Il teatro sociale è il modello di un teatro necessario. La necessità di un teatro non è un fattore estrinseco rispetto alla corporeità dell'uomo, ma una conseguenza del suo statuto: esattamente come non si può vivere senza mangiare, non si ha vera qualità della vita senza che i meccanismi della rappresentazione - che sottendono ai processi cognitivi, affettivi e relazionali - vengano alimentati dall'esperienza.1

Per approcciarsi alla disciplina del teatro sociale è importante, più che chiedersi cosa sia, cercare di capire cosa faccia e come si ponga nel contesto comunitario. Il teatro sociale non è tale perché terapeutico nei confronti di soggetti ritenuti bisognosi di cura, ma perché mette in primo piano gli aspetti socio-affettivi, le dinamiche relazionali e le ritualità delle comunità, sia di tradizione che di invenzione. Si rivolge a persone, gruppi e istituzioni attraverso attività performative che a volte escono dai confini dell'ambito prettamente teatrale per abbracciarsi a quelli del gioco, dello sport, di feste ed eventi, compiendo il complesso passaggio di creazione di un nuovo rituale: da parentesi festiva ed extraquotidiana che conferma ancor di più l'ordine e le gerarchie quotidiane, diventa seme fruttifero che contagia in modo positivo e permanente la ferialità.

Il meccanismo teatrale quindi non è tanto prodotto estetico di cui il conduttore si compiace ma una vera e propria forma mentis, che, se acquisita, permette l'emersione di una bellezza e di una cultura che il contesto interessato già possiede in forma intrinseca.
Si promuove quindi nei soggetti la possibilità di appropriarsi dell'esperienza in modo attivo (attoriale) e creativo grazie alla metaforizzazione e al linguaggio simbolico tipico del vocabolario teatrale. Comunicare quindi diventa sapersi considerare come soggetto dotato di autonomia e allo stesso tempo personaggio dagli infiniti ruoli: il fine è imparare a essere se stessi pur indossando la maschera che ogni situazione ci richiede. Questo è possibile se l'individuo sa cogliere dall'altro le condizioni del proprio fondamento nella logica dell'identificazione.2

La componente artistico-performativa è comunque importante in tutti i percorsi di teatro sociale poiché:
• è prodotto autentico di un processo, di cui testimonia la verità e bellezza;
• non è momento di chiusura di un percorso, ma occasione generativa sia per chi agisce sia per chi guarda agire;
• coinvolge in modo diretto tutti e tre gli attori sociali: i singoli, il gruppo di cui fanno parte, e la comunità che assiste all'evento.

Questa è anche una delle principali differenze tra teatro sociale e forme di teatroterapia quali drammaterapia e psicodramma, in cui agli esiti performativi assistono solo i componenti stessi del gruppo.

Lo strumento principe di lavoro per perseguire la finalità antropologica dello sviluppo è il laboratorio, uno spazio protetto, un «cerchio magico all'interno del quale noi sospendiamo la referenza alla realtà e creiamo nuovi soggetti, nuove maschere.»3. Il laboratorio, infatti, rappresenta l'ingresso ad un'esperienza non quotidiana, in cui sono privilegiate la comunicazione non verbale e la liberazione dall'io sociale. Attraverso un training psicofisico individuale e corale avvengono una profonda esplorazione delle relazioni all'interno del gruppo e un'evoluzione della capacità di nutrirsi in modo propositivo della propria esperienza di vita.

La funzione del teatro è quella di promuovere nell'attore e nel gruppo l'autoriconoscimento della propria identità e la proiezione progettuale o utopica3

Normalmente sono previste tre fasi:
separazione dalla realtà quotidiana attraverso esercizi e giochi simbolici;
ingresso in un territorio di margine nel quale emergono vissuti e si instaurano nuove dinamiche relazionali;
chiusura e feedback per capire il livello di benessere e l'apporto cognitivo che l'incontro ha lasciato nel gruppo4.

Nel laboratorio il ruolo del conduttore è molto importante per stabilire un legame di fiducia all'interno del gruppo; è quindi necessario che egli possegga, oltre a capacità tecniche di tipo teatrale, una buona sensibilità che gli permetta di essere presente in ogni momento a quello che avviene, senza imporre uno schema prestabilito: il suo è uno sguardo performativo, di ampie vedute, che osserva e insieme si mette in gioco con il proprio corpo.

La conduzione è un processo complesso che difficilmente segue una strada lineare o fatta di passaggi da cause a effetti. Il conduttore introduce degli stimoli che avranno esiti non prevedibili e apriranno strade nuove. Allora non è l'attesa di un esito che lo conduce quanto la cura perché si generi un processo. Ed è nello stupore per quanto avviene che si istituisce la possibilità di una scoperta, la possibilità di compiere un tratto di cammino con un gruppo.5

Anche se il ruolo del conduttore riveste una certa importanza, in ogni progetto di teatro sociale è fondamentale la formazione di un'equipe di lavoro nella quale le finalità e gli obiettivi specifici dell'intervento siano condivisi attraverso continue negoziazioni. Le professionalità dei componenti sono infatti molto differenziate e comportano un confronto serrato per stabilire criteri comuni a tutti.
Ogni progetto, prima di prendere forma, deve essere preceduto da un'attenta analisi dei tempi e dei luoghi quotidiani dei soggetti cui si rivolge, oltre che delle abitudini e dei materiali drammaturgici che si hanno a disposizione. Un buon progetto deve esplicitare come elementi imprescindibili l'intenzionalità pedagogica (l'orizzonte di senso nel quale si svolge l'azione), gli obiettivi (sia riguardanti il processo che quelli produttivi) e le azioni proposte per perseguirli.

Le drammaturgie che nascono sono strettamente vincolate ad una scrittura scenica “dal basso” ed, ovviamente, ad una presenza scenica corale, che non privilegi i soggetti particolarmente dotati a sfavore di altri meno appariscenti e disinibiti. I generi teatrali che si possono affrontare sono vari, in quanto vari sono i contesti e gli immaginari dei soggetti con cui si intraprendono: si passa dal teatrodanza al teatro delle ombre, alla clownerie per arrivare a performance che coinvolgono interi paesi, come le sacre rappresentazioni.

Abbiamo parlato di finalità, metodi operativi e soggetti promotori del teatro sociale, ma non dei veri e propri attori sociali che ne sono protagonisti. Gli ambiti in cui maggiormente si opera sono:
• socio-formativo
• terapeutico
• culturale

Le esperienze fino ad ora si sono concentrate nei territori delle diversità:
• generazionali (bambini, adolescenti in centri sociali o C.A.G., anziani in case di riposo o centri diurni);
• di identità sessuale (sull'identità di genere maschile o femminile);
• di situazioni marginali (povertà economica, detenzione, differenza etnica…);
• di disagio comunitario (paesi in periferia con alto tasso di criminalità…)6.

Seguendo invece una classificazione più specifica che tenga conto dei contesti, possiamo affermare che le categorie di intervento siano principalmente tre:
1. le persone, quando la marginalità con cui si entra in contatto è dovuta a una mancata consapevolezza che l'individuo ha di sé e una sostanziale carenza di linguaggi efficaci per mettersi in relazione con gli altri (ad esempio: le aree della disabilità e della tossicodipendenza);
2. le istituzioni, quando non favoriscono una politica centrata sulla solidarietà ma perseguono modalità autoritarie che non promuovono ma mutilano le diversità (ad esempio: scuole, ospedali, carceri);
3. le società, quando al posto di momenti collettivi dove la dimensioni individuale si salda a quella forte del tempo rituale, sopravvive semplicemente la cultura della ricerca di benessere personale oppure situazioni di grave emergenza distruggono la cooperazione tra soci inaugurando l'etica del “si salvi chi può” (i teatri di comunità o gli interventi in nazioni del terzo mondo).7

Per tutti questi ambiti va sottolineata la necessità di contribuire con il teatro a far emergere “nuove persone” in sostituzione di quell'unica maschera, sempre uguale a se stessa, rigida e mai mutevole, che è la maschera della sofferenza8 .


Note bibliografiche:
1 PONTREMOLI, Alessandro, Introduzione al teatro sociale, in ROSSI GHIGLIONE, Alessandra, PAGLIARINO, Alberto (a cura di), Fare teatro sociale, Audino, Roma, 2007, p. 8.
2 DALLA PALMA, Sisto, Gioco e teatro nell'orizzonte simbolico, in CUMINETTI, Benvenuto (a cura di), Educazione e teatro, cit., pp. 50-51.
3 MANTEGAZZA, Raffaele, Una volpe tra i blindati: riflessione su un'esperienza in Kosovo, in BERNARDI, Claudio, DRAGONE, Monica, SCHININÁ, Guglielmo (a cura di), Teatri di guerra e azioni di pace, cit. p. 232.
3 CASCETTA, Annamaria, L'educazione estetica dell'adolescente: linee di approccio alle arti dello spettacolo, in CUMINETTI, Benvenuto (a cura di), Educazione e teatro, cit. p. 94.
4 Cfr. ROSSI GHIGLIONE, Alessandra, Il laboratorio di teatro sociale: struttura ed esercizi, in ROSSI GHIGLIONE, Alessandra, PAGLIARINO, Alberto (a cura di), Fare teatro sociale, cit. p. 49-54.
5 INNOCENTI MALINI, Giulia, Come un seme. La conduzione del gruppo nel laboratorio di teatro sociale, in ROSSI GHIGLIONE, Alessandra, PAGLIARINO, Alberto (a cura di), Fare teatro sociale, cit. p. 33.
6 Su questo tema vedi DRAGONE, Monica, Esperienze di teatro sociale in Italia, in BERNARDI, Claudio, CUMINETTI, Benvenuto, DALLA PALMA, Sisto (a cura di), I fuoriscena. Esperienze e riflessioni sulla drammaturgia nel sociale, cit. pp. 61-123
7 Cfr: BERNARDI, Claudio, Il teatro sociale, cit. pp. 125-179.
8 ERRICO, Giuseppe, Aenigma e la mutazione della propria esistenza/presenza, in MINOIA, Vito (a cura di), Se all'università si sperimenta il teatro, Magma, Pesaro, 1998, p. 136.


L'articolo è tratto dalla tesi di Vittoria Perico, Povero teatro! Problemi e potenzialità del teatro sociale nel terzo mondo