostro modo di esprimerci sono ancora oggi mezzo di espressione di tali tendenze e lo strumento attraverso cui si sono maggiormente concretizzate è quello dello stereotipo. Infatti, lo stesso S. Hall (Representation: cultural representations and signifying practices, Sage in association with The Open University, London, 1997) individua nello stereotipo un regime razziale di rappresentazione.

Possiamo inizialmente definire lo stereotipo come un significante che riduce il suo significato a pochi elementi essenziali, fissati in Natura attraverso caratteristiche minime semplificate.

Già in questa breve definizione si evidenziano alcuni elementi utili per il nostro scopo: “ridurre”, “elemento essenziale”, “fissato in Natura”, “caratteristica semplificata”. Se questa terminologia venisse decontestualizzata e isolata, risulterebbe immediatamente chiaro il suo carattere arbitrario a priori, costruito e determinato dalla volontà di chi la sostiene.
Lo stereotipo, in riferimento all’ambito che viene preso qui in considerazione, implica una strategia di divisione: divide il normale da ciò che non lo è ed esclude tutto ciò che è diverso (S. Hall, Representation: cultural representations and signifying practices, Sage in association with The Open University, London, 1997). Quindi essenzializza, naturalizza e fissa la differenza.

Riuscire ad identificare il processo alla base della costruzione di uno stereotipo è necessario per comprendere un altro fenomeno, non solo linguistico, che si è creato nel corso dell’evoluzione (involuzione) del rapporto con l’alterità: il razzismo.

Il pregiudizio

Se immaginiamo un ipotetico sistema di cerchi concentrici, il nostro nucleo è costituito dalla categoria, lo stereotipo è ciò che la ingloba (riducendo però in questo modo le caratteristiche proprie di un individuo) e il pregiudizio è l’espansione estrema di questa visione. Infatti, il pregiudizio non si limita ad ampliare le connotazioni riguardo delle caratteristiche predefinite (tendenzialmente di tipo morale), ma amplia anche il target a cui si rivolge.

L’elemento di riferimento non è più un singolo individuo che appare corrispondere a determinate caratteristiche tipologiche, ma è un gruppo di individui omogeneo. Anche in questo caso si assiste indubbiamente ad un processo di espansione, il quale però avviene in senso negativo: l’individuo risulta avere contorni sempre più sfumati, inglobati in una visione negativa e duratura (B. M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna, 1997)

Il pregiudizio può avere un impatto più o meno forte. Colui che fa corrispondere in larga misura o totalmente, anche se magari in modo involontario, le proprie opinioni ai pregiudizi, subisce gli effetti di questo stesso processo: osserva in modo omogeneo, connota in modo negativo e si rivela incapace di qualificare ogni singolo individuo indipendentemente dalla casella mentale in cui è stato inserito fin da subito.

L’effetto di questa forma di rappresentazione non si rivela solo a livello comportamentale, ma anche, se non soprattutto, a livello linguistico (in realtà, non ne è solo l’effetto ma anche la causa). Come si vedrà successivamente, il presupporre che testata giornalistica e readership siano concordi nel definire secondo canoni predeterminati l’altro, permette di raccontare avvenimenti o di riportare discorsi attraverso un vocabolario e immagini linguistiche in grado di dimostrare la realtà e veridicità degli stessi presupposti. Si elimina quindi completamente la possibilità di far sorgere dei dubbi, almeno per ciò che rientra in queste categorie condivise.


L'articolo è tratto dalla tesi di Erica Luppi, La figura dell'immigrato nella stampa inglese e tedesca. Riflessioni sul concetto di rappresentazione come pratica di costruzione sociale