La segmentazione

Le prime tecniche di segmentazione, risalenti agli anni ’50, si basavano sulle variabili sociodemografiche (sesso, età, reddito, livello di scolarità, etc.) facilmente reperibili e di facile utilizzo, ma di limitata utilità per un’efficace segmentazione data la naturale interazione reciproca di tali variabili.
Inoltre, la realtà sociale del consumo sempre più complessa richiedeva strumenti più sofisticati e attenti alle dinamiche di acquisto dei consumatori.

In quest’ottica si inseriscono le tecniche di segmentazione psicografica: esse basano l’individuazione dei diversi segmenti sull’analisi delle caratteristiche delle diverse personalità individuali, utilizzando inizialmente i test di personalità , rivelatisi inadatti, per poi passare a strumenti più adeguati, come le scale d’ atteggiamento.

Il primo vero tentativo di psicografia fu quello di Emanuel Demby, che nel 1964 riuscì ad identificare, in una sua ricerca, due categorie di acquirenti di nuovi prodotti: i “creativi” ed i “passivi”, caratterizzati anche da diversi interessi e attività quotidiane, ma visti unicamente in quanto strettamente legati al fenomeno di consumo considerato.
Successivamente, si è cercato di considerare l’individuo appartenente ad un determinato segmento nella sua totalità, in qualsiasi situazione lo si consideri, prendendo in analisi il concetto di “stile di vita”: questo, abbiamo osservato, non è più visto come elemento di “distinzione sociale”, come proponeva Weber, ma come “insieme dei valori, atteggiamenti, opinioni e comportamenti che manifestano l’ unicità della personalità del soggetto nella sua globalità, e di cui il consumo è soltanto una delle tante componenti” .
Il modello teorico utilizzato alla base della maggior parte delle ricerche psicografiche è il cosiddetto VALS (Values and LifeStyles) messo a punto da A. Mitchell sulla base della teoria di Maslow sulle “motivazioni dominanti”; questa prevede una gerarchia di cinque tipi di bisogni basici che spingono l’individuo ad agire, ognuno dei quali si manifesta solo quando sono stati soddisfatti i bisogni collocati ai livelli inferiori.

Nella segmentazione VALS ad ognuno di questi livelli corrisponde un segmento della popolazione degli Stati Uniti: ciò porta all’individuazione di otto stili di vita, distinguendo anche tra due possibili percorsi, “autodiretto” ed “eterodiretto”, per la soddisfazione dei propri bisogni.
Il concetto di stile di vita si è rivelato un efficace mezzo di segmentazione e di costruzione di “mappe socio-culturali” (in Italia la prima ricerca psicografica, ancora oggi utilizzata, è stata la Psicografia Eurisko, condotta da G. Calvi e oggi denominata Sinottica), anche se gli ulteriori mutamenti nella società e nel consumo, che si sono verificati soprattutto tra gli anni ’80 e ’90, hanno in parte reso impossibile il tradizionale ricorso alla segmentazione ed agli stessi stili di vita, come abbiamo accennato nel capitolo precedente.

Un tentativo di seguire il cambiamento sociale in modo più accurato, e a livello globale, è rappresentato dal sistema 3SC (Sistema di Correnti Socio-Culturali e Scenari di Cambiamento) messo a punto da Alain de Vulpian nel 1972 e successivamente adottato da quattordici istituti di ricerca in diverse nazioni, associati nel RISC (Research Institute of Social Change).
Questa ricerca si fonda su una filosofia “evoluzionista”, prendendo in considerazione lo sviluppo verso una sempre più forte modernità socioculturale; essa consente inoltre la comparazione dei risultati con quelli precedentemente osservati (misurando così l’entità del cambiamento avvenuto) tenendo sotto controllo cinque aree principali di cambiamento socioculturale:

Le mentalità, le sensibilità, i valori, le aspirazioni, le motivazioni e i tratti di personalità;

1) I costumi e i modi di vita;
2) Le produzioni culturali;
3) Le strutture sociali informali;
4) I paradigmi, ovvero i principali sistemi di credenze, e le rappresentazioni collettive.

Attraverso il trattamento con tecniche fattoriali dei dati ottenuti da interviste, basate su items riguardanti valori e atteggiamenti, si identificano delle “correnti socioculturali” utilizzabili come indicatori sintetici del cambiamento, nonché come variabili attive di segmentazione.
L’importanza di una tale ricerca è evidente se si considera la crescente internazionalizzazione o globalizzazione dei mercati e delle culture: ciò porta alla costituzione di settori di mercato sempre più omogenei a dispetto delle diversità nazionali, soprattutto per alcune nicchie di consumatori più “evoluti” e più coinvolti nella modernizzazione e nell’innovazione delle tecnologie comunicative che contribuiscono a creare quel “villaggio globale” di cui parla McLuhan; in esso, ad un’omogeneizzazione crescente a livello mondiale, si accompagna la permanenza, o a volte la presa di coscienza, delle subculture locali e personali, dando luogo a stili di vita e di consumo sempre più numerosi e flessibili, dunque meno efficacemente esplicativi di una società in cui il consumo si pone sempre più come un complesso sistema di comunicazione veicolante molteplici significati e messaggi.
Ciò nonostante, la segmentazione svolge un ruolo fondamentale nell’elaborare strategie di marketing adatte ai target individuati. Ogni segmento, infatti, ha i propri bisogni e i suoi diversi schemi di risposta ai differenti marketing mix.
I segmenti più attraenti sono individuati secondo le risorse dell’impresa; i target più interessanti sono quelli che in genere sono più proficui, vale a dire i segmenti più vicini all’impresa, i gruppi di clienti fedeli o di forti consumatori di un particolare prodotto.

Individuare un target riduce gli sprechi di risorse (per esempio il denaro speso in pubblicità di massa) e, infine, può far aumentare le vendite in quanto sono contattati gli acquirenti più adatti.
Con la frammentazione del mercato di massa e la sua divisione in segmenti, e grazie alla possibilità di comunicazioni sempre più mirate offerte dalle nuove tecnologie (si pensi alla pubblicità su Internet), c’è sempre meno bisogno di marketing e comunicazioni di massa.
E’ sempre più importante, anche se difficile, segmentare accuratamente il mercato, individuando i segmenti più proficui.

Idealmente i segmenti ottenuti dovrebbero soddisfare i seguenti criteri:

1) Misurabilità: il segmento si può quantificare? Possono essere identificati i consumatori che vi ricadono?

2) Sostanzialità: quanti consumatori entrano nel segmento? Sono in numero sufficiente per garantire un’attenzione particolare a quel target?

3) Accessibilità: può essere contattato facilmente? Può essere isolato da altri segmenti? Ci sono mass media e canali di distribuzione per accedere a questo segmento?

4) Rilevanza: i benefici offerti dal prodotto devono essere rilevanti per il target o percepiti come tali. E’ perciò fondamentale conoscere il profilo del “consumatore ideale” per indirizzare nel modo giusto i messaggi appropriati attraverso i canali più adatti. Bisogna inoltre tenere in considerazione tutti coloro che rientrano nel processo di decisione d’acquisto, dall’utilizzatore all’acquirente, a eventuali influenzatori.


Il Posizionamento

Il termine “posizionamento” è stato introdotto nella corrente terminologia del marketing nel 1973, quando Al Ries e Jack Trout scrissero una serie di articoli intitolata “The Positioning Era” per la rivista Advertising Age. Il concetto principale su cui si basa il posizionamento è che, in un mercato altamente competitivo e maturo in cui “inventare” nuovi prodotti è praticamente impossibile, la nuova sfida è trovare una “posizione”, un“buco” nel mercato, o meglio nella mente del consumatore.
Secondo i due autori in una società “overcommunicated”, ridondante di messaggi come la nostra, l’unico modo di far arrivare, ed accettare, il proprio prodotto è quello di focalizzarsi su un preciso target a cui inviare un messaggio “ipersemplificato”, duraturo e soprattutto capace di adeguarsi e collegarsi alle esistenti esigenze delle persone:

“The basic approach of positioning is not to create something new and different, but to manipulate what’s already up there in the mind;to retie the connections that already exist”.

Tutto ciò non può essere fatto solo dalla pubblicità , che come affermano Ries e Trout, “è solo la punta dell’iceberg”, bensì richiede un processo più lungo e complesso: il posizionamento, appunto.
E l’unico modo per raggiungere il miglior posizionamento, ed un successo assicurato, è, per i due autori, arrivare per primi ad occupare “quella” posizione nella mente del consumatore.
Se negli anni ’50 predominava la ”era del prodotto” e la pubblicità ne doveva evidenziare le caratteristiche, la USP (Unique Selling Proposition), e, successivamente, nella “era dell’immagine”, al centro della comunicazione trovavamo la “brand image”, più importante delle caratteristiche stesse del prodotto, siamo adesso nella “era del positioning”, in cui l’impresa deve “creare una posizione nella mente del pubblico, una posizione che prende in considerazione non solo forze e debolezze dell’impresa stessa, ma anche quelle dei concorrenti”.

Il posizionamento, dunque, è l’elemento più importante e caratterizzante che, elaborato dalla strategia di marketing e di comunicazione, deve essere fatto proprio e trasmesso nella maniera più adeguata dalla pubblicità e dall’intero flusso di messaggi veicolato dal prodotto stesso.
E’ quindi, il posizionamento, un’area di assoluta competenza dell’impresa che, pur avvalendosi di agenzie o società di consulenza, deve sentire come perfettamente rispondente ai propri valori la scelta di posizionamento effettuata, su cui deve convergere il pieno consenso dell’intera organizzazione: solo così si riuscirà a trasmettere un’immagine precisa, coerente e costante. La costanza del posizionamento, infatti, è un fattore fondamentale per il successo, mentre cambiamenti frequenti della rappresentazione del prodotto o della marca possono essere altamente controproducenti, favorendo la percezione di un’identità confusa e volubile, dunque inaffidabile.

Per lo stesso motivo, qualora si decida di riposizionare il prodotto, sarà d’obbligo tenere presenti sia i posizionamenti pregressi che potranno essere migliorati, attualizzati, leggermente modificati, ma mai del tutto abbandonati, sia lo scenario dei posizionamenti della concorrenza: è infatti molto difficile occupare posizioni già presidiate da altri; si può riuscire al massimo a raggiungere una posizione di “me-too”, in cui è opportuno cercare di differenziarsi in qualche elemento del posizionamento costruendosi una propria identità ed un proprio spazio nell’ambito dell’universo simbolico del prodotto.

Da un punto di vista “tecnico” il posizionamento, come suggerisce Fabris, comporta due operazioni distinte:

1) L’individuazione dei target a cui rivolgersi, attraverso l’utilizzo di una mappa socioculturale, per determinare le possibilità di posizionamento piu adeguate.

2) La rappresentazione mentale della marca, definendo gli attributi e i significati caratterizzanti il prodotto; secondo la definizione di Fabris, infatti “posizionare significa attribuire alla marca delle caratteristiche uniche, indistinguibili, facilmente riconoscibili, persistenti nel tempo, rilevanti per il consumatore”. E’ necessario, cioè, dotare le marca, e il prodotto, di una vera e propria personalità, caratterizzata a livello simbolico da segni incisivi e precisi che ne ripropongano quelle differenziazioni che, a livello materiale, sono ormai sempre più difficili da trovare.

Un posizionamento forte, che riesca a conferire alla marca delle caratteristiche uniche e realmente distintive, permette di occupare una “posizione” difficilmente espugnabile dai competitors e duratura: il posizionamento ideale, infatti, può resistere per anni, basandosi su una personalità forte e riconoscibile per i consumatori, ma anche flessibile, riuscendo a rimanere al passo con i tempi attraverso un costante “upgrading” in cui, pur restando stabili i significati alla base dell’ identità, i significanti si adeguano alle nuove modalità comunicative in modo agile e sintetico.

Ragione e sentimento - La comunicazione integrata del prodotto tra le nuove regole di marketing e il consumo ''emotivo''

Tesi di Luciana Squadrilli. L'articolo è contenuto all'interno del secondo capitolo, "Il marketing".

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