l pessimismo culturale della teoria critica sfocia, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, nelle teorizzazioni cosiddette postmoderniste, rappresentate in particolar modo dal teorico francese Jean Baudrillard con il saggio “La società di consumo” (1970). Egli sostiene che la distinzione tra materiale e simbolico è ormai molto sfumata e il consumo non si riferisce più al miglioramento della vita umana, ma al contrario, proprio a partire dal consumo di massa, la realtà viene trasformata in un “pastiche” di immagini e pseudoeventi privo di significato: nelle società contemporanee quindi la sfera del consumo trionfa su quella della produzione.

Gli aspetti della teoria critica maggiormente criticati risiedono nell’idea che gli oggetti abbiano un valore d’uso originario e naturale, falsamente offuscato dal prezzo e dai significati simbolici ad esso affibbiati dai capitalisti, dove invece per Baudrillard il valore di un oggetto è legato ai suoi significati e non esiste un valore d’uso puro, naturale e materiale. Il significante ha guadagnato autonomia mediante la manipolazione mass-mediatica e pubblicitaria ed è in grado di fluttuare libero dagli oggetti.
Al posto del simbolico quindi troveremmo un continuo rimando tra segni differenti, immagini variopinte, che non simboleggiano più una realtà sociale, ma si riferiscono a sé stesse, al punto da creare loro stesse la realtà.

Baudrillard, prendendo spunto dai miti di Barthes, sostiene che gli oggetti formerebbero un insieme organizzato di segni «globale, arbitrario e coerente». Il bisogno di un bene a questo punto non va inteso come «una relazione tra un individuo e un oggetto» , ma va richiamato a segni che sono parte di un sistema culturale che «sostituisce un ordine sociale di valori e classificazioni a un modo contingente di bisogni e piaceri» (Baudrillard, La società dei consumi, 1970, trad. it. 1976, p. 40).
Nel capitalismo avanzato non solo la produzione ma anche il consumo viene disciplinato e razionalizzato per favorire la riproduzione della struttura economica, e il soggetto si ritrova impotente nei confronti del sistema degli oggetti, tanto che rimane solo un insieme di «segni autoreferenziali» fondato sulla ricorrente generazione di differenze simulate, una «iperrealtà», che si colloca al di là della distinzione tra reale e immaginario.

I media e il vertiginoso moltiplicarsi delle merci sono dunque i veicoli attraverso cui si crea un mondo simulato caratterizzato dalla supremazia del significante, in cui gli individui non risultano altro che schemi di consumo predeterminati ed esistono meramente come veicolo per l’espressione delle differenze tra gli effetti. Gli oggetti stessi diventano segni interscambiabili, senza rimandare ad altro che a se stessi, e perdono il loro contenuto.
Una situazione concreta che ci può chiarire ulteriormente la nozione di iperrealtà è rappresentata dai parchi di divertimento come Disneyland, dove il piacere che traiamo dalla fruizione di tali luoghi non si basa sulla nostra capacità di godere del reale, ma di un suo «segno» estremo e tipizzato, che spesso finisce per essere catturato in una fotografia o un filmato.

La teorizzazione di Baudrillard arriva dunque alla conclusione che l’individuo non è più un soggetto che agisce operando distinzioni simboliche e attribuendo senso alle proprie azioni; tale conclusione però ha evidentemente poco a che fare con la ricerca di un fondamento empirico, perché seguendo questo ragionamento trascura le differenti forme di relazione e di interazione sociale che vengono portate a termine mediante il consumo, e non coglie la grande varietà dei soggetti che agiscono i qualità di consumatori.


Articolo tratto dalla tesi di Marco Espertino, Comunicazioni simmetriche e asimmetriche nella società dei consumi, dove nel primo capitolo vengono ripercorsi i principali contributi di autori classici, quali Simmel, Veblen, Bourdieu e M. Douglas, sul fenomeno sociale del consumo e delle sue interazioni con il gusto.